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Un
quadrifoglio fra le sbarre,
da
una detenuta per Roverto Cobertera
Un giovane mio compagno con problemi di droga sta andando fuori di testa e
sto pensando che molte volte non sono i reati che una persona
commette a farlo diventare criminale, ma il posto dove lo mettono e gli anni di
carcere che gli danno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
All’inferno può accadere proprio di tutto e forse è proprio per questo che
si può trovare più umanità che in paradiso.
Oggi una detenuta di un altro
carcere mi ha mandato una lettera per Roverto, che ha fatto un duro sciopero
della fame per sostenere la propria innocenza.
Dentro c’era un quadrifoglio con queste poche parole:
Ciao Roverto, sono una piccola ladra disperata, che
per caso ha avuto la fortuna di conoscere Carmelo e anche la tua storia… Non
mollare. Questo l’ho raccolto solo per te. Non è una montagna d’oro, però può
essere un porta fortuna e una speranza in più. Non mollare. Un abbraccio.
A me invece ha scritto:
-Senti, forse ti sembrerà una cazzata da parte mia, che sotto certi
aspetti sono rimasta infantile (o sindrome di Peter Pan?). Forse!
Comunque i bambini si differenziano da tutti gli adulti perché conservano in
loro l’innocenza, non sono cattivi ed egoisti come gli adulti.
La tua lettera a Gesù mi ha colpito molto. È
bellissima. Talmente bella che l’ho trascritta e la farò appendere insieme ad
altri scritti nella sinagoga vicino all’ex campo di concentramento, dove faremo
una assurda festa del racconto, a dire che qui ci sono gli unicorni rosa e gli
arcobaleni. Comunque anche se io ovviamente non sarò fra quelle arpie, perché
sanno che inizierei a urlare peste e corna di ‘sto lurido posto, farò appendere
il tuo scritto di “Marcellino pane e vino” e qualcuno lo leggerà.
Poi altra cosa che penso da giorni, ed è altrettanto
infantile, però è il pensiero che conta, e il mio per te e per il tuo amico è
solo buono, quindi potresti fargli avere questo bigliettino? È piccolino, ma
dentro ci sono due giorni di ricerca tenace fra l’erba dell’area passeggi,
finchè finalmente il mio occhio di falco ha centrato e staccato il bersaglio.
Pensavo a voi fratelli miei, a quello che sta passando
Roverto, a quello che passano in molti, ma che all’ingiusta legge non frega
niente. Poi però c’è la gente come te, Melo, per fortuna, e io penso che
dovrebbero clonarti: ti batti per noi, ti batti per il giusto, senza paura e
riesci a far vedere agli occhi esterni, coperti da chilogrammi di prosciutto,
ciò che succede in questi inferni. Ma meglio che non mi dilungo: ho
colto il quadrifoglio per voi, per il tuo amico che non sa nemmeno chi sono, ma
spero che vedere quel piccolo portafortuna gli dia la forza di non mollare, gli
porti appunto fortuna, magari gli tiri su il morale come tu sei riuscito
a tirarlo su a me con poche ma preziose righe. Grazie per ciò che
hai scritto, anch’io vi abbraccio forte fra le sbarre.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, ottobre 2015
Sent: Friday,
September 25, 2015 8:16 AM
Subject: Appello
fra le sbarre a Gesù per Roverto Cobertera
Appello fra le sbarre
a Gesù per Roverto Cobertera
Gesù, lo so tutti ti tirano per la giacchetta e spero che non me ne vorrai
se questa volta ti chiedo qualcosa anch’io. Non l’ho mai fatto, a parte quella
volta che da bambino in collegio un prete mi aveva raccontato
la storia di un bambino che parlava con te.
Ti ricordi? Si chiamava Marcellino. Era un trovatello. E i frati si erano
presi cura di lui.
Un giorno Marcellino aveva trovato nel solaio del convento un grande
crocefisso con te inchiodato sopra. Lui iniziò a parlarti. E tu a rispondergli.
Marcellino iniziò a portarti un po’ di pane e vino. E per questo in seguito i
frati chiamarono il bambino “Marcellino pane e vino”.
La storia finiva bene. Bene per modo di dire. A seconda dei punti di vista.
Marcellino si era gravemente ammalato ed era morto. E tu te lo eri portato in
Cielo. Anch’io volevo che la mia storia finisse bene. E, dopo un
paio di giorni che avevo ascoltato questo racconto, ero andato in chiesa di
nascosto per parlare con te.
Tu come al solito stavi inchiodato in un grosso crocefisso di legno, con la
testa inclinata da un lato. Chissà perché non cambi mai posizione. Ti avevo
parlato guardandoti negli occhi. Ti avevo domandato cosa dovevo fare nella
vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi avevo pianto davanti a te,
per essere nato già diverso dagli altri bambini. Avevo pianto per i sogni che
avevo diversi dagli altri bambini. Avevo pianto per essere nato grande. Avevo
pianto per essere nato senza amore intorno a me. Avevo pianto perché immaginavo
che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto. Avevo pianto per la
vita che non avrei mai avuto. Avevo pianto perché non riuscivo a smettere di
piangere. Ti avevo pure confidato che ero solo al mondo. Solo come
un cane. E che nessuno mi veniva a trovare in collegio. Ti ricordi? Ti
avevo chiesto se mi prestavi tua madre. E se mi facevi giocare con gli angeli
perché su questa terra nessuno giocava con me. Ti avevo chiesto se facevi
morire anche a me. E se mi portavi in Cielo con te come avevi fatto con
Marcellino. Adesso non fare finta di non ricordare. Una volta ero persino
salito su una sedia per arrivare fino a te per baciarti la fronte.
E per dirti in un orecchio: “Ti voglio bene”. Un’altra volta ti avevo
toccato la corona di spine che avevi in testa. E cercai persino di togliertela.
Tu però continuasti a non rispondermi. Non mi parlasti mai, neppure quando, per
arruffianarti, ti portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato nella
dispensa dei preti. Adesso non è che te lo voglio rinfacciare, ma si potrebbe
dire che il primo furto l’ho fatto per te. Eppure tu continuasti a non
rispondermi, neppure quella volta quando ti abbracciai. E quando ti
pregai di farmi morire come avevi fatto con Marcellino pane e vino, perché
a quell’età non vedevo nessuna differenza fra vivere e morire.
A quel tempo qualche preghiera te la facevo, ma non c’è stato nulla da
fare, perché non mi hai mai lo stesso risposto. E mentre quel fortunato di
Marcellino pane e vino te lo eri portato in Cielo, a me mi avevi lasciato in
questo cazzo di mondo.
Per questo ho smesso di parlarti, perché mi sembrava di parlare
con un muro.
Adesso però se farai qualcosa per Roverto, che nel carcere di Padova si sta
lasciando morire di fame perché è stato condannato alla pena dell’ergastolo (o,
come la chiama Papa Francesco, alla
“pena di morte nascosta”) per un delitto che non ha commesso, sono disposto a
fare la pace e parlarti di nuovo.
Lo so che gli uomini non danno retta neppure a te, ma tu però puoi fare i
miracoli. E allora che aspetti? Fanne uno per Roverto, per dargli una mano a
dimostrare la sua innocenza e per salvargli la vita. Se lo farai ti vorrò di
nuovo bene. Lo so, è un ricatto, ma me l’hai insegnato tu che in amore tutto è
permesso, se ti sei fatto mettere in croce per gli umani. Un sorriso fra le
sbarre.
Carmelo Musumeci
Padova, Settembre 2015
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sbarre.doc
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