Accadde a
Liberi, il 14 luglio del 1950, sulla
strada che da Pontelatone conduce a
Formicola
Salvatore Di Dario uccise Ermenegildo Parillo giovane amante della moglie
Tentò anche di uccidere anche la moglie ma la pistola si inceppò. Era
già stato condannato per maltrattamenti. Vi era sentenza di separazione del
Tribunale. La relazione “more uxorio” di un possidente sammaritano .
Gli Amori facili di una contadinotta assai piacente che per dare il suo amore chiedeva
appezzamenti di terra in donazione. Una sorta di “bocca di Rosa” della famosa
canzone di De Andrè…
Liberi – Il 14 luglio del 1liberi, 950, verso le ore 12, in
località “S. Lorenzo” del Comune di Liberi, Salvatore Di Dario, di anni 33, sergente in congedo, sortito da una
siepe che fiancheggiava la strada che da Pontelatone conduce a Treglie ed a
Formicola affrontava affrontava per il loro Ermenegildo e Mariad e Giuseppina
berretta rispettivamente moglie e il cognato di esso di Dario e dopo aver
chiesto loro dove fossero diretti esplodeva all’indirizzo del Parigi lo un
colpo di pistola che attingeva il giovane alla tipo contrario destro inseguiva.
Inseguiva quindi la moglie contro la quale faceva scattar ripetutamente
l’arma senza risultato non essendo escluse le cartucce per vizioso
alloggiamento delle stesse nelle camere della pistola come ebbi più tardi ad
accettare il perito balistico constatato l’abbattimento dell’avversario il di
Dario si allontanava dal luogo rendendosi irreperibile. I carabinieri della
stazione di Formicola ritornati informati del fatto, si portarono nella
predetta località, dove rinvenivano il parallelo già cadavere, amorevolmente
assistito dalla malia per retta, la quale tenendo la testa di quello sulle
cosce seduto sulla sponda della goletta che corre lungo il margine della strada
carezzava il volto del giovane ucciso con l’attitudine-come si esprimeva nel
verbalizzati nel loro rapporto-tra virgolette di una madre, di una sposa o di
una sorella”. La donna venne allontanata dal maresciallo dei carabinieri
vivamente costernato e di lacrime. Interrogata più tardi, nello stesso giorno,
dai carabinieri la Maria per retta premesso che il suo matrimonio con il signor
di Dario era stato un’unione infelice tanto da essermi dovuto separare
legalmente dallo stesso che l’aveva continuamente maltrattata anche nei periodi
di temporanea ricostituzione dell’unità familiare dichiarava che nella mattinata
di quel giorno, mentre ella si tratteneva con la sorella Giuseppina e col
fidanzato di costui Ermenegildo parallelo a consumare la colazione in un prato
dopo aver assistito alle operazioni di trebbiatura nell’interesse del proprio
genitore si era presentato il di Dario armato di pistola il quale le aveva
chiesto se intendeva ritornare a convivere con lui, con chiara allusione alle
conseguenze che il suo rifiuto avrebbe comportato. Il carrello era intervenuto
rabbonirlo promettendo che avrebbe fatto del suo meglio per indurre la berretta
ed i genitori di lei a consentire alle sue richieste di stabilita la calma e la
con la sorella il marito ed il pallino riprese la strada del ritorno.
Impressionata tuttavia dall’episodio che poneva in luce il sinistro proposito
del marito di non procedere alla dalla sua pretesa più volte manifestata a
costo delle più funeste rappresaglie essa accelerò l’andatura procedendo gli
altri, decisa a far ricorso ancora una volta i carabinieri, come per il
passato, per ridurre alla ragione l’ostinato pericoloso contorte. Era appena
pronta a partissi di casa per dirigersi a Formicola quando giunsero la sorella
ed il pallino costoro si accompagnarono a lei in località San Lorenzo il di
Dario apparendo alla loro le spalle chiesto dove fossero diretti quindi sparò
contro il pannello e tentò di colpire anche la moglie ma l’arma non funzionò
ulteriormente avvicinatosi infine a cadavere disse: ”Questo da tempo tenevo conservato!”.
