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domenica 6 dicembre 2015






   "O sarai mia o di nessuno…" Lei si rifiutò, lui tentò di ucciderla con un colpo di pugnale al fianco. Era stata in precedenza violentata ma non volle accettare il matrimonio riparatore. 


Accadde in agro di San Felice a Cancello il 26 giugno del 1950


Una  Franca Viola antesignana?(*)



San Felice a Cancello – Il 27 giugno del 1950, Angela Carfora, di anni 24, veniva ricoverata all’Ospedale Cardarelli di Napoli,  in imminente pericolo di vita, per ferite da punta e taglio al fianco sinistro, nono spazio intercostale ascellare medio. I carabinieri di Santa Maria a Vico  avevano raccolto una deposizione della donna la quale aveva dichiarato di essere stata ferita verso le ore 6,3° dello stesso giorno da un suo corteggiatore, tal Armando Varrone, di anni 20 da Santa Maria a Vico, subito ricercato ma già datosi alla latitanza. Si appura inoltre che la sorella della giovane, a nome Luisa, aveva soccorso immediatamente la stessa notando che il feritore si era allontanato in direzione di Cancello. Dalle deposizioni di tale Giuseppe Sgambato, presentatosi spontaneamente ai carabinieri apprendevano che il Varrone incontratosi con esso –Sgambato aveva a lui dichiarato che “due o tre persone lo avevano aggredito ed una gli era saltata addosso e lui aveva sferrato una coltellata mentre un’altra persona gli aveva gridato di “andare a vedere  Angiolina a’ volpe”. Intanto i carabinieri procedevano all’interrogatorio della donna ferita presso l’ospedale napoletano la quale dichiarava che “ mentre si recava in un pagliaio adiacente alla sua abitazione,  per prelevare della legna  per la cottura del pane era stata avvicinata – nel passare attraverso il fondo confinante con quello del Varrone – costui le domandò quando avrebbe sfornato il pane. Poi improvvisamente gli si avventò contro e gridando: “ O me o a nessuno”,  la colpì con un pugnale.

La Carfora poi precisava che nonostante fosse stata qualche tempo prima violentata  dal Varrone ella si era sempre rifiutata di fidanzarsi con lui – data la disparità di posizione sociale tra le due famiglie – oltre che  buona condotta di lui il quale l’aveva perciò perseguitata diffidando anche le persone che avevano intenzione di fidanzarsi con lei a non farlo. I carabinieri interrogati il padre della Carfora, che aveva assunto di essere all’oscuro dei rapporti intercorsi tra la figliuola ed il Varrone,  nonché la sorella della ferita Raffaelina, che pure era accorsa  alle invocazioni di soccorso della Angelina riferivano altresì che la madre del vallone di Filomena Sgambato subito dopo il ferimento della Angela Carfora  aveva riportato delle lesioni ad opera del padre della Carfora. Ritenendolo responsabile di lesioni personali gravi nonché di detenzione e porto abusivo di pugnale proibito.   La Carfora confermava la precedente dichiarazione aggiungendo che da tempo si era fidanzata con tale Nicola Crisci da Arpaia e che la domenica successiva al giorno in cui venne ferita, avrebbe dovuto aver luogo le pubblicazioni per il suo futuro matrimonio. Soggiungeva che dimessa dall’ospedale il Varrone  aveva continuato a perseguitarla minacciandolo continuamente di morte tanto che lei era stata costretta a trasferirsi per un certo tempo presso un suo zio a Santa Maria a Vico. 


Il Varrone arrestato in esecuzione di mandato di cattura si protestava innocente dichiarando che la Angelina Carfora, malgrado avesse mancato con lui ed egli intendesse riparare, si era rifiutato di sposarlo assumendo che il proprio padre non aveva acconsentito alle nozze.  Che egli aveva anche raggiunto la Carfora in Arpaia  ed aveva insistito nella sua richiesta ma senza alcun risultato. Che aveva confidato ad uno sconosciuto di aver mancato con la Carfora e che il padre di costei non acconsentiva tuttavia alle nozze  e che la Carfora, ritornata in paese, aveva tentato di ferirlo con un coltello in casa di tale Pasqualina Ferrara.  Il 27 giugno infine mentre egli era intento a zappare nel proprio fondo era stato avvicinato dalla Angelina Carfora e della di lei sorella Luisa le quali dopo alcune parole di minaccia lo avevano aggredito la Angela estraendo dal petto un coltello la Luisa impugnando una grossa baionetta tedesca; che avendo egli cercato di trattenere la  Angelina Carfora, la Luisa gli si era passata alle spalle onde colpirlo con la baionetta; che nella colluttazione erano caduti tutti e tre a terra in tal modo la Carfora Luisa credendo di colpire lui aveva invece dovuto colpire la sorella. Al termine della  istruttoria formale,  poiché la madre del Varrone aveva sporto tempestiva querela per le lesioni cagionate da Domenico Carfora,  Armando Varrone e il Carfora Domenico è la stessa Carfora  Angelina venivano, con sentenza del 29 aprile  1953, inviati a giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere dei reati ad essi rispettivamente assegnati. La Carfora aveva  insistito nelle dichiarazioni rese davanti agli inquirenti e quale imputata negò di aver tentato prima del 27 giugno 50 in casa di Pasqualina Ferrara di ferire con un coltello il Varrone, ma al riguardo spiegò che la Ferrara si era ferita casualmente nel cercare di allontanarla dal Varrone  e che essa mentre affettava del pane  con un coltello da tavola si era ferita.  Domenico Carfora interrogato, ha dal canto suo, negato di avere dopo il ferimento della propria figlia Angela percossa la madre del Varrone che invece aveva soltanto e sia pur vivacemente scosso dalle braccia gridandole che “gli aveva inguaiato la casa”.  

