LE
SORELLE ANGELA, NICOLINA, LUCIA E ROSA CANTONE AGGREDIRONO LA MOGLIE DI UN
LORO ZIO PASQUALINA TURCO IN STATO INTERESSANTE CAUSANDONE LA MORTE
IL DELITTO ACCADDE
IL 13 FEBBRAIO DEL 1952 IN LUSCIANO
Il movente era da ricercarsi nei
rancori delle donne nei confronti del marito della Turco Alfonso Cantone , accusato di essersi
appropriato di una quantità di costoso carico di rame. La vittima, cardiopatica
partorì un bambino morto al settimo mese.
Lusciano
– Il
13 febbraio del 1952, in Lusciano,
venivano a lite le sorelle Angela, Lucia,
Nicolina, Rosa Cantone e Pasqualina Turco, moglie di uno zio delle predette Cantone, Alfonso
Cantone. La Turco riportava nel corso dell’incidente contusioni multiple
per il corpo ed in specie all’addome e come ebbe a constatare - solo cinque
giorni dopo un sanitario del luogo, il
dottor Carmine Bassetti, convocato
al domicilio della inferma. Il 19 febbraio la Turco veniva ricoverata presso l’ospedale
civile di Aversa reparto ostetrico, per minaccia di aborto prematuro, desunto
dalle condizioni della donna, gravi dal settimo mese e presentante perdita di
sangue dai genitali. All’osservazione la Turco presentava altresì contusioni ecchimatiche all’addome nonché strappo di capelli. Il
primo giorno successivo la donna partoriva un feto morto e macerato del peso di
1 kg. Il 4 marzo dal reparto ostetrico la Turco veniva trasferita al reparto
medico, presentando chiare note di cardiopatia. Il 29 marzo, pur versando in
condizioni gravissime per accentuato scompenso cardiaco da doppio vizio
mitralico, contro il parere del medico, la Turco lasciato l’ospedale, ritornato
dal suo paese. Ivi decedeva poco dopo quello stesso giorno. Ravvisando tra lo
evento finale e l’episodio del 13 febbraio un “rigido rapporto causale”, il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, promuoveva l’azione penale a carico delle germani Cantone sotto l’imputazione
di “concorso in omicidio preterintenzionale”.
Nella fase istruttoria le sorelle
Cantone, riportandosi a quanto esposto nelle querele proposte della Lucia e dalla Rosa
dell’8 marzo a carico dei coniugi Cantone, negarono di aver aggredito la
Turco; la quale era intervenuta al
fianco del marito nel diverbio insorto con le nipote Lucia e Rosa, nel tentativo di arrecare loro danno
ulteriore con il bastone che impugnava perdette l’equilibrio e andò a cadere
sulla inferriata - che ricopriva al
livello del suolo - il lume di una grotta sottostante. In tale incidente fu la
Lucia a subire le violenze di Alfonso Cantone che le vibrò degli schiaffi,
mentre la Rosa ricevette al capo un colpo di bastone assestato dalla
Turco. Assenti le altre sorelle Nicolina e Angelina?
Nel loro assunto, non bisognava pertanto prestar fede a quanto affermato dalla Pasqualina
Turco, nell’interrogatorio reso al magistrato durante la propria degenza in
ospedale, che cioè tutte e quattro le sorelle avessero infierito su di lei. I
periti, investiti delle indagini tecniche dirette ad accertare le cause del
parto prematuro (aborto nel senso tecnico-legale) e della morte di Pasqualina
Turco ed il nesso eventuale fra tali eventi e il trauma inferto alla sciagurata il 13 febbraio; in una
prima relazione di perizia esprimevano l’avviso che entrambi gli eventi
dovessero ricollegarsi a detto fatto traumatico, il quale, operando su
condizioni patologiche pregresse (doppio vizio mitralico in gestante) aveva scatenato nell’organismo
dell’inferma - attraverso la interruzione violenta della gravidanza e la
prolungata redenzione nell’utero del feto morto, il grave squilibrio della
funzione cardiaca, già precaria ed ultima della morte.
