Delitti&Misteri
della città del Foro
Accadde
a Santa Maria Capua Vetere
il 16 marzo del 1951
UN GIOVANE TENTO’ DI UCCIDERE IL SUO EX AMANTE NELLA SUA
BOTTEGA
Il
delitto maturato nel turpe mondo dell’omosessualità
La
vittima, pollaio e usuraio, pretendeva
l’immediata restituzione di 30 milioni prestati al commerciante. Il mancato omicida fresco sposo, aveva
troncato la tresca per paura che la moglie lo scoprisse – Il mistero di un cane aizzato
contro il suo ex amante.
Delitti&Misteri
della città del Foro
Da poco si era spenta la eco
del feroce assassinio commesso da due giovani sammaritani, Giovanni
Aprileo e Antonio Busico, accusati di aver ucciso un vecchio omosessuale e
già la cittadinanza della città del Foro fu sconvolta da un altro atroce
delitto. Un caso emblematico, misterioso,
da dove affiorarono, offuscati dalla verità giudiziale, intrighi ed
interessi, rapporti incestuosi, violenze domestiche, torbidi risvolti di
degrado e di bassezze umane. Raffaele
Casino, un giovane armiere, con bottega al centro della città, esplose
alcuni colpi di pistola all’indirizzo di Nicola
Ianniello, pollaio, usuraio e omosessuale. L’accusa era di tentato
omicidio, ma il suo avvocato difensore, Ciro Maffuccini (uno degli avvocati più
quotato dell’epoca) riuscì a fargli concedere l’attenuante del particolare
valore morale e sociale per il suo
delitto. Una losca storia, maturata nel turpe mondo degli omosessuali e degli usurai; ma
anche uno spaccato della città del Foro con “Delitti&Misteri”. Una città - dall’apparenza tranquilla – dove si sono verificati efferati delitti, molti dei quali ancora
irrisolti. Delitti strani, con moventi impossibili, come quello delle sorelle
Panarella, che furono accusate di amori incestuosi, e di avere impiccato un
fratello Giacomo. Processate, assieme al cognato, furono assolte. Giacomo Panarella venne trovato
impiccato nella stalla alla via Galatina. Una folla di cittadini alla lettura
della sentenza grido: ”Assassini!”.
Oppure come quel giovane invaghito della nipotina, 15enne, che la uccise, con 6 colpi di pistola nei pressi del Foro
Bonaparte. Poi andò a casa e si suicidò. Con un coltellaccio da cucina,
ritornato alla ribalta nella famiglia e
nei luoghi di un altro giallo ancora irrisolto. E’ proprio vero che spesso la
realtà supera la fantasia. E queste storie lo confermano. Un aggrovigliarsi di
eventi satanici e diabolici, che sembrano usciti da una mente perversa…
ma che
invece, sono purtroppo, cruda
realtà. Correva il mese di agosto del
1952, da dietro un cespuglio della
tenuta “Piglialarmi” in tenimento di
Vitulazio, esce un individuo che con un
fucile da caccia, caricato a
pallettoni, uccide il Dr. Enrico Gallozzi, chirurgo, 61 anni, latifondista, nipote del Sen. Carlo Gallozzi e il suo fattore Vincenzo Montesano, di anni 52 da Grazzanise. Una storia di amori
Saffici, di lettere anonime, di tradimenti, di violenza sessuale, di preti,
bizzoche e fanciulle che si fanno monache. O come quello del giovane Giuseppe Cecere che, invaghitosi della
zia, (ex miss casertana) la uccise a via Albana, con 30 coltellate. Uno,
nessuno e centomila, per dirla con Pirandello, sono i misteri della città del
Foro. Il maresciallo della polizia stradale Alfonso La Gala, che uccise la moglie Anna Maiuriello, (appartenente ad una vasta famiglia di macellai
della carne equina) con un tubo di ferro, mentre gli confessava di averlo fatto
cornuto. Fu un delitto d’onore e la sua condanna, con l’applicazione dell’art.
