Il grave fatto di sangue accadde nella Caserma
Mezzacapo di
Capua il 22 settembre del 1951
Barbiere
uccise a forbiciate il vicino
che riteneva amante della moglie
Ritornava da un funerale
allorquando Gaetano Guarino, 36enne,
uccise il vicino 47enne Giuseppe Lanziello che riteneva amante della moglie.
La donna, bella, affascinante, corteggiata da molti uomini, 30enne, era di
Santa Maria Capua Vetere. Il Guarino – dopo aver colpito con le forbici il
Lanziello – si portò nei pressi di una fontanina, che esisteva nel
cortile, ed iniziò a lavare l’arnese
inzaccherato di sangue e mentre compiva
tale azione gridava a squarciagola: “Ne ho fatto uno…”.
Capua
- Verso le ore 15, del 22 settembre del 1951, in
mese assai caldo, nella caserma dei Carabinieri,
poco distante dal ponte sul Volturno, in una squallida e disadorna stanzetta si
stava rivivendo l’epilogo del drammatico om icidio, perpetrato poco prima, nella
Caserma Mezzacapo ( fatiscente fabbricato di via Pier delle Vigne, ove
alloggiavano misere famiglie di modesti travet) al primo piano del caseggiato.
Un uomo, il barbiere 37enne Gaetano
Guarino, stremato e sconvolto in viso, sedeva ammanettato, innanzi al
maresciallo maggiore Alberico Lombardi.
Nella stanza c’erano inoltre, anche il
brig. Giuseppe Palumbo, l’app. Biagio Pagnano e il carabiniere Gennaro Migliaccio. Il giorno precedente,
verso le ore 23, il mar. Lombardo venne a conoscenza che nell’ospedale
Ferdinando Palasciano, era giunto cadavere tale Giuseppe Lanziello di anni 47 domiciliato nella Caserma Mezzacapo e
che lo stesso aveva trovato la morte in seguito ad alcune coltellate vibrategli
da un tale Gaetano Guarino, pochi momenti prima, nel cortile del caseggiato. E
mentre l’assassino, manette ai polsi, veniva rinchiuso nella camera di
sicurezza i carabinieri compirono il
sopralluogo sulla scena del crimine. Già nel cortile, una lunga scia di
sangue portava al pianerottolo luogo del delitto e all’ingesso dell’abitazione
della vittima. Un fatto di sangue che
aveva avuto numerosi testimoni oculari, tutti interrogati dai rappresentanti
della Fedelissima: Domenico Lanziello,
55 anni, fratello dell’ucciso; Vincenzo
Affinito, di anni 26; Aurelio
Simeone di anni 28, manovale, Maria
De Santis, di anni 37, casalinga; Giuditta
Levita, di anni 55, casalinga; Anna
Stellato, di anni 30, nativa di Santa Maria Capua Vetere, moglie
dell’assassino tutti abitanti nel plesso ove era avvenuto
il delitto. Dopo le
diverse deposizioni gli inquirenti così ricostruirono l’accaduto. Verso le ore
22,30 del giorno precedente, sotto l’atrio del portone si intrattenevano, a discutere di cose private la Anna Stellato, Giuditta, Affinito e la Maria
De Santis. Ad un certo momento giunse a casa, proveniente dallo zuccherificio
di Capua, ove lavorava Giuseppe Lanziello, che nel passare dinanzi ai gruppetto
augurava la buonanotte e si chiudeva in casa con la propria famiglia. Dopo
pochi minuti, in bicicletta, rientrava in casa pure Gaetano Guarino il quale,
dopo essersi tolti i pantaloni, si presentava in cortile, dato il caldo
asfissiante, con la mutandina ed una maglietta. Come sua abitudine –
raccontarono gli astanti - anche questa volta, il Guarino incominciò ad inveire
contro la moglie Anna Stellato, chiamandola “puttana,
zoccola, latrina”… lanciando anche contro gli abitanti del palazzo frasi irripetibili e contro il gruppetto dei presenti con larvate minacce
e parolacce. Ma la maggiore attenzione
delle sue minacce e delle sua filippica
fu rivolta al Lanziello ed alla sua moglie, a ausa del fatto che – il
Lanziello, per motivi familiari, fu costretto ad accendere e smorzare,
dall’interno della sua casa, una lampadina esistente nel cortile da lui
installata molto tempo addietro. Il Guarino si accanì maggiormente contro il
Lanziello, perché ritenne che tale accensione fosse un segnale a sua moglie per
un abboccamento. Poi inveì contro il Lanziello con frasi: “Sei
un cornuto…uno scornacchiato, e tua mogie è una puttana”. Il Lanziello, che
fino a quel momento si era stato zitto, alle ingiurie rivoltegli aprì la porta
impugnando un bastone e si diresse verso il Guarino che era nel cortile: “Che tieni da dire contro di me? Fammi
capire?... Alla risposta del Guarino, che aveva confermato al suo indirizzo
le minacce anche nei confronti della moglie, rincarando la dose, pare che il Lanziello
avesse allungato uno schiaffo. A questo
punto il barbiere, perso ormai ogni controllo, si portava nella propria
abitazione e dalla borsa di lavoro estraeva un rasoio ed un paia di acuminate
forbici. Subito dopo aggrediva il Lanziello,
sferrandogli due colpi di forbici il quale cadde in una pozza di sangue.
