GIUSEPPE DELLA ROCCA
UCCISE COLUI CHE RITENEVA IL MANDANTE DELL’OMICIDIO DEL FRATELLO
Il
primo delitto nel 1943 nel corso di una violenta sparatoria . Alla base dell’omicidio la interruzione della
costruzione di un pozzo artesiano
Il delitto accadde tra S. Felice a
Cancello e Cancello Scalo il 24 agosto del 1950
Cancello
Scalo – I carabinieri di Cancello Scalo comunicavano alla
Procura della Repubblica che il giorno
precedente alle ore 7,30 che l’imprenditore Ugo Pierucci mentre percorreva con la sua moto sulla quale si
trovava anche il figlio all’altezza della strada provinciale che passa per5 il
Comune di Cancello Scalo, proveniente da Baiano e diretto in agro di Acerra, che
si occupava della costruzione di un pozzo artesiano, in prossimità della
Chiesa Parrocchiale tale Giuseppe Della Rocca, di anni 26, fermo
sul laro destro della strada – con una mano nella tasca dei pantaloni –
intimava alla moto di fermarsi. Mentre il Pierucci si fermava il Della Rocca
estraeva dalla tasca una pistola ed esplodeva,
in ripetizione sei colpi all’indirizzo dell’imprenditore. Nell’uccidere
il Pierucci il Della Rocca aveva grifato:”
Tu sei stato che hai fatto uccidere mio fratello”. Mentre la moto con i due
di cui uno mortalmente ferito terminava la sua corsa al bordo della strada il
Della Rocca inforcata una bicicletta si dava alla fuga portando con sé l’arma
del delitto. Il giovane che aveva visto la morte del padre si diede alla
rincorsa dell’assassino ma senza esito. Intanto i carabinieri precisavano nel
loro rapporto che il delitto si era verificato a pochi passi dalla stazione dei
carabinieri e che pertanto sia il comandante Rocco Paladino che gli appuntati
Michele Messina e Andrea Barbato avevano sentito
chiaramente sia lo scoppiettio della motocicletta che i colpi di pistola.
In
particolare il carabiniere Pasquale Marolda si era dato, insieme all’appuntato
Domenico Iorio si era dati all’inseguimento del fuggiasco senza però
raggiungerlo. Neppure vennero repertati bossoli delle esplosioni. Frattanto, il
Pierucci, mentre veniva traportato in fin di vita verso l’ospedale di Maddaloni
riferiva con un filo di voce al figlio Giulio, che lo assisteva che a sparargli era stato “il fratello di Pietro”. Purtroppo per le gravissime ferite il
Pierucci dopo poco decedeva. Nel corso delle delicate investigazioni – svoltesi
in ambienti omertosi – i rappresentanti della Fedelissima riferivano che vi era
un precedente gravissimo ed un sordido rancore del Della Rocca nei confronti
della vittima in quanto il 23 maggio del 1943 in località “Limiti” di S. Marco
di Santa Maria A Vico, tale Antonio Finelli, mentre si trovava in
compagnia di Pietro e Carlo Della Rocca si era recato
presso Ugo Pierucci, che stava effettuando lavori per la costruzione di un
pozzo artesiano, per conto di tale Vincenzo
Cantile (assieme ai suoi operai Fortunato
Criscuolo, Michele Tranchese e
Vincenzo Cimmino) per sollecitare la ripresa dei lavori da un altro pozzo –
già iniziato dal Pietrucci – per conto appunto del Finelli. Per la inaspettata
interruzione dei lavori di costruzione del pozzo il Finelli aveva già
minacciato più volte sia il Pietrucci che i suoi operai ed in particolare il
Criscuolo il quale però aveva fatto capire che non si era affatto intimidito
delle larvate minacce. Il Finelli, però,
forte anche della presenza dei Della Rocca aveva minacciato con veemenza il
Criscuolo diffidandolo addirittura ad allontanarsi dalla zona. Il Criscuolo,
però, che era il tipo che non si faceva passare la mosca per il naso, con il
pretesto di lavarsi le mani era andato
nello spogliatoio attiguo al pozzo e armatosi di una pistola si era avvicinato al Finelli il quale però, per nulla
intimidito dell’arma, schiaffeggiava il Criscuolo pronunciando parole
minacciose. Il Criscuolo rispondeva con un pugno ed il Finelli – spalleggiato
da Pietro Della Rocca – che per
l’occasione si era armato di un fucile – iniziava una sparatoria alla quale rispose anche il Criscuolo con la
sua pistola. Durante la sparatoria il Della Rocca veniva colpito al viso da un
proiettile sparato contro di lui dal Criscuolo e decedeva, per effetto di tale
lesione all’Ospedale Pellegrini di Napoli dove era stato ricoverato. Un altro
grave fatto avvelenò gli animi dei partecipanti alla sparatoria.