Giuseppina Perretta confermava quanto
dichiarato dalla sorella aggiungendo di aver animosamente affrontato il cognato
quando l’arma si inceppò e costui tentava di riporre in efficienze e di aver
causato la caduta di alcune pallottole con un colpo di mano sulla pistola. A
tarda sera del 15 luglio il Di Dario veniva tratto in arresto ed interrogato
dal capitano dei carabinieri Giacomo Loiacono.
Lo stesso dichiarava di aver agito sotto la spinta di una morbosa gelosia
avendo sorpreso la moglie in compiacenti rapporti con il Parrillo, che usava
verso di quella, illecite tenerezze. Egli aveva conosciuto in carcere il
Parrillo ed aveva avuto modo di presentargli sua moglie nel corso di qualche
visita fattagli da costei in detto luogo. Il Parrillo, scarcerato prima di lui, comincio subito a
circuire sua moglie, profittando del dissenso che dividevano i due coniugi.
Escarcerato a sua volta il Di Dario trovò però la casa vuota, avendo la moglie
preferito ritornare, ancora una volta,
in famiglia e restando insensibili al suo sincero richiamo di amore, in
conformità di una precedente condotta in
forza della quale la convivenza coniugale si era alterata a lunghe pause di
lontananza. Per quanto conscio dei
sentimenti della moglie e della preferenza che costei elargiva ad altri uomini
(prima ad un certo Nicola Del monaco da
Santa Maria Capua Vetere, poi al
Parrillo) questa stessa qualche giorno prima del delitto e la mattina del 14
luglio, sul filo di una angoscia lacerante, aveva cercata e ritrovata la moglie
col pannello che sapeva spesso insieme.,. Qualche giorno prima del delitto
qualche giorno prima del delitto qualche giorno prima del delitto egli non
aveva cessato di amarla e transigendo su tutto, aveva ripetutamente cercato di
riconquistarla - dimentico della stessa persecuzione legale inflittagli con
rinnovate denunzie. Ecco qualche giorno
prima del delitto e la mattina del 14 luglio, sul filo di una angoscia
lacerante, aveva cercata e ritrovata la moglie col pannello che sapeva spesso
insieme. Aveva entrambe le volte sollecitata la donna a riconciliarsi, ottenendone
esplicito rifiuto. Il pannello fintamente accomodante, tuttavia temibile perché
di carattere notoriamente violento promise la sua mediazione perché la
concorrono la la concordia tornasse tra i coniugi. Più tardi egli dovette al
contrario constatare che quell’atteggiamento era stato soltanto un espediente
per tenerlo buono: in definitiva un’ultima beffa. Ebbe modo infatti,
appressandosi alla masseria delle dei berretta poco dopo di sentire il suocero
inveire contro di lui di Dario ad incitare la figlia denunciano i carabinieri.
Vide quindi Maria per retta con la sorella ed il carrello di verso Formicola
allo scopo evidente, di dare esecuzione alla ingiunzione paterna. Seguì tre e
notò con amarezza come la moglie del pannello il dessero al suo destino, scambiandosi
moine e dirigendosi alla caserma. Sbarrò loro il passo e chiese ove andassero. Gli fu detto che andavano a Treglia
a preparare i dolci per la festa della Madonna del Carmine. Sopraffatto
dall’incoercibile rivolta nel suo animo contro l’onda che gli si infliggeva
estrasse l’arma e fece fuoco contro il Parrillo, diresse la pistola anche
contro la moglie ma le cartucce non esplosero essendo di calibro diverso da
quello dell’arma.
Maria
Parretta ritornò verso il Parrillollo che era già in terra e gli gridò: ” Gildu, corri perché la pistola non spara più”.
Restando quello immobile la donna si piegò su di lui e proruppe in lagrime
serrandosi il corpo in un lungo spasmodico abbraccio e rivolgendo al ferito i
nomi più dolci baciandolo ripetutamente.