587 fu di soli due anni. E non solo. Il giudice Nicola Giacumbi, ucciso dalla Br; l’assalto alla caserma Pica per
il saccheggio delle armi; il carabiniere
Domenico Russo, assassinato con il
Prefetto Dalla Chiesa; il ruolo del primo pentito di camorra, o’cucchiariello, Gennaro Abatemaggio, che fece tremare Napoli e la camorra,
coinvolto nel famigerato processo per l’omicidio dei coniugi Cuocolo. Come il Dr. Enrico
Magliulo, figlio di un notaio, che uccise la moglie, il figlio e ferì il
cognato medico di cui era geloso, e poi si suicidò. E tanti altri delitti
rimasti “irrisolti”; delitti perfetti, senza colpevoli, con assassini che impuniti vagano per la città. Mi viene in
mente anche quello della prostituta
Zazzà, “Maria a capuana”, assassinata alla via Dei Ramari. Dalla sua abitazione
scomparve un cuscino pieno di banconote.
Oppure il gesto inconsulto di quel macellaio che inferse 35 coltellate alla sua
giovane amante e, credendo di averla uccisa, si fece maciullare da un treno in corsa. Era padre di sette figli. Ometto
volutamente di citare il delitto del Dr.
Aurelio Tafuri, dal quale ho tratto
il mio libro. E…tanti altri misteri e delitti della città del Foro
come i “casi” ancora aperti di Katia
Tondi e Raffaella Afieri, il cui figlio è a giudizio quasi come vindice
del barbaro assassinio della madre. Ci occupiamo oggi di uno di questi misteri
che negli anni cinquanta tennero banco nell’opinione pubblica sammaritana. Con
rapporto del 19 marzo del 1951, il commissariato di P.S. di Santa Maria Capua
Vetere riferiva che verso le ore 10,45 del predetto giorno tale Nicola Ianniello era stato ricoverato
nell’Ospedale Melorio per ferita di arma da fuoco all’avanbraccio destro con
foro di entrata al terzo medio posteriore e foro di uscita alla regione
polmonare con sospetto di lesione nervosa di detto avanbraccio e per altra
ferita, pure di arma da fuoco, a solo
foro di entrata al livello della inserzione cartilaginea della prima nasale
finestra. Che dalle indagini esperite
dai Brigadieri Piccolo e Bencini era risultato che verso le ore 8 lo Ianniello
si era recato nella bottega di armiere di Raffaele
Casino, onde richiedergli il
pagamento di lire 25mila a lui dovute e per le quali gli era stata rilasciata
una cambiale. Che, però, tra i due si
era accesa una animata discussione avendo il Casino fatto presente di non avere
per il momento la possibilità di pagare. Poi per l’intervento di tale
Gioacchino Ciriaco e l’incitamento dello stesso il Casino perduto il controllo
di sé stesso – aveva tirato da un cassetto una rivoltella ed aveva esploso vari
colpi all’indirizzo dello Ianniello dandosi poi alla fuga. Faceva presente poi
la Pubblica Sicurezza che tanto il Casino, che lo Ianniello ed il Cirieco erano
dei pederasti e che il motivo della istigazione del Ciriaco doveva ricercarsi
nella gelosia da questi nutrita nei confronti dello Ianniello che egli avrebbe
voluto soppiantare nella relazione intima con il Casino. Veniva pertanto
iniziato procedimento penale a carico sia del Casino che del Ciriaco ed il
Giudice Istruttore del Tribunale – con sentenza del 10 dicembre 1951 –
dichiarava non doversi procedere a carico del Ciriaco per insufficienza di
prove ed ordinava il rinvio al giudizio di Raffaele
Casino per rispondere di tentato omicidio in persona dello Ianniello
esclusa l’aggravante della premeditazione. Gli eredi dello Ianniello – deceduto
per altro nelle more del giudizio – hanno confermato quanto affermato negli
interrogatori dallo imputato ed hanno dichiarato di aver ricevuto in via
transattiva circa lire 5 mila ciascuno dai familiari del Casino che avevano
erogato ventimila lire a titolo rimborso di spese giudiziarie. Tra il Casino
e lo Ianniello esisteva da tempo una turpe relazione carnale – che se il primo
