"O
sarai mia o di nessuno…" Lei si rifiutò, lui tentò di ucciderla con un colpo di
pugnale al fianco. Era stata in precedenza violentata ma non volle accettare il
matrimonio riparatore.
Accadde in agro di San Felice a Cancello il 26 giugno del 1950
Una Franca Viola antesignana?(*)
San
Felice a Cancello – Il 27 giugno del 1950, Angela Carfora, di anni 24, veniva ricoverata all’Ospedale
Cardarelli di Napoli, in imminente
pericolo di vita, per ferite da punta e taglio al fianco sinistro, nono spazio intercostale
ascellare medio. I carabinieri di Santa Maria a Vico avevano raccolto una deposizione della donna
la quale aveva dichiarato di essere stata ferita verso le ore 6,3° dello stesso
giorno da un suo corteggiatore, tal Armando
Varrone, di anni 20 da Santa Maria a Vico, subito ricercato ma già datosi
alla latitanza. Si appura inoltre che la sorella della giovane, a nome Luisa, aveva soccorso immediatamente la
stessa notando che il feritore si era allontanato in direzione di Cancello. Dalle
deposizioni di tale Giuseppe Sgambato,
presentatosi spontaneamente ai carabinieri apprendevano che il Varrone
incontratosi con esso –Sgambato aveva a lui dichiarato che “due o tre persone
lo avevano aggredito ed una gli era saltata addosso e lui aveva sferrato una
coltellata mentre un’altra persona gli aveva gridato di “andare a vedere Angiolina a’
volpe”. Intanto i carabinieri procedevano all’interrogatorio della donna
ferita presso l’ospedale napoletano la quale dichiarava che “ mentre si recava
in un pagliaio adiacente alla sua abitazione,
per prelevare della legna per la
cottura del pane era stata avvicinata – nel passare attraverso il fondo
confinante con quello del Varrone – costui le domandò quando avrebbe sfornato
il pane. Poi improvvisamente gli si avventò contro e gridando: “ O me o a nessuno”, la colpì con un pugnale.
La Carfora poi
precisava che nonostante fosse stata qualche tempo prima violentata dal Varrone ella si era sempre rifiutata di
fidanzarsi con lui – data la disparità di posizione sociale tra le due famiglie
– oltre che buona condotta di lui il quale l’aveva perciò
perseguitata diffidando anche le persone che avevano intenzione di fidanzarsi
con lei a non farlo. I carabinieri interrogati il padre della Carfora, che
aveva assunto di essere all’oscuro dei rapporti intercorsi tra la figliuola ed
il Varrone, nonché la sorella della
ferita Raffaelina, che pure era accorsa alle invocazioni di soccorso della Angelina
riferivano altresì che la madre del vallone di Filomena Sgambato subito dopo il
ferimento della Angela Carfora aveva
riportato delle lesioni ad opera del padre della Carfora. Ritenendolo
responsabile di lesioni personali gravi nonché di detenzione e porto abusivo di
pugnale proibito. La Carfora confermava
la precedente dichiarazione aggiungendo che da tempo si era fidanzata con tale Nicola Crisci da Arpaia e che la
domenica successiva al giorno in cui venne ferita, avrebbe dovuto aver luogo le
pubblicazioni per il suo futuro matrimonio. Soggiungeva che dimessa
dall’ospedale il Varrone aveva
continuato a perseguitarla minacciandolo continuamente di morte tanto che lei
era stata costretta a trasferirsi per un certo tempo presso un suo zio a Santa
Maria a Vico.
Il Varrone arrestato in
esecuzione di mandato di cattura si protestava innocente dichiarando che la Angelina
Carfora, malgrado avesse mancato con lui ed egli intendesse riparare, si era
rifiutato di sposarlo assumendo che il proprio padre non aveva acconsentito
alle nozze. Che egli aveva anche
raggiunto la Carfora in Arpaia ed aveva
insistito nella sua richiesta ma senza alcun risultato. Che aveva confidato ad
uno sconosciuto di aver mancato con la Carfora e che il padre di costei non
acconsentiva tuttavia alle nozze e che
la Carfora, ritornata in paese, aveva tentato di ferirlo con un coltello in
casa di tale Pasqualina Ferrara. Il 27 giugno infine mentre egli era intento a
zappare nel proprio fondo era stato avvicinato dalla Angelina Carfora e della di lei sorella Luisa le quali dopo alcune parole di minaccia lo avevano aggredito
la Angela estraendo dal petto un
coltello la Luisa impugnando una
grossa baionetta tedesca; che avendo egli cercato di trattenere la Angelina Carfora, la Luisa gli si era passata
alle spalle onde colpirlo con la baionetta; che nella colluttazione erano
caduti tutti e tre a terra in tal modo la Carfora Luisa credendo di colpire lui
aveva invece dovuto colpire la sorella. Al termine della istruttoria formale, poiché la madre del Varrone aveva sporto
tempestiva querela per le lesioni cagionate da Domenico Carfora, Armando Varrone e il Carfora Domenico è la
stessa Carfora Angelina venivano, con
sentenza del 29 aprile 1953, inviati a
giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere dei
reati ad essi rispettivamente assegnati. La Carfora aveva insistito nelle dichiarazioni rese davanti
agli inquirenti e quale imputata negò di aver tentato prima del 27 giugno 50 in
casa di Pasqualina Ferrara di ferire
con un coltello il Varrone, ma al riguardo spiegò che la Ferrara si era ferita
casualmente nel cercare di allontanarla dal Varrone e che essa mentre affettava del pane con un coltello da tavola si era ferita. Domenico
Carfora interrogato, ha dal canto suo, negato di avere dopo il ferimento
della propria figlia Angela percossa la madre del Varrone che invece aveva
soltanto e sia pur vivacemente scosso dalle braccia gridandole che “gli aveva inguaiato la casa”.