Il
Di Dario dichiarava infine di non essersi subito costituito ai carabinieri,
avendo desiderato di accomiatarsi prima dalla madre. L’arma andò smarrita
durante la fuga, attraverso uno strappo esistente nel fondo della tasca dei
pantaloni. Il filo di ferro che a guisa d’anello era stato posto intorno alla
scalinatura del fondello dei bossoli di cui l’arma era stata caricata fu
sistemato da lui allo scopo di utilizzare i proiettili nell’alloggiamento di
maggiore calibro. Con un rapporto del 16
luglio del 1950 i carabinieri di Formicola denunciavano pertanto il Di Dario
all’autorità giudiziaria per omicidio volontario in persona di Ermenegildo
Perillo, deceduto quasi stenti istantaneamente per perforazione multipla dell’intestino e per recessione
dell’addominale e per tentato omicidio in persone della moglie Maria Perretta.
Davano
atto verbalizzante di che, in esito alle
indagini e sperite sull’intera vicenda vissuta dal Di Dario, costui in effetti,
già diviso dalla moglie in virtù di sentenza del tribunale di Santa Maria Capua
Vetere del 1945, che pronunciava la
separazione personale dei coniugi per colpa della moglie, ravvisabile nell’ingiustificato
abbandono del tetto coniugale – aveva per gelosia – traendo origine
dall’immorale condotta della Perretta.
Costei cioè già fedifraga con tale Nicola Del Monaco
aveva successivamente concesso i suoi favori al Parrillo, resistendo alle
reiterate profferte di riappacificazione del Di Dario nonostante tutto
sinceramente innamorato della moglie. Nella fase istruttoria, il Di Dario
dichiarava di aver sparato contro il Parrillo che stava per aggredirlo. La
Maria Perretta, in aggiunto a quanto precedentemente dichiarato assumeva di non
aver mancato con chicchessia la fede coniugale. Non con il Nicola Del Monaco
già amico di famiglia, il quale, però, fu scacciato di casa, nel periodo nel
quale il Dario più non conviveva con lei, per averle fatto delle immorali
proposte offrendole alcune moggia di terreno e denaro se avesse accettato di
diventare la sua amante.
Non con il
Parrillo con quale aveva innocente dimestichezza sul perché fidanzato
della sorella Giuseppina. Dichiarava inoltre la Perretta di non aver voluto
riunirsi al marito perché aveva più volte sperimentato l’insincerità delle promesse di costui il quale ad ogni
riconciliazione ricominciava a maltrattarla. Il movente a delinquere doveva
infine ricercarsi nell’odio serbato dal Di Dario nei confronti del Parillo dal
giorno in cui quest’ultimo si era adoperato per farlo costituire in carcere
dopo un’evasione. Il marito era trascorso alla violenza anche contro di lei pel
solo fatto che ella non aveva aderito all’invito di ritornare a convivere con
lui. Il Nicola Del Monaco da parte sua dichiarava di aver intrecciato con la
Maria una relazione sentimentale senza
peraltro farne la sua amante, avendo egli interrotto ogni rapporto con la
medesima a seguito della richiesta fattagli dalla giovane e dai familiari di
lei di donarle del terreno come preventivo indennizzo di un’eventuale
interruzione del rapporto che si sarebbe dovuto instaurare more uxorio. Egli si era rivolto per consiglio al maresciallo dei
carabinieri, Ciro Volgano, il quale, fattogli presente che la Perretta, per
quanto separato legalmente dal marito, non conservava i suoi doveri di fedeltà
derivanti da valido matrimonio, egli suggeriva di non immischiarsi in una
situazione che avrebbe ben potuto risolversi in suo danno.