E’ evidente la colpevolezza del Varrone - secondo gli inquirenti - in ordine alla imputazione di tentato omicidio in persone della Angela Carfora. Basterebbe rilevare la diversità delle due versioni rese dall’imputato sulle circostanze in cui la Carfora rimase ferita per poter escludere che entrambe le versioni già di per sé stessi inattendibili non rispondono al vero e che il ferimento anziché esser stato cagionato per “abberratio ictus”,  dalla  Luisa Carfora -  secondo l’assunto dell’imputato -  fu invece opera cosciente volontaria in quest’ultimo. Ma ciò si rileva ancora più chiaramente non solo dalle dichiarazioni della persona offesa la quale sin dal momento in cui veniva soccorso e trasportato all’ospedale ebbe a riferire a coloro che l’accompagnavano, di essere stata colpita con un coltello dal Varrone che aveva esclamato: “Non sei buona per me, non sei buona per nessun altro”,  ma anche da quelle rese ai carabinieri e successivamente dalla  Luisa Carfora che accorse insieme alla sorella alle invocazioni soccorso della ferita e più ancora delle dichiarazioni rese dal nominato Giuseppe Sgambato cugino tanto della Carfora che del Varrone. 

Lo Sgambato,  che si presentò spontaneamente i carabinieri,  dichiarò infatti a costoro che il Varrone, avendolo incontrato la stessa mattina del 27 per la strada, gli aveva detto  che ”Due o tre di loro gli erano saltate addosso e che egli aveva  dato una coltellata invitandolo quindi ad andare a vedere “Angiolina volpe” e cioè la Carfora Angelina”.  Agli inquirenti  lo Sgambato era subito apparso falso;  che il Varrone gli aveva riferito soltanto  che la Angelina aveva avuto una coltellata e che era stato invece lui ad interpretare in base alle parole dette. Per gli investigatori  la coltellata era stata sferrata certamente dal Varrone.  Questa tesi marrone  è evidente,  considerando le più esplicite circostanziate dichiarazioni rese anche in istruttoria dallo Sgambato che questi, ancora una volta,  ha cercato di aiutare il Varrone,  la cui prima versione adombrava un abbozzo di legittima difesa. E’ sintomatico – stigmatizzarono gli inquirenti – che  Sgambato s’era affrettato a prospettare ai carabinieri tali tesi presentandosi a costoro spontaneamente.  I ricordati elementi rendono ben chiaro il reale svolgimento dei fatti che d’altronde trovano spiegazione logica degli stessi rapporti intercorsi fino a quel giorno tra gli incidenti verificatisi fra loro qualche giorno prima del 27 il giorno del delitto.  Dal complesso della prova testimoniale  - evidenziano ancora gli inquirenti – è risultato infatti che la Carfora pur essendosi concessa più volte al Varrone che l’aveva sedotta come ella stessa ha finito con l’ammettere non aveva voluto più saperne di continuare la relazione col Varrone rifiutando anche la proposta di matrimonio di costui. Il Varrone invaghito ormai dalla Carfora (che non è affatto provato che egli nullatenente tendesse invece al matrimonio solo per una conveniente sistemazione economica) aveva continuato ad insistere presso la Carfora e non aveva esitato di fronte all’ostinato rifiuto della donna a volgarmente diffamarla svelando a chiunque avesse occasione di parlare della  Carfora  che costei era stata sua.  Tale  suo comportamento e la sua insistenza avevano finito con lo inasprire la Carfora che invece teneva molto  che la sua relazione con Varrone rimanesse nascosta,  la quale,  avuto un abboccamento col giovane in casa di Pasqualina Ferrara lo aveva diffidato formalmente a farsi i fatti suoi negando ancora una volta  - data la presenza della Ferrara  - di essere stata da lui posseduta e poiché il Varrone aveva ancora  ciò affermato essa aveva tentato di colpirlo con un coltello colpendo invece la Ferrara che aveva cercato di impedirglielo. 
A sinistra il Sen. Avv. Pompeo Rendina con il nostro direttore all'ingresso del Palazzo di Giustizia negli anni Ottanta


