Translate

giovedì 21 gennaio 2016







    


Libri: "Storia di un giudice nel far west della 'Ndrangheta", di Francesco Cascini


Stampa
recensione di Carmelo Musumeci (ergastolano)

Ristretti Orizzonti, 21 gennaio 2016

Da tempo sono convinto che i libri ti possono aiutare a trovare nuovi modi di pensare. Forse per questo spesso quando mi chiudono il cancello della mia cella non accendo neppure la televisione e mi sdraio nella mia branda leggendo un libro dalla mia scorta personale che mi mandano dal mondo dei vivi. Ieri sera ho preso fra le mani uno strano libro dal titolo "Storia di un giudice", sottotitolo: "Nel far west della 'Ndrangheta" di Francesco Cascini (edito da Einaudi). E l'ho letto in tre ore.
Talmente era interessante che mi sono interrotto solo per fumarmi quattro sigarette e una volta per andare in bagno perché mi stavo pisciando addosso. Sinceramente ho sempre pensato che i giudici, nella stragrande maggioranza dei casi, non fossero migliori dei delinquenti. Forse perché fin da bambino quando mia nonna mi portava a fare la spesa nella piazzetta del paese e vedeva un uomo in divisa (poteva essere anche un vigile urbano) mi diceva: "Stai attento a quello ... è l'uomo nero". Sinceramente, sono sempre stato convinto che la differenza fra giudici e criminali era solo che i primi applicassero delle leggi scritte e i secondi delle leggi non scritte. E in tutti i casi ho sempre creduto che anche i criminali hanno dentro di loro dell'umanità,+ solo che alcuni di loro non lo sanno e altri non sanno come usarla. Incredibilmente, questo libro mi ha fatto capire che nella vita avrei potuto anche essere un buon giudice. Ecco alcuni brani che mi hanno particolarmente colpito di questo libro:

- È indispensabile affrontare la lettura di ciascun fascicolo, anche quello relativo a eventi di scarsa gravità, con competenza e professionalità, ma soprattutto con la sensibilità per comprendere l'importanza personale, morale e patrimoniale che quei fatti hanno per ciascuna delle persone coinvolte in un procedimento penale.
Penso però che fin quando non si curano i cuori delle persone un certo tipo di criminalità non potrà mai essere sconfitta.

- Noi non siamo, non siamo depositari della verità e non siamo chiamati a salvare il mondo. Siamo funzionari dello stato che devono applicare con rigore le regole e la legge.
Io aggiungerei anche con il cuore.

- Quando ammazzavano qualcuno, erano tante le persone che si autoassolvevano per il loro disinteresse: "Se è finito in quel modo qualcosa avrà pur fatto".
Spesso si punisce il reato, ma non interessa a nessuno il perché una persona commette un reato.

- Perché dovrebbero fidarsi di noi? Perché le persone dovrebbero ragionare in modo diverso dallo Stato che si nasconde?
Credo che molti delinquenti non sono cattivi, ma fanno solo i cattivi commettendo dei brutti reati.

- La 'ndrangheta vera non è solo quella che spara o che fa le estorsioni. La 'ndrangheta vera è quella dei soldi, degli investimenti, della politica, dell'economia, del potere.
In carcere ci vanno solo i pesci piccoli e spesso ce li mandano gli stessi pescecani per rimanere pescecani.

- Mi fece una grande tenerezza e mi pentii di non essere riuscito a ringraziarla e dirle quanto le volevo bene.
Mi capitava anche a me quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis di non riuscire a dire ai miei figli e alla mia compagna quanto li amavo in quell'unica ora di colloquio al mese tramite un vetro divisorio.

- Parlai per sei ore consecutive senza essere sicuro di avere il coraggio di richiedere una condanna all'ergastolo. Avevo sempre pensato che l'ergastolo fosse una sanzione ingiusta. Contraria ai nostri principi costituzionali. La pena deve tendere alla rieducazione e un fine pena mai non può consentire di raggiungere questo risultato.
Senza speranza è difficile rimanere umani. L'arma più grande che abbiamo per sconfiggere la criminalità non è il carcere, neppure il regime di tortura del 41 bis, ma è la nostra Carta Costituzionale. È difficile migliorare quando capisci che non esisti più e non conti più nulla. Ogni essere umano per migliorare e riflettere sul male che ha commesso ha bisogno di sperare e di essere condannato ad amare ed essere amato, perché solo l'amore sociale ti fa uscire il senso di colpa.

Giudice Francesco Cascini, penso che l'educazione e l'ambiente sono fattori molto importanti e determinanti nelle scelte di una persona dato, che spesso è difficile distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato perché questo di solito viene deciso dall'ambiente in cui sei cresciuto. Molti studiosi invece affermano che la ragione e il coraggio sono più determinanti dell'ambiente sociale, culturale e familiari di dove sei nato e chiunque può uscire fuori dalla "caverna". Non so chi abbia ragione. So però che io non ce l'ho fatta. E anche se sono nato colpevole ho deciso di diventarlo.
Le confido che però dopo aver letto il suo libro non la vedo più come un nemico o come un uomo nero (e che "vada al diavolo" anche quella brava donna che era mia nonna) ma solo come un uomo che ha fatto delle scelte diverse dalle mie. E sono convinto che il suo libro (le consiglio di farlo girare nelle biblioteche delle carceri) può dare un duro colpo alla 'Ndrangheta più di tanti ergastoli o inutili anni di carceri. Buona vita. Un sorriso fra le sbarre.






 

Nel Far West della 'ndrangheta
2010
Stile libero Big
pp. 178 
€ 15,50
ISBN 9788806201265

La storia di un «giudice ragazzino» di prima nomina nella Locride. 
Un Far West dove la legge non scritta della criminalità organizzata sembra valere piú di quella dello Stato. 
E dove è faticoso, spesso impossibile, districarsi con le sole armi dei codici e dell'investigazione.
Ma questo non basta ad arrendersi.
Un racconto asciutto e appassionante, e una testimonianza civile sulla difficoltà di amministrare la giustizia.
Altre edizioni:Storia di un giudice. 2010. eBook 
Alla fine degli anni '90 il giovane magistrato Francesco Cascini viene assegnato alla Procura di Locri: è il suo primo incarico dopo la nomina, l'ultimo posto disponibile nella graduatoria. Spaventato e pieno di dubbi, ma anche determinato e carico di buone intenzioni, si ritrova a dover applicare la legge in un territorio controllato dalla 'ndrangheta. Frustrazione e insuccessi fanno venir voglia di andarsene prima possibile, ma il crescente amore per quella terra e la sua gente e il senso stesso della missione di magistrato impongono di rimanere, e provare ancora.
Questo racconto è il ritratto di un Paese pieno di paradossi. Nei territori piú delicati e complessi i magistrati sono sempre «di passaggio», e far entrare i fenomeni illegali nei binari di un processo per perseguire reati e responsabilità è spesso un'impresa eroica, talvolta considerata folle o sciocca dagli stessi colleghi. A Locri un giudice sembra destinato a perdere. Ma lo sguardo di Cascini su questo mondo feroce e contraddittorio è anche lo sguardo di chi crede che la legge sia ancora l'unico, necessario spiraglio.

«Avevo fallito, avevo perso. Ma erano passati già diciotto mesi e mi stavo abituando ai fucili caricati a pallettoni, all'odore dei morti, alle autopsie, al Vicks, a rincorrere la verità. Soprattutto, mi stavo abituando a perdere».

 


















Nessun commento:

Posta un commento