Queste circostanze
confermava il predetto maresciallo che ribadiva il suo punto di vista circa la
causale del delitto in ordine all’evasione del Di Dario e dal suo rientro in
carcere deponeva Vincenzo Di Benedetto,
custode delle carceri di Capua. Il teste informava di aver proceduto alla
cattura del Di Dario con la collaborazione
del Parillo che
ebbe con il giovane un breve diverbio. La madre dell’ucciso, Elena Marini, in
proposito dichiarava che Di Dario si lasciò convincere dall’Ermenegildo venendo
a colluttazione con costui soltanto all’ultimo momento perché il primo avrebbe
voluto raggiungere Capua con propri mezzi e non in veste di catturato. In esito
alla espletata istruttoria il Di Dario veniva rinviato al giudizio della Corte
di Assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere di omicidio premeditato,
tentato omicidio premeditato e di maltrattamenti in pregiudizio della moglie.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
Avv. Prof. Alberto Martucci |
Salvatore
Di Dario,
di anni 36 da Liberi, venne condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere (Presidente Giovanni
Morfino; giudice a latere, Victor
Ugo De Donato; pubblico ministero, Francesco
Ventriglia; giudici popolari: Eugenio
Roberti, Antonio Ragozzino, Nicola Mare, Michele Cimmino, Clemente Cutillo e
Mario Farina) ad anni 18 e mesi 4 di reclusione per omicidio premeditato in
danno di Ermenegildo Parillo, per
avere con premeditazione provocato la morte mediante colpi di pistola ed
inoltre, per avere con minacce, percosse ed ingiurie maltrattato la propria
moglie Maria Perretta. Inoltre di
tentato omicidio aggravato per avere tentato di uccidere la moglie, senza
conseguire l’intento per mancata esplosione
della cartuccia della pistola, con la concessione delle attenuanti
generiche. I difensori della parte civile del pubblico ministero concludevano
chiusa all’assunzione delle prove per l’affermazione della responsabilità
dell’imputato in ordine ai reati ascrittogli. I difensori di lui chiedevano in
linea principale ritenersi l’ipotesi dell’omicidio per causa d’onore, articolo
587 del codice penale, in subordinata l’omicidio volontario con le attenuanti
generiche e le diminuente del motivo di particolare valore morale sociale e
dell’approvazione escluso l’aggravante della premeditazione.
Avv. Sen. Pompeo Rendina |
Circa la
contestata premeditazione, la Corte
ritenne di escluderla sul rilievo che
nella condotta del Di Dario non era ravvisabile quella finità di proposito che è il contrassegno legale
della circostanza in esame. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale imputato
è testimoni confermavano le rispettive precedenti dichiarazioni, soltanto il Del
Monaco modificava la sua deposizione assumendo di avere avuto rapporti intimi
con la Perretta alla quale in confronto
contestava numerose circostanze di fatto che dichiarava di non aver rilevato
prima al giudice istruttore tutto ciò per dovere di cavalleria e correttezza.
Si era indotto alla fine a parlare di fronte alle accuse di falsità mosse dalla
Perretta. Sul nesso causale fisico e
psichico in rapporto all’evento non si muove questione. Lo stesso Di Dario al
giudice istruttore dichiarò di avere agito con l’intenzione di uccidere e le
modalità del fatto chiaramente denunziano il ricorso di siffatto elemento
intenzionale: numero dei colpi, efficienza della causale, aggressione fulminea,
azione estesa alla Perretta e così via.
L’identità del movente, la continuità temporanea dell’azione stanno infine
significare che i due delitti d’omicidio di tentato omicidio ascritti al Di
Dario sono sussumibile sotto la specie della continuazione criminosa essendo
riferibili al medesimo impulso le due determinazioni volitive. Qualche anno prima del delitto vi era già
stata una sentenza del tribunale penale di Santa Maria Capua Vetere ad un anno di reclusione per maltrattamenti alla
moglie. Come pure era pervenuta una sentenza di separazione dei coniugi emessa
dal Tribunale civile di Santa Maria Capua Vetere. In
appello all’imputato vennero concesse le attenuanti del valore sociale e morale
e la pena venne ridotta ad anni 13. Gli avvocati impegnati nei tre gradi di
giudizio: Pompeo Rendina, Ciro
Maffuccini, Vittorio Verzillo, Alberto Martucci e Giovanni Porzio. Mentre i periti settori furono i medici Dr. Salvatore Aldi, che constatò le lesioni di Maria
Perretta e il Dr. Domenico Solari
che eseguì l’autopsia.
Avv. Vittorio Verzillo |
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
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