Il giorno dei
funerali del Della Rocca, in via Trotti
di San Felice a Cancello, mentre un folto gruppo di parenti rendeva omaggio al
feretro, si trovò a passare Ugo
Pierucci, il quale fu aggredito e malmenato ed indicato quale autore dell’omicidio
del Pietro Della Rocca. I carabinieri, intervenuti per sedare la rissa furono
costretti ad operare il fermo del Pierucci il quale però veniva scagionato
perché i militari accertavano che lo stesso durante l’episodio del 1946 non
aveva fatto uso di armi e che il Della Rocca aveva schiaffeggiato il
Pierucci non già per i lavori del pozzo
artesiano ma per motivi di donne. Conclusa la formale istruttoria Giuseppe
Della Rocca veniva accusato di omicidio e si appurava che Ugo Pierucci era
deceduto causa emorragia causata dalla recisione dell’arteria femorale destra.
La relativa perizia necroscopica accertò, tra l’altro, che la vittima era stata
attinta da ben 4 colpi di arma da fuoco esplosi da una pistola a canna corta,
colpi esplosi a breve distanza in direzione dall’alto verso il basso. Intanto
il 23 agosto del 1950 – il giorno successivo al delitto – si presentavano ai
carabinieri Clemente Ferrara e Raffaele Picozzi e si dichiaravano
disponibili a rendere deposizioni sull’omicidio di Ugo Pierucci. Il primo
dichiarava di aver sentito gli spari e di essersi recato sul posto del delitto
e di aver visto per terra un uomo ferito che perdeva sangue e poco distante di
aver rinvenuto sul terreno della disputa una pistola Beretta Cal.9 che
consegnava al maresciallo Carlo Ansan che lo stava interrogando.
Il Picozzi, invece,
affermava di essere stato presente al delitto e di aver visto sia il Pierucci
che il Della Rocca scambiarsi offese e che entrambi avrebbero poi fatto uso
delle rispettive pistole. Tutto falso. I carabinieri infatti denunciarono i due
per falsa testimonianza in quanto essendo arrivati sul posto subito dopo il
delitto dato che il fatto come si ricorderà avvenne poco distante dalla caserma
dei carabinieri – sul posto rinvennero il ferito, un solo personaggio (che non era né Picozzi
né Ferrara) e nessuna arma per terra. L’assassino subito dopo il delitto si era
dato alla latitanza ed i carabinieri iniziarono gli interrogatori. Vennero
escussi nella circostanza Francesco
Savinelli, Salvatore Perrotta, Francesco
De Lucia e Salvatore Piscitelli, i
quali in “coro” (ma come poi accerteranno i carabinieri erano reticenti e
falsi) affermarono che avevano visto sparare Ugo Pierucci contro Giuseppe
Della Rocca (applicando il teorema delle nostre contrade che bisogna sempre
aiutare il vivo e non il morto). Ma da un confronto – dagli incartamenti si
rileva che fu drammatico – organizzato dal magistrato inquirente, tra il
figlio della vittima, Giulio Pierucci (guidava la moto al momento del delitto) ed i
testi predetti risultò che il Pierucci non aveva fatto uso di armi. I
carabinieri: Mar. Rocco Paladino,
app. Michele Messina ed il car. Mario Marolda, confermavano al
magistrato le loro tesi sulla falsità dei testi non presenti sul luogo del
delitto.
Ma come nei migliori trailer (“La finestra sul cortile” di
Hitchcock?) spuntò il testimone
oculare. Franca Ausonia, una bella
bionda di mezza età, dichiarò al mar. Ansan,
che al momento del fatto ella era affacciata alla sua finestra ed aveva
visto le scene criminose del delitto essendosi il tutto verificato sotto la sua
finestra. “Ho visto – dichiarò - Giuseppe
Della Rocca sparare tre colpi di pistola contro l’ing. Ugo Pierucci il quale
poi si è allontanato di corsa”. Poi non confermò questa dichiarazione –
evidentemente pressata o minacciata – e confermò solo in parte al magistrato
inquirente. Ma posta a confronto con il maresciallo dei carabinieri negò
recisamente di aver assistito al delitto. Anzi dichiarò che era di “spalle”. Il
maresciallo, invece, confermò la sua versione. Il figlio della vittima, Giulio Pierucci, dal canto suo ebbe a precisare che il padre
era rimasto vittima di una proditoria aggressione consumata in suo danno dal
Della Rocca confermando la sua versione dei fatti già riferita ai carabinieri
di Cancello Scalo. Intanto ricercato in
ogni dove il Della rocca fu tratto in arresto dagli uomini della Squadra
Giudiziaria del Commissariato di Santa Maria Capua Vetere. Subito interrogato
affermava di non aver avuto intenzione di uccidere l’ingegnere ma di avere
puntato la pistola in mezzo alle gambe soltanto per spaventarlo e che le
versioni del figlio della vittima Giulio e quella dei testimoni oculari erano
false.
