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venerdì 19 febbraio 2016

Diffamazione: la (non) riforma è una vergogna

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di Ignazio Ingrao

Panorama, 19 febbraio 2016

La legge che dovrebbe abolire il carcere per i giornalisti "balla" dal 2013. E in Parlamento è di nuovo bloccata. Persa nelle nebbie dei bicameralismo. È il destino della riforma della legge sulla diffamazione chiesta a più riprese e con urgenza dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). L'iter è iniziato nel maggio 2013 dopo che il direttore di Panorama, Giorgio Mule, era stato condannato "per omesso controllo" a otto mesi di carcere senza condizionale dal Tribunale di Milano sulla diffamazione ai danni dell'allora procuratore di Palermo, Francesco Messineo, in relazione a un articolo del 2010.

Un anno di carcere era stato inflitto al giornalista Andrea Marcenaro e altrettanto, ma con il beneficio della condizionale, al collega di Palermo Riccardo Arena. Immediatamente era intervenuta la responsabile per la libertà dei media dell'Osce, Dunia Mijatovic, chiedendo che l'Italia abolisse al più presto il carcere per i giornalisti. Il 17 ottobre 2013 la Camera aveva approvato il disegno di legge sull'abolizione del carcere per i giornalisti, la pubblicazione della rettifica come condizione dì non punibilità, la sanzione delle querele temerarie e un tetto alle richieste di risarcimento.
Al Senato la legge dopo un faticoso iter è stata approvata il 29 ottobre 2014, ma con alcune modifiche, in particolare in tema di risarcimenti e querele temerarie. Così è dovuta tornare alla Camera per una nuova lettura e l'aula ha impiegato nove mesi per esaminare la norma che l'Europa (nel frattempo sono piovute altre multe contro l'Italia) chiede con urgenza. Il dibattito è stato influenzato dalle discussioni sulla pubblicazione delle intercettazioni e altri temi che poco avevano a che vedere con l'obiettivo centrale della legge richiesto dalle istituzioni di Strasburgo: l'abolizione del carcere per i giornalisti, come nel resto d'Europa. Alla Camera sono intervenute nuove modifiche e così il testo è dovuto tornare al Senato dove ora giace alla commissione Giustizia, a cui è stato assegnato il 3 luglio 2015. Il 9 settembre è stato nominato il relatore, Rosanna Filippin (Pd), ma è tutto fermo in attesa dei pareri obbligatori delle commissioni Affari costituzionali, Bilancio e Lavori pubblici. Per superare lo scoglio, con l'accordo di tutti i capigruppo, il disegno di legge potrebbe essere direttamente portato in aula, ma al momento nessuna delle forze politiche sembra interessata al problema. E non è finita: c'è da tener presente la depenalizzazione del reato di ingiuria decisa dal Consiglio dei ministri il 15 gennaio scorso all'interno di un pacchetto di misure per "alleggerire" il codice penale. Così anche il disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che contiene misure relative all'ingiuria, rischia di dover essere modificato e tornare ancora a Montecitorio. Una tela di Penelope, insomma, che nasconde il desiderio di continuare a tenere i giornalisti sotto ricatto. Il partito della museruola alla stampa è davvero trasversale.

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