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martedì 9 febbraio 2016

Condannati per aver pubblicato notize su un’indagine in corso. La vicenda di un giornalista e un blogger abruzzese

Un giornalista e un blogger abruzzesi sono stati condannati a Teramo per violazione del segreto investigativo. La colpa di Fabio Capolla e Giancarlo Falconi, secondo quello che si legge sul sito di Repubblica, sarebbe stata solo quella di aver pubblicato, il primo sulle colonne del Tempo e il secondo sul blog, una notizia relativa a una denuncia per molestie sessuali e mobbing in un ufficio pubblico con protagonista una vigilessa di Teramo e il comandante della Polizia Municipale.
Al di là dei 160 euro di ammenda, pena sospesa, spiega il sito, a destare incredulità è tutto lo svolgimento della vicenda definita da entrambi i protagonisti “assurda”, soprattutto nel merito delle prove portate a processo. I fatti risalgono a febbraio 2013. I due ritenendo la notizia di interesse pubblico la scrivono. Ma non è “dello stesso avviso però il pm della Procura di Teramo, Laura Colica, che inizia sì le indagini sulle molestie, ma apre un fascicolo per violazione di segreto d’indagine”.
“Secondo l’accusa, i due avrebbero reso pubblica la querela scritta dalla vigilessa (imputata anche lei per violazione di segreto e a processo con rito ordinario) e consegnata alla polizia giudiziaria: un documento (tra l’altro non pubblicato per intero) il cui contenuto, secondo la pm, doveva restare totalmente segreto”.
Qui il primo punto controverso e contestato dai legali della difesa, con l’avvocato di Falconi che precisa “La querela scritta non può essere un documento sottoposto a segreto d’indagine perché non viene dalla Procura ma direttamente dalla parte che sporge denuncia”. I due decidono di andare a processo chiedendo il rito abbreviato, per “una precisa strategia processuale, spiegano i legali. Negli atti acquisiti fino a quel momento, infatti, manca proprio la stessa querela che, a rigor di logica, il giudice avrebbe dovuto confrontare con gli articoli per stabilire la colpevolezza degli imputati. Dentro il fascicolo sono presenti solo i tabulati telefonici (non le intercettazioni) che dimostrano solo che i tre imputati si erano parlati al telefono. E col rito abbreviato non sono ammesse ulteriori prove”.
E alla fine, tre anni dopo, è arrivata la condanna. Commenti alla vicenda sono arrivate dal Sindacato Giornalisti Abruzzesi (Sga) che ha parlato di una condanna “per aver raccontato un fatto vero”, del quale “il giornalista può essere venuto a conoscenza in molti modi ed è questo che rende ancor più incomprensibile la condanna ad opera del Tribunale di Teramo per violazione del segreto istruttorio”.
Solidarietà anche dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, secondo il quale “i giornalisti hanno l’obbligo di pubblicare le notizie che ritengono di interesse pubblico”. “È molto comodo condannare i giornalisti e far finta di nulla nei confronti di chi quelle informazioni le ha fornite loro. In molti Paesi di più consolidata tradizione liberale non si condannano i giornalisti, ma i veri colpevoli di quel reato”, ha detto.

Anche quella della pena sospesa, che evita agli imputati di pagare l’ammenda, secondo Falconi, è invece un danno ulteriore: “Significa che per questa volta non dovranno sborsare una somma minima ma, di fatto, toglie loro la possibilità di usufruire in futuro della sospensione della pena. Somiglia molto a un avvertimento, come per dire: ‘La prossima volta prima di scrivere pensateci due volte’”.

Article printed from Prima Comunicazione: http://www.primaonline.it
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