E’ evidente la colpevolezza del Varrone -
secondo gli inquirenti - in ordine alla imputazione di tentato omicidio in persone
della Angela Carfora. Basterebbe
rilevare la diversità delle due versioni rese dall’imputato sulle circostanze
in cui la Carfora rimase ferita per poter escludere che entrambe le versioni
già di per sé stessi inattendibili non rispondono al vero e che il ferimento
anziché esser stato cagionato per “abberratio
ictus”, dalla Luisa Carfora - secondo l’assunto dell’imputato - fu invece opera cosciente volontaria in
quest’ultimo. Ma ciò si rileva ancora più chiaramente non solo dalle
dichiarazioni della persona offesa la quale sin dal momento in cui veniva
soccorso e trasportato all’ospedale ebbe a riferire a coloro che l’accompagnavano,
di essere stata colpita con un coltello dal Varrone che aveva esclamato: “Non sei buona per me, non sei buona per
nessun altro”, ma anche da quelle
rese ai carabinieri e successivamente dalla Luisa Carfora che accorse insieme alla sorella
alle invocazioni soccorso della ferita e più ancora delle dichiarazioni rese
dal nominato Giuseppe Sgambato cugino tanto della Carfora che del Varrone.
Lo Sgambato, che si presentò spontaneamente i carabinieri, dichiarò infatti a costoro che il Varrone,
avendolo incontrato la stessa mattina del 27 per la strada, gli aveva detto che ”Due
o tre di loro gli erano saltate addosso e che egli aveva dato una coltellata invitandolo quindi ad
andare a vedere “Angiolina volpe” e cioè la Carfora Angelina”. Agli inquirenti lo Sgambato era subito apparso falso; che il Varrone gli aveva riferito soltanto che la Angelina aveva avuto una coltellata e
che era stato invece lui ad interpretare in base alle parole dette. Per gli
investigatori la coltellata era stata
sferrata certamente dal Varrone. Questa
tesi marrone è evidente, considerando le più esplicite circostanziate
dichiarazioni rese anche in istruttoria dallo Sgambato che questi, ancora una
volta, ha cercato di aiutare il Varrone, la cui prima versione adombrava un abbozzo di
legittima difesa. E’ sintomatico – stigmatizzarono gli inquirenti – che Sgambato s’era affrettato a prospettare ai carabinieri
tali tesi presentandosi a costoro spontaneamente. I ricordati elementi rendono ben chiaro il reale
svolgimento dei fatti che d’altronde trovano spiegazione logica degli stessi
rapporti intercorsi fino a quel giorno tra gli incidenti verificatisi fra loro
qualche giorno prima del 27 il giorno del delitto. Dal complesso della prova testimoniale - evidenziano ancora gli inquirenti – è risultato
infatti che la Carfora pur essendosi concessa più volte al Varrone che l’aveva
sedotta come ella stessa ha finito con l’ammettere non aveva voluto più saperne
di continuare la relazione col Varrone rifiutando anche la proposta di
matrimonio di costui. Il Varrone invaghito ormai dalla Carfora (che non è
affatto provato che egli nullatenente tendesse invece al matrimonio solo per
una conveniente sistemazione economica) aveva continuato ad insistere presso la
Carfora e non aveva esitato di fronte all’ostinato rifiuto della donna a
volgarmente diffamarla svelando a chiunque avesse occasione di parlare della Carfora che costei era stata sua. Tale suo comportamento e la sua insistenza avevano
finito con lo inasprire la Carfora che invece teneva molto che la sua relazione con Varrone rimanesse
nascosta, la quale, avuto un abboccamento col giovane in casa di Pasqualina Ferrara lo aveva diffidato
formalmente a farsi i fatti suoi negando ancora una volta - data la presenza della Ferrara - di essere stata da lui posseduta e poiché il
Varrone aveva ancora ciò affermato essa
aveva tentato di colpirlo con un coltello colpendo invece la Ferrara che aveva
cercato di impedirglielo.