Evidente quindi di fronte al primo atteggiamento assunto dalla Carfora decisa ormai a troncare ogni rapporto con il Varrone che questi avendo nel frattempo inteso parlare di un imminente fidanzamento della Carfora decise di uccidere costei ed a tale scopo avendola vista il 27 giugno dalla propria abitazione uscire di casa e dirigersi al pagliaio poco lontano dal proprio fondo  la avvicinò aggredendola e accoltellandola. Le parole da lui pronunciate nell’atto di vibrare il colpo dimostrano esaurientemente che il Varrone perdendo il controllo delle proprie azioni ed in preda alla sua morbosa passione avesse proprio deciso di uccidere la Carfora; d’altra parte il mezzo adoperato se non la baionetta tedesca di cui parla la Carfora di certo un lungo micidiale pugnale, la regione del corpo visibile, la forza con cui il colpo venne liberato e che cagionò la lesione  della milza, dimostrano chiaramente che la intenzione del Varrone fu non già di ferire ma di uccidere la Carfora che si salvò difatti miracolosamente per un pronto intervento chirurgico.  



                     La vicenda giudiziaria



La Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Napoli, a chiusura della indagine, ordinò il rinvio a giudizio innanzi la Corte di Assise di donato, Santa Maria Capua Vetere ( Presidente, Giovanni Morfino,  giudice a latere, Victor Ugo De Donato; giudici popolari: Tommaso Zompa, Luigi Foglia, Pasquale Cacciapuoti, Luca Marzano, Vittorio Borsi, e Egidio Mastrominico) di Armando Varrone,  n. 1930 a Santa Maria A Vico, Domenico Carfora n. 1984 a San Felice a Cancello,  e Angela Carfora  n. 1926 San Felice a Cancello.  Il Varrone era accusato di aver tentato di cagionare la morte di Angela Carfora mediante alcuni colpi di pugnale al fianco sinistro. Fatto accaduto in agro di  San Felice a Cancello il 27. Giugno 1950 nonché di gravi minacce contro la stessa Angela Carfora di anni 24. Il Domenico Carfora rispondeva invece di aver procurato lesioni con calci e pugni a Filomena Sgambato (fatto accaduto in San Marco di San Felice a Cancello il 27 giugno del 1950).


Angela Carfora era accusata di aver tentato di cagionare ad Armando Varrone lesioni personali volontarie e per avere  “aberratio ictus”  prodotte le lesioni invece a Pasqualina Ferrara.   In dibattimento il Varrone ha  negato non solo di aver minacciato la  Angelina Carfora,  dopo il ferimento, ma anche  negato di essere stato l’autore del ferimento stesso al riguardo ha chiarito  che le sorelle  Carfora lo avevano minacciato  e accusato di aver lui minacciato il fidanzato della prima; che alle sue proteste di innocenza le due sorelle gli si erano avventate contro. Che  lo avevano aggredito alle spalle, impugnato la baionetta con la quale avevano cercato di colpirlo non essendoci riuscite  perché lui aveva fulmineamente scartato il colpo.  Che la Luisa aveva per errore colpito la Angelina volendo,  però,  colpire lui. Che, infine, essendo caduti per terra egli era riuscito a fuggire inseguito dalla  Luisa che aveva tentato ancora di colpirlo lanciandogli contro la baionetta.  Pertanto si può affermare la colpevolezza del vallone per tentato omicidio in persona della Carfora sia pure col beneficio delle attenuanti generiche queste malgrado i non buoni precedenti penali, possono essergli infatti concessi in considerazione e della giovane età di esso Varrone e del suo stato di animo derivatogli dalla passione nutrita per la Carfora e dal rifiuto - per la verità piuttosto capriccioso - opposto da costei anche alle offerte di legittime nozze. 
Avv. Sen. Pompeo Rendina 


Non può essere concesso all’imputato invero anche la invocata attenuante della provocazione non potendo  il rifiuto della Carfora a concedersi ulteriormente ed a sposarsi considerarsi un fatto ingiusto e provocatorio costituendo essi invece un diritto della Carfora. Il Varrone come si è notato aggredì la Carfora armato di pugnale e va  dichiarato inoltre colpevole del porto del detto pugnale.  Egli invece deve essere assoluta dal delitto di minacce gravi continuate in pregiudizi della Carfora  quantomeno per insufficienza di prove.
La Corte di Assise di Appello (Presidente Giulio La Marca, giudice a latere Antonio Grieco, pubblico ministero, procuratore generale Angelo Peluso) in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere,  con la concessione delle attenuanti della provocazione, ridusse la pena da anni 10  ad anni 5  e mesi otto. Nel processo furono impegnati gli avvocati: Ettore Botti,  Giovanbattista Leone, Pasquale Vitale, Salvatore Fusco e Pompeo Rendina.



 (*)Franca Viola (Alcamo, 9 gennaio 1947) è stata la prima 

donna italiana a ... La ragazza fu violentata e quindi 

segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del 

... non più vergine, avrebbe dovuto  

necessariamente sposare il suo rapitore, ...

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