ANTONIO NATALE
UCCISE IL SUO FITTUARIO NICOLA MUSTO CON TRE COLPI DI PUGNALE
Il delitto accadde in Casal di Principe luogo del causale incontro tra l’assassino e la sua vittima in via Serao alle 10,50
del 18 ottobre del 1953
L’assassino era un violento
ed aveva gravi precedenti. Fu arrestato con l’arma ancora insanguinata dai carabinieri
che stavano in strada indagando su di un altro delitto avvenuto la sera precedente.
Mentre ammanettato veniva accompagnato in caserma ingoiò una cambiale che era a
favore della vittima
CURIOSI SUL LUOGO DEL DELITTO
Casal di Principe - Verso le 10, 50 del 26 ottobre del
1953 il maresciallo dei carabinieri Antonio
de Benedictis, mentre con alcuni suoi dipendenti procedeva in via Delle
Rose a dalle indagini circa un omicidio verificatosi la sera precedente
scorgeva un individuo, di poi identificato per Antonio Natale da Villa Literno, che con un pugnale insanguinato tra
le mani si dirigeva di corsa verso la via Serao. Fattolo immediatamente
catturare e disarmare lo faceva tradurre in caserma il quale confessava di aver
qualche minuto prima accoltellato e probabilmente ucciso tale Nicola Musto pure da Villa Literno. Il
Musto difatti, visitata dal dottor Antonio Diana era stato poco prima
sollecitamente inviato all’ospedale civile di Aversa dove però decedeva poco
dopo le 11 a causa di ferite al torace e della regione sovraclavicolare destra
penetranti in cavità. Il Natale, che durante il percorso fino alla caserma era riuscito - eludendo la vigilanza dei
carabinieri - a lacerare ed ingoiare in
parte una cambiale di cui solo alcuni frammenti potevano essere recuperati e sequestrati.
Interrogato precisava ai
carabinieri che due anni prima aveva concesso in affitto al Musto, per la
durata di tre anni, con un corrispettivo di L. 50.000, un terreno di sua proprietà il cui rilascio
era condizionato alla restituzione della predetta somma. Nella estate scorsa egli , mediante i buoni
uffici del fratello del Musto, aveva richiesto, dichiarandosi pronto alla
restituzione del denaro di cauzione l’anticipato rilascio del terreno ed aveva
senz’altro acconsentito onde egli si era affrettato ad affittare il terreno ad
altro contadino che però, portatosi sul fondo aveva incontrato l’opposizione
del Musto. Questi, anzi, quattro o
cinque giorni prima del fatto, aveva affrontato esso Natale e rifiutandosi di
dare esecuzione all’accordo non aveva esitato – mostrandosi indifferente alla
situazuoe creatagli – a minacciar di morte chiunque si fosse portato sul
terreno. Il mattino del 26 ottobre incontrato in Casal di Principe il Musto che
viaggiava su di una motocicletta, lo aveva fermato onde chiedergli conto delle
sue intenzioni e poiché quegli aveva insistito nell’affermare la pretesa di
rimanere in possesso del fondo fino – fino alla scadenza del cotratto – egli
innervosito ed intimorito pel suo contegno chiaramente minaccioso nei riguardi
suoi e del nuovo fittuario lo aveva più volte colpito col pugnale che portava
addosso proprio a causa delle velate minacce sue.
AVV. SEN. FRANCESCO LUGNANO |
Il carabinieri accertato che
il fatto si era svolto dopo breve discussione tra i due non mancavano di
interrogare il nuovo affittuario del fondo identificato in Alfonso Caterino, il
quale dichiarava che era totalmente all’oscuro della vertenza tra i due ed aveva finanche fatto dei lavori
preparatori per la semina. Con successivo rapporto i carabinieri denunciavano
il Natale – definito tra l’altro di carattere violento, rissoso e con gravi
precedenti specifici – quale responsabile di omicidio volontario premeditato.
Il Natale, interrogato dal pubblico ministero deduceva che sollecitato proprio
dal fratello del Musto di nome Aniello che
gli aveva garantito e poi riferito l’assunto di costui aveva avvicinato Nicola Musto, che difatti aveva
acconsentito al rilascio anticipato del fondo aderendo anche alla sua preghiera
circa una dilazione per la restituzione delle cinquantamila lire dovutegli. Se
non che quattro o cinque giorni prima del delitto quando il nuovo colono aveva
già incominciato a lavorare il fondo Nicola Musto lo aveva avvicinato
lamentandosi di ciò aveva avanzato la pretesa di voler rimanere in possesso del
terreno per tutto l’altro anno previsto dal contratto non esitando a minacciar
di morte chiunque si fosse potato nel fondo e rimanendo sordo ad ogni sua preghiera.Tre
giorni dopo, incontratosi di nuovo col Musto che era in motocicletta lo aveva
fermato domandandogli come volesse risolvere la questione: quegli, però, dopo
aver insistito nella sua pretesa e rinnovate le minacce aveva fatto il gesto di gettare a terra la motocicletta onde
avventarglisi contro; che perciò pur senza volerlo uccidere egli lo aveva
colpito col pugnale ricavata da una baionetta militare rinvenuta tempo prima in
campagna di cui andava fornito proprio (ma non fu creduto dai giudici) per fronteggiare eventuali aggressioni del Musto.