A sinistra il Sen. Avv. Pompeo Rendina con il nostro direttore all'ingresso del Palazzo di Giustizia negli anni Ottanta |
Evidente
quindi di fronte al primo atteggiamento assunto dalla Carfora decisa ormai a
troncare ogni rapporto con il Varrone che questi avendo nel frattempo inteso
parlare di un imminente fidanzamento della Carfora decise di uccidere costei ed
a tale scopo avendola vista il 27 giugno dalla propria abitazione uscire di
casa e dirigersi al pagliaio poco lontano dal proprio fondo la avvicinò aggredendola e accoltellandola. Le
parole da lui pronunciate nell’atto di vibrare il colpo dimostrano
esaurientemente che il Varrone perdendo il controllo delle proprie azioni ed in
preda alla sua morbosa passione avesse proprio deciso di uccidere la Carfora;
d’altra parte il mezzo adoperato se non la baionetta tedesca di cui parla la
Carfora di certo un lungo micidiale pugnale, la regione del corpo visibile, la
forza con cui il colpo venne liberato e che cagionò la lesione della milza, dimostrano chiaramente che la
intenzione del Varrone fu non già di ferire ma di uccidere la Carfora che si
salvò difatti miracolosamente per un pronto intervento chirurgico.
La
vicenda giudiziaria
La Sezione Istruttoria della
Corte di Appello di Napoli, a chiusura della indagine, ordinò il rinvio a
giudizio innanzi la Corte di Assise di donato, Santa Maria Capua Vetere (
Presidente, Giovanni Morfino, giudice a latere, Victor Ugo De Donato; giudici popolari: Tommaso Zompa, Luigi Foglia, Pasquale Cacciapuoti, Luca Marzano,
Vittorio Borsi, e Egidio
Mastrominico) di Armando Varrone, n. 1930 a Santa Maria A Vico, Domenico Carfora n. 1984 a San Felice a
Cancello, e Angela Carfora n. 1926 San
Felice a Cancello. Il Varrone era
accusato di aver tentato di cagionare la morte di Angela Carfora mediante alcuni colpi di pugnale al fianco sinistro.
Fatto accaduto in agro di San Felice a
Cancello il 27. Giugno 1950 nonché di gravi minacce contro la stessa Angela
Carfora di anni 24. Il Domenico Carfora rispondeva
invece di aver procurato lesioni con calci e pugni a Filomena Sgambato (fatto accaduto in San Marco di San Felice a
Cancello il 27 giugno del 1950).
Angela
Carfora era accusata di aver tentato di cagionare ad Armando Varrone lesioni personali volontarie e per avere “aberratio
ictus” prodotte le lesioni invece a Pasqualina Ferrara. In dibattimento il Varrone ha
negato non solo di aver minacciato la
Angelina Carfora, dopo il
ferimento, ma anche negato di essere
stato l’autore del ferimento stesso al riguardo ha chiarito che le sorelle Carfora lo avevano minacciato e accusato di aver lui minacciato il
fidanzato della prima; che alle sue proteste di innocenza le due sorelle gli si
erano avventate contro. Che lo avevano
aggredito alle spalle, impugnato la baionetta con la quale avevano cercato di
colpirlo non essendoci riuscite perché
lui aveva fulmineamente scartato il colpo.
Che la Luisa aveva per errore colpito la Angelina volendo, però,
colpire lui. Che, infine, essendo caduti per terra egli era riuscito a
fuggire inseguito dalla Luisa che aveva
tentato ancora di colpirlo lanciandogli contro la baionetta. Pertanto si può affermare la colpevolezza del
vallone per tentato omicidio in persona della Carfora sia pure col beneficio delle
attenuanti generiche queste malgrado i non buoni precedenti penali, possono
essergli infatti concessi in considerazione e della giovane età di esso Varrone
e del suo stato di animo derivatogli dalla passione nutrita per la Carfora e
dal rifiuto - per la verità piuttosto capriccioso - opposto da costei anche
alle offerte di legittime nozze.
Avv. Sen. Pompeo Rendina |
Non può
essere concesso all’imputato invero anche la invocata attenuante della
provocazione non potendo il rifiuto
della Carfora a concedersi ulteriormente ed a sposarsi considerarsi un fatto
ingiusto e provocatorio costituendo essi invece un diritto della Carfora. Il Varrone
come si è notato aggredì la Carfora armato di pugnale e va dichiarato inoltre colpevole del porto del
detto pugnale. Egli invece deve essere
assoluta dal delitto di minacce gravi continuate in pregiudizi della Carfora quantomeno per insufficienza di prove.
La Corte di Assise di Appello
(Presidente Giulio La Marca, giudice
a latere Antonio Grieco, pubblico
ministero, procuratore generale Angelo
Peluso) in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Santa
Maria Capua Vetere, con la concessione
delle attenuanti della provocazione, ridusse la pena da anni 10 ad anni 5
e mesi otto. Nel processo
furono impegnati gli avvocati: Ettore
Botti, Giovanbattista Leone, Pasquale Vitale, Salvatore Fusco e Pompeo Rendina.
(*)Franca Viola (Alcamo, 9 gennaio 1947) è stata la prima
donna italiana a ... La ragazza fu violentata e quindi
segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del
... non più vergine, avrebbe dovuto
necessariamente sposare il suo rapitore, ...
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