MI VIENE UN
DUBBIO: OBLIO SI’ 0 NO?
L’interessato che si ritiene leso ed
invoca il diritto all’oblio ha “solo” il diritto di pretendere che le
informazioni oggetto di trattamento rispondano ai criteri di proporzionalità,
necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed
effettiva identità personale.
GOOGLE. VIOLAZIONE DEL DIRITTO
AL'OBLIO. IL COLOSSO USA DI INTERNET CONDANNATO IN FRANCIA
A UNA MULTA DI 100 MILA EURO.
LA COMMISSIONE NAZIONALE GARANTE
DELL'INFORMATICA E LA LIBERTA' (CNIL) IN FRANCIA HA CONDANNATO GOOGLE A PAGARE
UNA MULTA DI 100MILA EURO PER LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI OBLIO.
IL GARANTE FRANCESE CHIEDE AL COLOSSO DI internet DI RIMUOVERE I
RIS LTATI DELLE RICERCHE WEB NON SOLO NELLE ESTENSIONI EUROPEE (GOOGLE.FR E
GOOGLE.DE PER ESEMPIO) MA A LIVELLO MONDIALE. LA CORTE
EUROPEA DI GIUSTIZIA HA RICONOSCIUTO IL DIRITTO ALL'OBLIO DAL 2014 CONSENTENDO
AGLI INDIVIDUI, IN DETERMINATE CONDIZIONI, CHE I PROPRI DATI SIANO RIMOSSI DA
internet. "CONTRARIAMENTE A QUANTO SOSTIENE GOOGLE, RIMUOVERE I DATI
SU TUTTE LE ESTENSIONI NON LEDE LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE", SOTTOLINEA LA
COMMISSIONE FRANCESE. TUTTAVIA SECONDO GOOGLE UN GARANTE NAZIONALE COME LA CNIL
NON PUO' "IMPORRE UN AUTORITA' GLOBALE DI CONTROLLO DEI CONTENUTI A CUI LE
PERSONE POSSONO AVER ACCESSO IN TUTTO IL MONDO". (AGI)
La giurisprudenza ha stabilito che è il
giudice di merito che deve esaminare caso per caso e bilanciare il diritto alla
riservatezza con quello di cronaca. In sostanza è il giudice che deve stabilire
il giusto ed equo bilanciamento dei diritti.
Ma l’interessato che si ritiene leso ed invoca il diritto all’oblio ha “solo” il diritto di pretendere che le informazioni oggetto di trattamento rispondano ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale.
Tutto questo però non può avvenire attraverso la totale soppressione di un articolo di giornale.
Il giudice Luca Ramponi del tribunale di Reggio Emilia ha rigettato nei giorni scorsi il ricorso presentato dal signor Romualdo Paudice, difeso dagli avvocati Caterina Aiello e Marcello Benevento, che invocava a proposito di un articolo pubblicato da Reggionline il diritto all'oblio chiedendo la rimozione di quanto scritto dall'archivio storico delle pagine del giornale.
Il ricorrente era stato arrestato e di recente era stato scarcerato e per questo riteneva che l’articolo relativo alla sua vicenda giudiziaria non avesse più ragione di esistere.
Di qui le carte bollate ed un procedimento d’urgenza davanti al tribunale per chiedere la cancellazione dell’articolo. Questa volta però il giudice in una articolata ordinanza motiva il diniego della cancellazione adeguandosi alla legge (proprio la legge sulla privacy), alla giurisprudenza della Cassazione e citando sentenze della Corte di giustizia Europea e di Strasburgo.
Ma l’interessato che si ritiene leso ed invoca il diritto all’oblio ha “solo” il diritto di pretendere che le informazioni oggetto di trattamento rispondano ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale.
Tutto questo però non può avvenire attraverso la totale soppressione di un articolo di giornale.
Il giudice Luca Ramponi del tribunale di Reggio Emilia ha rigettato nei giorni scorsi il ricorso presentato dal signor Romualdo Paudice, difeso dagli avvocati Caterina Aiello e Marcello Benevento, che invocava a proposito di un articolo pubblicato da Reggionline il diritto all'oblio chiedendo la rimozione di quanto scritto dall'archivio storico delle pagine del giornale.
Il ricorrente era stato arrestato e di recente era stato scarcerato e per questo riteneva che l’articolo relativo alla sua vicenda giudiziaria non avesse più ragione di esistere.
