GIORNALISTI. TORINO: IL PROCURATORE ARMANDO SPATARO:
"OK AL DIRITTO/DOVERE DI FARE INFORMAZIONE MA CON DEI LIMITI DETTATI DALLE
REGOLE. LA DIFFUSIONE DELLE NOTIZIE, A PARTE ALCUNE ECCEZIONI, SARÀ AFFIDATA
ALLA ''MODALITÀ DEL COMUNICATO STAMPA, IN MODO CHE SIA DIFFUSA IN MODO PRECISO
L'INFORMAZIONE CHE LA PROCURA VUOLE DARE CON LE PAROLE CHE ESPRIMONO CON
ESATTEZZA QUANTO CI È POSSIBILE RIFERIRE''. NO ALLE CONFERENZE STAMPA SHOW.
TORINO, 9 DICEMBRE 2015.
''NON SONO PROPENSO ALLE CONFERENZE STAMPA CHE TROPPO SPESSO SI
TRASFORMANO IN UNO SPETTACOLO CHE IO NON GRADISCO". LO HA SPIEGATO OGGI IL
PROCURATORE CAPO DI TORINO, ARMANDO SPATARO, IN UN INCONTRO CON I GIORNALISTI
AL PALAZZO DI GIUSTIZIA IN CUI HA SPIEGATO LE LINEE GUIDA CHE LA PROCURA
INTENDE SEGUIRE NEI RAPPORTI CON L'INFORMAZIONE. IL PROCURATORE HA SOTTOLINEATO
DI ESSERE SENSIBILE AL ''DIRITTO-DOVERE'' DI FARE INFORMAZIONE, MA CON DEI
LIMITI DETTATI DALLE REGOLE, A PARTIRE DALLA ''PERSONALIZZAZIONE'' DELLE
INCHIESTE E ALLA DIFFUSIONE DI ATTI GIUDIZIARI COPERTI DA SEGRETO. SPATARO HA
SPIEGATO CHE LA DIFFUSIONE DELLE NOTIZIE, A PARTE ALCUNE ECCEZIONI, SARÀ
AFFIDATA ALLA ''MODALITÀ DEL COMUNICATO STAMPA, IN MODO CHE SIA DIFFUSA IN MODO
PRECISO L'INFORMAZIONE CHE LA PROCURA
VUOLE DARE CON LE PAROLE CHE ESPRIMONO CON ESATTEZZA QUANTO CI È POSSIBILE RIFERIRE''. ALL'INCONTRO HA
PARTECIPATO ANCHE IL DIRETTORE DEL QUOTIDIANO LA STAMPA, CHE PRESTO ANDRÀ A
DIRIGERE REPUBBLICA, MARIO CALABRESI: ''E' NORMALE E SANO CHE VI SIA UNA SORTA
DI TENSIONE TRA GIORNALISTI E PROCURA - HA DETTO - MA BISOGNA STARE ATTENTI A
NON CHIEDERE AL GIORNALISTA DI AUTO CENSURARSI''. PRESENTI ANCHE IL PRESIDENTE DELL'ORDINE DEI
GIORNALISTI DEL PIEMONTE, ALBERTO SINIGAGLIA, IL PRESIDENTE DELL'ORDINE DEGLI
AVVOCATI DI TORINO, MARIO NAPOLI E IL
PRESIDENTE DELLA CAMERA PENALE DEL PIEMONTE OCCIDENTALE, ROBERTO TRINCHERO,
OLTRE AD ALCUNI PROCURATORI AGGIUNTI.
(ADNKRONOS)
di Giovanni Negri -Il Sole 24
Ore 9.12.2015
MILANO. Nessun diritto
all'oblio se le notizie di cui si chiede la cancellazione sono recenti, di
sicuro largo interesse, relative a una persona che esercita un ruolo pubblico.
Se poi invece della cancellazione se ne sollecita la correzione, perché false,
allora la domanda non va indirizzata a Google ma ai gestori dei siti. Sono
queste le conclusioni cui approda la sentenza della Prima sezione civile del
tribunale di Roma del 3 dicembre. Una delle primissime, se non la prima in
assoluto che affronta davanti all'autorità giudiziaria le conseguenze della
pronuncia della Corte di giustizia Ue del 13 maggio 2014. Con quella sentenza è
stato previsto l'obbligo, per un motore di ricerca, di rimuovere dai propri
risultati (deindicizzazione) i link a quei siti che sono ritenuti dagli
interessati lesivi del loro diritto all'oblio, ottenendo la cancellazione dei
contenuti delle pagine web che, secondo l'interessato, offrono una
rappresentazione non più attuale della propria persona. Diritto, quello alla privacy,
che però non è assoluto e va invece bilanciato, caso per caso, con il diritto
di cronaca e con l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Bilanciamento
e scelta da fare davanti al Garante della privacy, che in questo anno e mezzo è
intervenuto più volte sul tema, oppure alla magistratura, e qui invece mancano
i precedenti. Al tribunale di Roma si era rivolto un avvocato perché venisse
imposto a Google (difesa dagli avvocati Massimiliano Masnada e Marco Berlin
dello studio Hogan Lovells) di rimuovere 14 link che risultavano da una ricerca
effettuata con riferimento il proprio nome, nei quali era contenuto il
riferimento, sosteneva il legale, a una passata vicenda giudiziaria, conclusasi
peraltro senza che mai fosse stata pronunciata una condanna a suo carico. Il
giudizio del tribunale, che ripercorre i passaggi chiave della formalizzazione
di un vero e proprio diritto all'oblio e della successiva fase applicativa, con
riferimento alle decisioni del Garante, respinge la richiesta di cancellazione.
Innanzitutto, quanto al centrale elemento cronologico, le notizie individuate
dal motore di ricerca sono «piuttosto recenti», visto che risalgono al non
lontano 2013, e i relativi fatti sono pertanto ancora attuali. Tanto più che,
sottolinea la sentenza, la vicenda è di sicuro interesse pubblico, visto che
riguarda un'importante indagine giudiziaria che ha coinvolto numerose persone e
che non risulta essersi ancora conclusa, mancando una documentazione in questo
senso (archiviazioni, sentenze favorevoli). «I dati personali riportati -
conclude sul punto la pronuncia - risultano quindi trattati nel pieno rispetto
dell'essenzialità dell'informazione». Quanto alla ruolo pubblico, questo è
attribuito dalla professione svolta e dall'albo di iscrizione: si tratta infatti
di un avvocato, che svolge la professione in Svizzera. Infatti, «tale ruolo
pubblico non è attribuibile al solo politico, ma anche agli alti funzionari
pubblici ed agli uomini d'affari (oltre che agli iscritti in albi
professionali). Per la falsità delle notizie veicolate dai siti visualizzabili
per effetto della ricerca su Google, quest'ultimo non è, per i giudici,
responsabile. Lo potranno essere i gestori dei siti stessi.
Nessun commento:
Posta un commento