Il Della Rocca veniva
condannato per omicidio volontario ad anni 20 di reclusione. Pena ridotta in
appello ad anni 14 e mesi 8. Gli altri condannati ad un anno per falsa
testimonianza.
Il Giudice Istruttore, con
sentenza del 16 gennaio 1952, ordinava il rinvio a giudizio di Giuseppe Della Rocca, Clemente Ferrara, Raffaele Picozzi,
Francesco Savinelli, Salvatore Perrotta e Salvatore Piscitelli, innanzi la Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere (Presidente Giovanni
Morfino, giudice a latere, Angelo
Lerro; giudici popolari: Osvaldo
Troianiello, Vittorio Lista, Ugo Stella, Ugo Penna, Domenico Barbato, Ettore
Faraone) per rispondere il primo, di
omicidio volontario in danno di Ugo
Pierucci; gli altri di falsa testimonianza. In dibattimento Genoveffa Vigliotti, vedova Pierucci,
assieme al figlio Giulio si
costituiva parte civile. Dopo la requisitoria del pubblico ministero che
chiedeva una condanna a 30 anni di reclusione, la parola dei difensori di parte
civile e quelli degli imputati la Corte dichiarava Giuseppe Della Rocca
colpevole delle contestazioni ed esclusi per l’omicidio le aggravanti della
premeditazione e del motivo abietto e ritenuta per lo stesso invece le
aggravanti della recidiva specifica e l’attenuante del risarcimento del danno
lo condannava per omicidio volontario ad
anni 20 di reclusione e tutti gli altri ad un anno per falsa testimonianza. La sentenza però
veniva appellata dal pubblico ministero e degli imputati.
Il primo lamentava
una pena mita per il possesso delle armi e l’imputato stigmatizzava, invece, la
negazione da parte della Corte della legittima difesa e l’eccesso colposo o
quantomeno ritenersi il delitto come omicidio preterintenzionale e non
volontario. Il difensori del Della Rocca, nei motivi di appello, chiedevano
inoltre la concessione delle attenuanti della provocazione e del motivo di particolare
valore morale e sociale.
Avv. Prof. Alberto Martucci |
Gli imputati di falsa testimonianza insistevano nella richiesta di assoluzione per non
aver commesso il fatto ed in via
subordinata per insufficienza di prove. Dopo qualche anno la Corte di Assise di
Appello di Napoli (Presidente Ugo
Solimene, giudice a latere, Gennaro
Guadagno, pubblico ministero, procuratore generale, Federico Putaturo) che giudicavano in appello la sentenza della Corte
di Assise di Santa Maria Capua Vetere
emessa il 20 luglio del 1953,
prima di emettere il verdetto osservò che all’imputato Della Rocca non
andavano riconosciute le attenuanti della legittima difesa, dell’accesso
colposo, alle attenuanti della provocazione e neppure la diversa configurazione
giuridica del fatto (da omicidio volontario e preterintenzionale).
Avv. Sen. Francesco Lugnano |
“La ricostruzione – scrissero i giudici
di appello nelle loro motivazioni – che i
primi giudici hanno compiuto dell’episodio criminoso è aderente ai risultati
sia generici che specifici. La tesi difensiva concernente la legittima difesa è recisamente contrastata
da un complesso di elementi che consentono
un giudizio diverso”. La perizia del Dr. Mario Pugliese, scrissero ancora i giudici di secondo grado – consentiva
di accertare che il Pierucci era stato attinto da quattro colpi di arma da
fuoco portatile a canna corte esplosi a breve distanza e che la vittima era
stata aggradita alle spalle. In parziale
riforma della prima sentenza
riducevano la pena ad anni 14 e mesi 8 di reclusione. Nei
processi furono impegnati gli avvocatii: Carmine
Savella, Francesco Lugnano e Alberto
Martucci.
Nessun commento:
Posta un commento