Una volta caduto, il Guarino vi si scagliò addosso con l’intento di finirlo.
Intervenne prontamente la moglie Anna Stellato, che impugnando uno zoccolo lo
colpì violentemente al capo ed al braccio, nel frattempo tirandolo via, con l’intervento
anche degli altri presenti dalla sua
vittima. Nell’atto di disarmare il marito la donna si ferì al dito medio della
mano destra. Frattanto, il Lanziello, liberatosi del Guarino si alzò, corse in
casa, ed impossessatosi di un
asciugamano, stringendosi la gola, ove
era stato colpito, pregò il giovane Aurelio
Simeone di accompagnarlo al vicino ospedale. Dopo un tragitto di circa 200
metri dalla caserma Mezzacapo – sino a
quel momento sotto il braccio del giovane
- l’uomo cadde per terra. Fu necessario metterlo su di una sedia ed accompagnarlo
per altri 200 metri circa, mentre sopraggiungeva una barella (allertata dai
vicini) sulla quale veniva adagiato, ma
dopo poco decedeva. Tracce copiose di sangue, che partivano dal cortile ove la vittima era stata aggredita e
tracciavano una scia lungo il percorso e finivano in ospedale.
Tragico il
delitto, da tregenda greca. Singolare ed inusitata la cattura dell’assassino.
Il Guarino – dopo aver colpito con le forbici il Lanziello – si portò nei
pressi di una fontanina, che esisteva nel cortile, ed iniziò a lavare l’arnese inzaccherato di sangue e mentre compiva tale azione
gridava a squarciagola: “Ne ho fatto uno…”. Poi si portò nella
sua abitazione e posò le forbici su una cassapanca (le stesse si presentavano
senza la punta, essendosi la stessa
spezzata quando aveva inferto i fendenti alla vittima) e mentre tentava di
infilarsi i pantaloni nel frattempo
giungevano i carabinieri che a viva forza ed in costume adamitico lo
trascinarono in caserma. Il rasoio venne consegnato ai carabinieri dalla moglie
che lo aveva disarmato. Subito interrogato nella caserma il Guarino, mentre
ammetteva di aver avuto una lite nel cortile… poi negava di aver aggradito con
le forbici il Lanziello che definiva amante della moglie. Da un primo esame
esterno il Guarino non sembrava di aver ingerito bevande (portava la nomea di
essere un beone e dongiovanni) e dichiarò che nel pomeriggio aveva fatto il
giro di Capua con la sua bicicletta, dopo essere stato al funerale di un amico.
La vicenda giudiziaria di Guarino
Gaetano
Guarino, di
anni 36 da Capua, uccise con due colpi
di forbici, il 21 settembre 1951 Giuseppe
Lanziello e fu condannato, dalla Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (
Presiente Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor
Ugo De donato; pubblico ministero, Nicola Damiani, con la diminuente del vizio parziale di mente e con la recidiva specifica ad anni
12 e mesi 10 di reclusione ed a 3 anni di casa di cura a
pena espiata. Il pubblico ministero d’udienza aveva chiesto una condanna a 14
anni di reclusione nonostante il riconoscimento dello stato di mente. Nel
giudizio furono impegnati gli avvocati: Avv. Narni
Alberto Mancinelli, Pompeo Rendina e Antonio Simoncelli.
On.Sen.Avv. Pompeo Rendina |
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