– sposato solo col rito civile con Giovanna Cavallo intendeva per tale fatto
troncare – lo Ianniello al contrario pretendeva veder continuata. Difatti
mentre al Rossi e al Liquori – premurati dalla giovane sposa – il Casino aveva
nel gennaio e febbraio del 1951 promesso di allontanare da sé lo Ianniello,
questi, invece, non aveva sitato – preso come era dalla ingorda passione a
diffidare il Liguori di non intromettersi nelle loro cose e con tanto morbosa
veemenza che quegli non aveva potuto tacergli il disgusto che sentiva per lui e
per il Casino. Quest’ultimo –anche se non immediatamente – aveva cercato
aderendo al vivissimo e legittimo desiderio della moglie – cpn la quale non
aveva ancora potuto unirsi – di troncare la relazione con lo Ianniello ma aveva
suscitato la pronta reazione di costui che non avendo altro mezzo a sua disposizione
aveva pensato aveva pensato di legare ancora a sé il giovane Casino, mediante la richiesta della immediata
restituzione delle 25 mila lire, facendosi forte del in bianco in suo possesso e della sua nota
indigenza del Casino. Questo suo divisamento è palesato anche alle parole della
teste Maria Leone, la quale, se ha confermato che l’imputato
alle sollecitazioni di pagamento che
ella gli aveva fatto per incarico dello Ianniello – avrebbe avuto il coraggio
di sparare costui – che a furia di parlare della relazione intima aveva
avvelenati i suoi rapporti con la moglie
- ha d’altro canto affermato che lo Ianniello pretendeva l’immediato
soddisfacimento del suo credito appunto perché “il Casino non ne voleva più sapere di lui”. Fu appunto nell’attuazione
di questi suoi disegni che lo Ianniello il giorno 16 marzo si portò alla
bottega di armaiuolo del Casino dove
questi era solito dormire su una branda. Evidentemente Ianniello cercò in un
primo momento di convincere il Casino a non troncare la relazione e solo di
fronte all’atteggiamento risoluto del Casino – che aveva interesse a non farsi
sorprendere in colloquio con lui dal fratello della moglie che invece
portandogli del latte notò la presenza dello Ianniello e ne riferì alla sorella
– insistette per il pronto pagamento della somma rifiutando ogni richiesta di
dilazione – respingendo l’intervento, forse pacificatorio del Ciriaco entrato
nel frattempo, attuato insomma quella scenata che aveva preannunciata
attraverso a mezzo della Maria Leone.
Fu allora che il Casino perdendo il
controllo dei suoi gesti cavò dal cassetto una pistola 6,35 di cui era in possesso ed esplose tre
colpi all’indirizzo dello Ianniello. Questi morì durante l’istruttoria del
processo, ma è rimasto avvolto dal mistero
il suo decesso, che
tuttavia fu definito dai medici per “cause naturali” e tuttavia indipendenti
dalle due lesioni (all’occhio e al braccio) riportare in seguito agli spari. Neppure
la versione della presunta aggressione del cane è del tutto chiara. Soltanto un
testimone a discarico – tale Enrico
Andolfi - assunse che vi era il cane
ma il teste apparve chiaramente falso e di parte. Un altro omosessuale del
branco? Misteri.
Con l’accusa di tentato
omicidio, con l’avvocato difensore, Ciro
Maffuccini, l’imputato Raffaele
Casino, venne giudicato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere
(Presidente, Giovanni Morfino,
giudice a latere, Victor Ugo De Donato;
giudici popolari: Guido Natale, Francesco Limone, Pasquale Rossi, Nicola
Iodice, Emilio Mozzillo, Nicola Stallone; cancelliere, Domenico Aniello, ufficiale
giudiziario, Giuseppe Girardi;
pubblico ministero, Alfonso Borrelli),
nel frattempo, però, la vittima, Nicola
Ianniello, era deceduto per altre cause. Interrogato in dibattimento –
l’imputato - dichiarò innanzitutto di avere tacitato gli eredi dello Ianniello.
