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domenica 28 febbraio 2016


Il grave fatto di sangue accadde nella Caserma 

Mezzacapo di  Capua il 22 settembre del 1951

Barbiere uccise a forbiciate il vicino 
che riteneva amante della moglie



Ritornava da un funerale allorquando Gaetano Guarino, 36enne,  uccise il vicino  47enne  Giuseppe Lanziello che riteneva amante della moglie. La donna, bella, affascinante, corteggiata da molti uomini, 30enne, era di Santa Maria Capua Vetere. Il Guarino – dopo aver colpito con le forbici il Lanziello – si portò nei pressi di una fontanina, che esisteva nel cortile,  ed iniziò a lavare l’arnese inzaccherato  di sangue e mentre compiva tale azione gridava  a squarciagola: “Ne ho fatto uno…”.


Capua -  Verso le ore 15, del 22 settembre del 1951, in mese assai caldo, nella caserma  dei Carabinieri, poco distante dal ponte sul Volturno, in una squallida e disadorna stanzetta si stava rivivendo l’epilogo del drammatico om icidio, perpetrato poco prima, nella Caserma Mezzacapo ( fatiscente fabbricato di via Pier delle Vigne, ove alloggiavano misere famiglie di modesti travet) al primo piano del caseggiato. Un uomo, il barbiere 37enne Gaetano Guarino, stremato e sconvolto in viso, sedeva ammanettato, innanzi al maresciallo maggiore Alberico Lombardi. Nella stanza c’erano  inoltre, anche il brig. Giuseppe Palumbo, l’app. Biagio Pagnano e il carabiniere Gennaro Migliaccio. Il giorno precedente, verso le ore 23, il mar. Lombardo venne a conoscenza che nell’ospedale Ferdinando Palasciano, era giunto cadavere tale Giuseppe Lanziello di anni 47 domiciliato nella Caserma Mezzacapo e che lo stesso aveva trovato la morte in seguito ad alcune coltellate vibrategli da un tale Gaetano Guarino, pochi momenti prima, nel cortile del caseggiato. E mentre l’assassino, manette ai polsi, veniva rinchiuso nella camera di sicurezza i carabinieri compirono il  sopralluogo sulla scena del crimine. Già nel cortile, una lunga scia di sangue portava al pianerottolo luogo del delitto e all’ingesso dell’abitazione della vittima.  Un fatto di sangue che aveva avuto numerosi testimoni oculari, tutti interrogati dai rappresentanti della Fedelissima: Domenico Lanziello, 55 anni, fratello dell’ucciso; Vincenzo Affinito, di anni 26; Aurelio Simeone di anni 28, manovale, Maria De Santis, di anni 37, casalinga; Giuditta Levita, di anni 55, casalinga; Anna Stellato, di anni 30, nativa di Santa Maria Capua Vetere, moglie dell’assassino tutti abitanti nel plesso ove era avvenuto 