L'ASSASSINO |
Al termine della fase di indagine, gli inquirenti accertavano, tra
l’altro, che la morte del Musto era avvenuta – nel cui corpo erano state
riscontrate quattro lesioni – da arma da punta e taglio cagionata da anemia
acuta per dissanguamento prodotto dalle ferite al polmone destro e al fegato
determinate dai colpi vibrati alla spalla destra e all’addome. A chiusura
dell’istruttoria formale il Giudice
Istruttore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – con sentenza del 1
novembre del 1954 – sulle conformi richieste del pubblico ministero – esclusa
la premeditazione ordinava il rinvio del Natale al giudizio della corte di
Assise di Santa Maria Capua Vetere. Nell’approfondimento della causale del
delitto i giudici nell’istruttoria avevano evidenziato che in base alla
scrittura privata del 19 maggio del 952, esibita in giudizio dalla costituita
parte civile che il Natale concessionario di un appezzamento di terreno della
estensione di circa 45 are sito in zona “Vicana” di San Sossio, in agro di
Villa Literno, (ancora di proprietà dell’Opera Nazionale Combattenti) cui
infatti egli andava ancora versando le quote prestabilite pel riscatto,
consegnò in quella data detto fondo al Musto pattuendo con lo stesso che il
possesso ed il godimento del terreno da parte di costui sarebbe durato fino al
30 settembre del 1954 giorno in cui esso Natale avrebbe restituito la soma di
lire cinquantamila che il Musto gli aveva versato all’atto della stipula ed in
mancanza il godimento del fondo avrebbe avuto termine con la effettiva
restituzione di tale somma. Il Natale a maggior garanzia nell’adempimento della
propria obbligazione rilasciava una cambiale di pari importo con scadenza 30
settembre 1954 ed esonerava il Musto da ogni responsabilità nei confronti
dell’O.N.C. per il mancato pagamento di quanto a questa da lui dovuto,
facultandolo a versare al predetto Ente
tutto al più la somma relativa alla estensione del terreno ceduto e ad
addebitargliela. E’ pacifico, altresì, che nell’estate del 1953, il Natale
richiese al Musto – che aveva appena proceduto al raccolto – di rientrar in
quell’anno stesso nel possesso dell’immobile. Tra l’altro il Natale confermava
di essersi contemporaneamente dichiarato pronto alla immediata restituzione
della somma ricevuta e di essersi ritenuto libero, avendo ottenuto l’esplicito
consenso del Musto, di cedere il terreno a tal Alfonso Caterino e di incassare da costui parte della somma
pattuita.