In successiva relazione, ed in risposta a più specifici quesiti
posti dal Giudice Istruttore, sull’esito della testimonianza di medici che,
avendo tenuto in cura la Turco per i suoi disturbi cardiaci, erano in grado di
affermare che la donna aveva avuto in precedenza crisi ricorrenti di scompenso
e che un attacco del genere presentava nel pomeriggio del 18 febbraio del 1952 (come
relazione del dottor Antonio Bassetti) i periti medesimi confermavano
sostanzialmente il precedente giudizio sulla scorta dell’ampia documentazione
acquisita, nettamente in contrasto con l’assunto del dottor Bassetti per quanto
attiene alle condizioni della Turco il giorno 18. Disattese pertanto le
discolpa delle sorelle Cantone, sia quanto alla partecipazione alla lite della
Nicolina, e della Angela che in relazione al meccanismo di produzione delle
ecchimosi al basso ventre della Turco; disattese del pari le deduzione dei
difensori delle prevenute circa la preesistenze nello stato di scompenso
cardiaco nella Turco che si sarebbe
posto come causa unica è autonoma dell’aborto e conseguentemente della morte di lei; il
Giudice Istruttore chiusa la formale istruzione disponeva su conformi
conclusione del pubblico ministero il rinvio a giudizio di tutte le imputate
per rispondere dinanzi alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere del
reato di omicidio preterintenzionale.
I giudici della sezione istruttoria – nella ricostruzione dei
fatti – ci tennero ad evidenziare che la
Turco pertanto fu investita dalle violenze delle sorelle Cantone, con le quali
venne a contatto per via del litigio insorto tra le medesime ed il marito Alfonso Cantone. A
quest’ultimo infatti le nipoti attribuivano la sottrazione di alcuni fasci di rame
di ingente valore e da tale
constatazione si generò il diverbio. Che cosa sia accaduto tra Alfonso Cantone
e le sorelle Lucia e Rosa- (le quali, in definitiva, ammettono di aver
partecipato a quell’accesa discussione, pur assumendo di aver avuto la peggio
per l’intervento di Pasqualina Turco) - non è dato conoscere con sufficiente chiarezza
per il contrasto delle tesi. Comunque questo primo tempo dell’azione e il fuori
dell’ambito della contestazione (molto più appropriato sarebbe stato contestare
a tutto il delitto di rissa). Sta di fatto che, ad un certo momento, intervenne
nella sua toletta succinta la Turco, a letto quel giorno, per fiancheggiare l’opera
del marito, come questo sia esplicitamente ammessa negli interrogatori. Su
questo intervento la difesa della imputata innesta la sua istanza di legittima
difesa ponendo nelle mani della Turco un bastone levato in gesto di minaccia.
Dallo scontro le sorelle Cantone uscirono indenni. “Le risultanze generiche
offrono comunque sufficiente spunto – scrissero i giudici nella sentenza di
rinvio a giudizio – per contrastare l’accoglimento
della richiesta esimente. Dimostrano quelle che la Turco fu facile preda della
giovanile veemenza delle avversarie e ridotta alla impotenza. Tenuto conto delle sue condizioni particolari (gestante e di malferma
salute) un intento limitato a respingere l’attacco, come si assume dalla
difesa, non avrebbe spinto le due Cantone ad infierire sull’infelice. In questo
trasmodare dell’azione oltre la
necessità della difesa personale non sarebbe ravvisabile un eccesso colposo, il
quale presuppone in ogni caso la permanenza dello stato di pericolo per
l’intera durata dell’azione. Sul nemico disarmato e ridotto all’impotenza ogni
ulteriore violenza non può andare esente da responsabilità a titolo di dolo. L’attività
della Turco, che bene avrebbe fatto ad osservare il riposo che quel giorno si
concedeva, integra indubbiamente un fatto ingiusto del quale deve il giudice
tener conto nel graduare la responsabilità delle colpevoli.
Benché la Turco
nelle sue dichiarazioni in Ospedale. come afferma il primo referente, ha indicato
tutte e quattro le sorelle Cantone le autrici della patita aggressione, ritiene
la Corte invece di dover limitare alle sorelle Rosa e Lucia l’imputazione in discorso,
per essere certa la loro partecipazione alla vita sulla scorta delle correlate ammissioni.