il delitto. Dopo le diverse deposizioni gli inquirenti così ricostruirono l’accaduto. Verso le ore 22,30 del giorno precedente, sotto l’atrio del portone si intrattenevano,  a discutere di cose private la  Anna Stellato, Giuditta, Affinito e la Maria De Santis. Ad un certo momento giunse a casa, proveniente dallo zuccherificio di Capua, ove lavorava Giuseppe Lanziello, che nel passare dinanzi ai gruppetto augurava la buonanotte e si chiudeva in casa con la propria famiglia. Dopo pochi minuti, in bicicletta, rientrava in casa pure Gaetano Guarino il quale, dopo essersi tolti i pantaloni, si presentava in cortile, dato il caldo asfissiante, con la mutandina ed una maglietta. Come sua abitudine – raccontarono gli astanti - anche questa volta, il Guarino incominciò ad inveire contro la moglie Anna Stellato, chiamandola “puttana, zoccola, latrina”… lanciando  anche contro gli abitanti del palazzo  frasi irripetibili e contro  il gruppetto dei presenti con larvate minacce e parolacce.  Ma la maggiore attenzione delle sue minacce e  delle sua filippica fu rivolta al Lanziello ed alla sua moglie, a ausa del fatto che – il Lanziello, per motivi familiari, fu costretto ad accendere e smorzare, dall’interno della sua casa, una lampadina esistente nel cortile da lui installata molto tempo addietro. Il Guarino si accanì maggiormente contro il Lanziello, perché ritenne che tale accensione fosse un segnale a sua moglie per un abboccamento. Poi inveì contro il Lanziello con frasi:   “Sei un cornuto…uno scornacchiato, e tua mogie è una puttana”. Il Lanziello, che fino a quel momento si era stato zitto, alle ingiurie rivoltegli aprì la porta impugnando un bastone e si diresse verso il Guarino che era nel cortile: “Che tieni da dire contro di me? Fammi capire?... Alla risposta del Guarino, che aveva confermato al suo indirizzo le minacce anche nei confronti della moglie,  rincarando la dose, pare che il Lanziello avesse allungato uno schiaffo.  A questo punto il barbiere, perso ormai ogni controllo, si portava nella propria abitazione e dalla borsa di lavoro estraeva un rasoio ed un paia di acuminate forbici. Subito dopo aggrediva il Lanziello,  sferrandogli due colpi di forbici il quale cadde in una pozza di sangue. Una volta caduto, il Guarino vi si scagliò addosso con l’intento di finirlo. Intervenne prontamente la moglie Anna Stellato, che impugnando uno zoccolo lo colpì violentemente al capo ed al braccio,  nel frattempo tirandolo via, con l’intervento anche degli altri presenti  dalla sua vittima. Nell’atto di disarmare il marito la donna si ferì al dito medio della mano destra. Frattanto, il Lanziello, liberatosi del Guarino si alzò, corse in casa,  ed impossessatosi di un asciugamano, stringendosi la gola,  ove era stato colpito,  pregò il giovane Aurelio Simeone di accompagnarlo al vicino ospedale. Dopo un tragitto di circa 200 metri dalla caserma  Mezzacapo – sino a quel momento sotto il braccio del giovane  - l’uomo cadde per terra. Fu necessario metterlo su di una sedia ed accompagnarlo per altri 200 metri circa, mentre sopraggiungeva una barella (allertata dai vicini)  sulla quale veniva adagiato, ma dopo poco decedeva. Tracce copiose di sangue, che partivano dal  cortile ove la vittima era stata aggredita e tracciavano una scia lungo il percorso e finivano in ospedale. 



Tragico il delitto, da tregenda greca. Singolare ed inusitata la cattura dell’assassino. Il Guarino – dopo aver colpito con le forbici il Lanziello – si portò nei pressi di una fontanina, che esisteva nel cortile,  ed iniziò a lavare l’arnese inzaccherato  di sangue e mentre compiva tale azione gridava  a squarciagola: “Ne ho fatto uno…”. Poi si portò nella sua abitazione e posò le forbici su una cassapanca (le stesse si presentavano senza la punta, essendosi  la stessa spezzata quando aveva inferto i fendenti alla vittima) e mentre tentava di infilarsi i pantaloni  nel frattempo giungevano i carabinieri che a viva forza ed in costume adamitico lo trascinarono in caserma. Il rasoio venne consegnato ai carabinieri dalla moglie che lo aveva disarmato. Subito interrogato nella caserma il Guarino, mentre ammetteva di aver avuto una lite nel cortile… poi negava di aver aggradito con le forbici il Lanziello che definiva amante della moglie. Da un primo esame esterno il Guarino non sembrava di aver ingerito bevande (portava la nomea di essere un beone e dongiovanni) e dichiarò che nel pomeriggio aveva fatto il giro di Capua con la sua bicicletta, dopo essere stato al funerale di un amico. 




La vicenda giudiziaria di Guarino

Gaetano Guarino,  di anni 36 da Capua,  uccise con due colpi di forbici, il 21 settembre 1951 Giuseppe Lanziello e fu condannato, dalla Corte di Assise del  Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ( Presiente Giovanni Morfino;  giudice a latere,  Victor Ugo De donato; pubblico ministero,  Nicola Damiani,    con la diminuente del vizio parziale  di mente e con la recidiva specifica ad anni 12  e mesi 10  di reclusione ed a 3 anni di casa di cura a pena espiata. Il pubblico ministero d’udienza aveva chiesto una condanna a 14 anni di reclusione nonostante il riconoscimento dello stato di mente. Nel giudizio furono impegnati gli avvocati:  Avv. Narni Alberto Mancinelli, Pompeo Rendina e Antonio Simoncelli.  

On.Sen.Avv. Pompeo Rendina


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