Di qui le carte bollate ed un procedimento d’urgenza davanti al tribunale per chiedere la cancellazione dell’articolo. Questa volta però il giudice in una articolata ordinanza motiva il diniego della cancellazione adeguandosi alla legge (proprio la legge sulla privacy), alla giurisprudenza della Cassazione e citando sentenze della Corte di giustizia Europea e di Strasburgo.
Il giudice richiamando la recente Cassazione ricorda che i giornali hanno l’obbligo di aggiornare e adeguare le vecchie notizie affinchè gli aggiornamenti siano facilmente fruibili (anche con i link) ma cancellare un articolo proprio no.
«Le
notizie di cronaca giudiziaria o di cronaca nera assurgono, per consolidato
orientamento giurisprudenziale», scrive il giudice, «a rilievo di interesse per
il pubblico e che la pertinenza rispetto alla pubblica opinione di tali notizie
di cronaca giudiziaria è connaturata alla tipologia e natura delle sanzioni
penali. Non può negarsi, dunque, che una notizia di cronaca nera possa
continuare a rivestire un interesse pubblico di tipo storico per un certo tempo
anche dopo l'intervenuta condanna ed espiazione della pena, essendo legittimo,
perciò, il suo inserimento nell'archivio pubblico del giornale, anche accessibile
on line».
Il giudice approfondisce ulteriormente la vicenda esaminando aspetti molto particolari e tecnici ricordando persino una importante sentenza della Corte di giustizia Europea che stabiliva che persino una notizia diffamatoria non poteva essere cancellata poiché sussiste un diritto alla rettifica e che dunque “il fatto notizia” (cioè il fatto che era stato scritto un articolo diffamatorio) è stato considerato necessario e di interesse pubblico tanto da poter rimanere accessibile affinchè i lettori potessero farsi una idea completa dei fatti (anche sugli stessi giornalisti “diffamatori” e sul giornale).
Questo perché il giudice non ha alcun potere di ordinare la “riscrittura dei fatti”- ricorda il giudice emiliano- e dunque ordinare la cancellazione di specifiche informazioni.
Il giudice inoltre ragiona sull’ipotesi di «perdita di interesse» di una notizia di cronaca e fornisce un ragionamento che si può riassumere così: invocare l’oblio a due mesi dalla espiazione della pena è troppo presto mentre un tempo congruo sarebbe tre anni, visto che in questo tempo la legge prevede la recidiva. Secondo il giudice allora non si può invocare l’oblio almeno fino a quando non sia trascorso il tempo che la legge prescrive per la piena riabilitazione, appunto tre anni in questo caso.
Un ragionamento quantomeno inedito che -condivisibile o meno- ha una certa logica che ad ogni modo cancellerebbe all’istante ogni pretesa del genere per esempio a distanza di pochi mesi dagli arresti (e non dall’espiazione della pena!) o nei casi in cui i processi non siano nemmeno iniziati.
Il giudice approfondisce ulteriormente la vicenda esaminando aspetti molto particolari e tecnici ricordando persino una importante sentenza della Corte di giustizia Europea che stabiliva che persino una notizia diffamatoria non poteva essere cancellata poiché sussiste un diritto alla rettifica e che dunque “il fatto notizia” (cioè il fatto che era stato scritto un articolo diffamatorio) è stato considerato necessario e di interesse pubblico tanto da poter rimanere accessibile affinchè i lettori potessero farsi una idea completa dei fatti (anche sugli stessi giornalisti “diffamatori” e sul giornale).
Questo perché il giudice non ha alcun potere di ordinare la “riscrittura dei fatti”- ricorda il giudice emiliano- e dunque ordinare la cancellazione di specifiche informazioni.
Il giudice inoltre ragiona sull’ipotesi di «perdita di interesse» di una notizia di cronaca e fornisce un ragionamento che si può riassumere così: invocare l’oblio a due mesi dalla espiazione della pena è troppo presto mentre un tempo congruo sarebbe tre anni, visto che in questo tempo la legge prevede la recidiva. Secondo il giudice allora non si può invocare l’oblio almeno fino a quando non sia trascorso il tempo che la legge prescrive per la piena riabilitazione, appunto tre anni in questo caso.
Un ragionamento quantomeno inedito che -condivisibile o meno- ha una certa logica che ad ogni modo cancellerebbe all’istante ogni pretesa del genere per esempio a distanza di pochi mesi dagli arresti (e non dall’espiazione della pena!) o nei casi in cui i processi non siano nemmeno iniziati.
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