Per le altre, la stessa parola di Alfonso Cantore ha denunciato intermittenti
perplessità. Il secondo quesito, è inerente al nesso causale “trauma-aborto-morte”,
trova sufficiente risposta nelle relazioni di perizie acquisite agli atti. La
premessa d’ordine scientifico dalla
quale è opportuno prendere le mosse e che- “cardiopatia” e “gravidanza”- non
sono termini inconciliabili. Finché c’è compenso nel circolo (cioè equilibrio
idraulico per così dire) la gravidanza procede normalmente e non è pregiudizievole
per la sua condizione dell’inferma”.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
La condanna fu, per le due sorelle, ad anni 10, ridotti, con le attenuanti e la
provocazione a 4 anni ciascuno.
La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente Giovanni Morfino; giudice a latere, Renato Mastrocinque; pubblico ministero
Nicola Damiani) nel giudicare le
sorelle Lucia e Rosa Cantone, accusate dell’omicidio in danno di Pasqualina Turco, con sentenza dell’ 11 maggio 1954, con la concessione in
omicidio preterintenzionale, con le attenuanti generiche e la diminuente della
provocazione – per il delitto avvenuto il 29 marzo del 1
952 in San Felice a Cancello - irrogarono una condanna ad anni 4 e mesi 6 di
reclusione. Ma quale differenza – lo chiariamo per i nostri lettori – esiste
tra l’omicidio volontario, colposo o preterintenzionale? Sussiste, infatti, spiega il codice
penale, il reato di omicidio preterintenzionale quando avviene la morte di un
soggetto come conseguenza della condotta di cui agli artt. 581 (reato di
percosse) o 582 (reato di lesioni personali). Sull’elemento soggettivo del reato sussiste un contrasto giurisprudenziale. Parte della
giurisprudenza rileva come, per la configurazione del reato, sia richiesto il dolo
misto a colpa. L’agente, pertanto, vuole cagionare
alla vittima l’evento minore (una lesione o una percossa), ma ottiene, per via
di un comportamento colposo, la morte della stessa. La giurisprudenza
contraria vede, invece, unicamente l’aspetto doloso della volontà di cagionare
l’evento minore, facendo ricadere l’evento morte come conseguenza oggettiva
della condotta dolosa.
Per i giudici le questioni sottoposte al vaglio della Corte si
compendiavano nei due quesiti: a) se le contusioni ecchimotiche riscontrate
anche sul corpo della Pasqualina Turco,
al basso ventre, dovevano attribuirsi al fatto della prevenuta; b) e se la
pregressa cardiopatia che affliggeva da tempo la vittima possa ritenersi causa
unica ed efficiente dell’evento abortivo e del decesso. In ordine al primo
punto, non può esserci dubbio che, quantomeno, la Lucia Cantone e la Rosa Cantone debbano ritenersi
responsabili, a titolo di dolo, del traumatismo in questione sul semplice rilievo
che la relativa protesta d’innocenza e le relative proteste di innocenza sono
nettamente smentite dalle risultanze generiche quanto mai eloquenti. Basterebbe
in proposito ricordare – scrivono i giudici nella motivazione della sentenza - che
al suo ingresso in ospedale alla Turco fu riscontrato strappo di capelli in
corrispondenza della fronte; circostanza, questa, indicativa delle particolari
violenze cui la donna fu sottoposto, non spiegabile certo con il pretestuoso
urto contro l’inferriata del lume di grotta.
La Corte di Assise di Appello (Presidente Filippo d’Errico; giudice a latere, Mario Sabelli; pubblico ministero, Luigi De Magistris, procuratore generale (nonno del sindaco di
Napoli omonimo) con sentenza del maggio
1956, confermava il verdetto dei primi giudici. Nel processo furono impegnati gli
avvocati: Vittorio Verzillo, Michele
Verzillo, Alberto Narni Mancinelli, Ciro Capaldo e Ettore Pianese.
Avv. Vittorio Verzillo |
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
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