L'AVV. GIUSEPPE GAROFALO |
Molti indizi di colpevolezza emersero nel corso delle indagini dalle
dichiarazioni dei testimoni. Aniello
Musto, fratello del defunto ma
indotto dal Natale dichiarò che egli stesso aveva consigliato al Natale
medesimo di “riprendersi il terreno - naturalmente, aggiunse il teste –
versatagli la somma di lire 65 mila che aveva avuta”. Ma il Natale rispose che
non aveva voglia di lavorare terra ma che voleva acquistare l’esercizio di una
osteria onde della consigliata risoluzione del contratto non si parlò più. I
testi indotti poi dal Natale, Antonio
Aversano, Giuseppe Molitierno, Gennaro Di Darca e Luigi Basile riferirono che qualche giorno prima del delitto fra i
due vi fu una discussione a voce alta,
una discussione cioè
animata, nella quale si diceva:
“Me la piglio”, e l’altro :” Non te la do”, nella quale il Musto rimarcava “Me
la devo fare un altro anno e poi te la do”. Quindi una pretesa ingiusta fu avanzata
proprio dal Natale che non può passare per un “provocato”, per una vittima
ingiustificatamente posta in una situazione irritante perchè incresciosa
specialmente dopo l’affitto concluso con
il Caterino. E giove aggiungere – chiosarono gli inquirenti – che il Natale
avrebbe avuto per fino il denaro necessario, perché, a fine settembre, aveva
incassato dal medesimo Caterino per anticipazione lire sessantamila.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
L'ARMA DEL DELITTO |
Antonio Natale di anni 47, da Villa Literno,
arrestato il 18 ottobre del 1953 per aver ucciso con un pugnale Nicola Musto, delitto avvenuto in Casal
di Principe il 18 ottobre del 1953, con l’aggravante della recidiva specifica
fu rinviato al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere composta
dal Presidente Giovanni Morfino; dal
giudice a latere, Renato Mastrocinque
con pubblico ministero, Nicola
Damiani. Nel corso del suo
interrogatorio in dibattimento affermò: “Io
mi trovavo la mattina del 18 ottobre a Casal di Principe perché intendevo
parlare con una persona che mi doveva fittare una stanza in quanto – avendo
intenzione di aprire colà una trattoria – mi serviva un posto per dormire. Io
portavo normalmente addosso una vecchia
baionetta che io stesso avevo affilato ai due lati per affettare il lardo e
anche perché ero preoccupato per le minacce di Luigi Mantiello, il quale
sospettava di una mia relazione con la moglie,
Rosa Giordano. Camminando per
la mia strada mi vidi superare da Nicola
Maisto, che procedeva in motocicletta- lo chiamai per la questione del
terreno ed egli – messa la motocicletta sul cavalletto – incominciò non solo a
negarmi la restituzione del fondo – ma anche ad inveire contro di me e a minacciarmi
dicendo che avrebbe ucciso chiunque fosse venuto sul terreno a coltivarlo ,
fossi stato io od altro, affittuario. Ad un tratto, mentre io mi mantenevo
calmo egli fece un gesto come per prendere qualche arma o per aggredirmi. Io
allora caia il pugnale e non ricordo poi cosa sia Accaduto per me ne scappai,
venendo fermato dai carabinieri che mi rincorsero. Ammetto di avere
lacerato - mentre ero fra i carabinieri
– una cambiale, ma faccio presente che si trattava di una cambiale che io
lacerai per rabbia, non per altro motivo, trattandosi di un effetto
rilasciatami da tale Amalia Olivieri per l’importo di lire
50 mila per un presto che le avevo concesso. In merito ai precedenti del fatto
dichiaro che proprio su consiglio di Aniello
Musto richiesi al Nicola Musto la
restituzione anticipata del terreno previa – naturalmente da parte mia della
restituzione delle 50 mila lire di garanzia. Il Musto accettò il patto e per
ciò io affittai il terreno ad altro colono. Faccio presente che non si era
stabilito nessun termine per la restituzione della garanzia. Il nuovo colono si
chiamava Alfonso Caterino. Tre sere
prima del fatto il Nicola Musto trovatomi dinanzi ad una cantina vicino al
quadrivio di Villa Literno mi fece una scenata perchè io avevo mandato un nuovo affittuario sul fondo”. Al
termine del dibattimento il pubblico ministero chiese l’ergastolo mentre i
difensori invocavano le attenuanti della provocazione e quelle generiche. La
Corte, con sentenza del 25 maggio 1955 condannò il Natale a 30 anni di reclusione. “Il Natale va
pertanto dichiarato colpevole – scrissero i giudici di primo grado nella
motivazione della loro sentenza – del delitto di omicidio volontario con
l’aggravante della recidiva contestatagli. La pena per l’omicidio può essere
fissata per la gravità del fatto, le modalità della esecuzione e la personalità
dello imputato in anni 22 di reclusione da aumentarsi di anni 11 per la
recidiva e da fissandola definitivamente in anni 30”. Ma nel 1958, in sede di
conferma della sentenza in grado di appello. “Al Natale pertanto – scrissero i
giudici – che ha dato sfogo al suo innato spirito di violenza e di prepotenza e
non ha avuto misericordia, padre di 5 figli, misericordia non meritata: le
modalità del suo delitto, l’assenza di una causale adeguata (falso è il suo insinuare
che era munito di pugnale per difendersi da un malato geloso) e la
preordinazione non consentono attenuazioni di pena”. Antonio Natale, in sede di appello, subì una ulteriore condanna per oltraggio alla
Corte, avendo sputato in faccia ai giudici, esclamando subito dopo la lettura
del verdetto ad alta voce: “Questa è una
corte di merda!”. Nei tre gradi di
giudizio (il verdetto fu confermato anche in Cassazione) furono impegnati gli avvocati:
Francesco Lugnano, Ettore Botti, Alfonso Raffone, e Giuseppe
Garofalo.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
Nessun commento:
Posta un commento