Descrisse brevemente l’accaduto: “Ero nel mio negozio di armiere, allorquando
si presentò il Nicola che mi
richiese la restituzione immediata delle
25 mila lire per una cambiale scaduta. Io gli feci presente che ero in grado di
restituirgli la somma un poco alla volta
e che comunque un acconto glielo avrei versato prima di Pasqua. Egli però
insistette nella sua richiesta, malgrado le mie promesse che io gli facevo,
anche perché, avevo interesse a che egli si allontanasse dal negozio e che
della sua visita non fosse venuta a conoscenza mia moglie il cui fratellino di
lì a poco avrebbe dovuto portare dell’acqua. Spiego che mia moglie sapendo della visita dello
Ianniello avrebbe – molto probabilmente – finito con l’apprendere la relazione
intima che avevo avuto con esso Ianniello, fino a qualche tempo prima del mio
matrimonio con Giovanna Cavallo, celebrato solo col rito civile. Alle mie
promesse mi rispose che avrebbe fatto un chiamata – mentre si discuteva intanto
era giunto tale Gioacchino Ciriaco – il quale vedendo lo Ianniello nel mio
negozio e sapendo della illecita relazione che io avevo avuto con lui domandò
allo Ianniello cosa stesse facendo. Ianniello gli rispose che erano affari che
non lo riguardavano.
Avendo il Ciriaco risposto: ”Ma lo sai che questo è sposato?”, lo Ianniello lo afferrò
strappandogli anche la tasca della giacca. A quel punto il Ciriaco andò via
dicendo che sarebbe andato al commissariato
di polizia. Lo Ianniello allora
rispose che se doveva andare dal commissario ci sarebbe andato con tutto il suo
sfizio e fece l’atto di lanciare contro di me il suo cane da presa. A quel
punto impugnai una rivoltella già carica - che era sul banco di lavoro – che avevo
riparato per conto di un cliente – di cui ora non ricordo il nome- ed esplosi due colpi contro il cane. Colpii
invece lo Ianniello il quale si era abbassato per meglio incitare il cane. Poi
accortomi della ferita mi diedi alla fuga. Ben si intenda che lo Ianniello
aveva il pretesto della restituzione dei soldi ma il suo vero obiettivo era che
io continuassi la relazione con lui. Confermo che mi lanciò il cane per farmi
aggredire. Confermo che ebbi a parlare con i testi Liguori e Rossi della mia
relazione con lo Ianniello i quali mi invitarono a troncarla essendo io sposato”.
Senza effetti giuridici fu la deposizione della madre della vittima, Luisa
Cagiero, la quale nulla sapeva dei
fatti e non seppe neppure precisare la somma incassata per il risarcimento del
danno. Seguirono poi le deposizioni di Filomena
Di Tonto, Vincenzo Ianniello, Giovanna Cavallo, Elio Bencini, Ottavio Piccolo,
Augusto Rossi, Carmine Signore, Maria Leone, Enrico Andolfi. Il pubblico
ministero chiese una condanna ad 8 anni di reclusione. La difesa rappresentata
dall’avvocato Ciro Maffuccini, chiese l’attenuante della provocazione e le
generiche e la pena minima per il
risarcito danno.
La Corte lo condannò ad anni sei di reclusione, con l’attenuante
della provocazione e delle generiche. In sede di Appello innanzi la Corte di
Assise di Napoli (Presidente Nicandro
Siravo, giudice a latere, Gennaro
Guadagno, pubblico ministero Emanuele
Montefusco; giudici popolari: Silvio
De Blasio, Giovanni D’Avanzo, Aldo Nappi, Antonio Fedele, Felice Bocciero, Nicola Angelillo, Ugo Marinelli.
Cancelliere, Luigi Nappi, ufficiale
giudiziario Mario Iorio), la difesa chiese di accogliere l’attenuante dei
particolari motivi del valore morale e sociale, con una congrua diminuzione
della pena inflitta in primo grado. Dal canto suo invece il pubblico ministero
chiedeva la conferma della sentenza di primo grado. La Corte di Assise di Appello, con sentenza del 15 gennaio del 1954, in parziale riforma
della sentenza della Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
del 7 marzo , riconosceva all’imputato Raffaele
Casino, di anni 30, con l’attenuante di avere agito per motivi particolari
del valore morale e riduceva, di conseguenza,
la pena inflitta ad anni 4. Nel
corso del dibattimento vennero escussi molti testimoni: Luisa Corgiero, di anni 75, madre della vittima, abitante alla via
Gallozzi, in vico Pepe 3; la sorella Margherita,
di anni 57, abitante in via Torre ed i fratelli Vincenzo e Mario, abitanti
alla via Gallozzi.
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