DELITTI IN BIANCO E NERO
Il luogo del delitto |
DELITTI IN BIANCO E NERO
VINCENZO BRUNZO UCCISE SUO FRATELLO ALDO
PER QUESTIONI
DI DONNE
L’ambigua
figura del fratello sacerdote che lo obbligò a sposare la sua amante. Il
delitto maturato in una atmosfera “boccaccesca”. Il sacerdote avrebbe avuto
rapporti sessuali con due sorelle ( di cui una minorenne ) e l’altra imposta
come moglie al fratello. La pubblica accusa ritenne che ci fu consiglio
di famiglia: “Meglio il delitto che la vergogna ed il disonore”. Sequestrata
una fitta corrispondenza epistolare tra i due amanti. Mandato di cattura per il prete (già detenuto per
concorso in omicidio) per violenza sessuale ai danni di una minorenne
Il delitto accadde il 21 aprile del 1953
in Lusciano
GIOVANNI LEONE AVVOCATO DIFENSORE DEI BRUNZO |
Casaluce
–
Sangue, soldi e sesso questi gli
ingredienti di un delitto (fratricida) con al centro l’ambigua figura di un
prete, Andrea Brunzo, di anni 38,
fratello dell’assassino e della vittima, che provocò il risentimento per la sua
scandalosa relazione sessuale con una ragazza, Paolina Dello Iacono, 22enne, bella e precoce contadinotta di
Casaluce, che poi “impose” quale moglie al fratello Aldo (32 anni agricoltore) rimasto
ucciso per mano del fratello Vincenzo,
47 anni, agricoltore. Si pensi, oltretutto, che questa vicenda – che fece un
enorme scalpore - si svolse nel 1953 il
21 aprile. Ai carabinieri giunse la notizia che alla Vittorio Veneto vi era
stata poco prima una sparatoria. I militi giunti sul posto trovare un gruppo di
persone dal quale seppero che il ferito era stato trasportato all’ospedale di
Aversa ed era stato fatto oggetto a numerosi colpi di arma da fuoco da un suo
fratello. Poiché la sue condizioni di salute si erano notevolmente aggravate in
serata veniva trasportato nella sua abitazione alla via Chiesa 28 dove verso la
mezzanotte decedeva. Sul posto si recava anche il V.Pretore Onorario Avv. Pasquale Farinaro e lo sparatore veniva identificato per Vincenzo Brunzo che, però, si era dato
alla latitanza. Le prime indagini appurarono che qualche giorno prima del
delitto al sacerdote Andrea Brunzo,
insegnante presso il Seminario di Cava dei Tirreni era giunto un telegramma da
parte della sorella Angelina (40
anni, casalinga) con il quale lo invitava a rientrare con urgenza per un grave
fatto che si era verificato in famiglia. Il sacerdote ottenuto il permesso dei
superiori giunse in serata a Casaluce ed andò a casa della sorella che trovò a
letto. La stessa – esibendo un certificato medico redatto dal Dr. Raffaele D’amore, medico condotto di
Casaluce dal quale si evinceva che la donna aveva riportato lesioni guaribili
in vari giorni. La donna raccontò di essere stata presa a calci dal fratello Aldo a causa di una lite avuta con la
moglie di quest’ultimo Paolina Dello
Iacono. Le causali delle lite tra la Brunzo e la cognata scaturirono dal
fatto che la prima era stata sorpresa dalla seconda a prendere del vino da un
recipiente di pertinenza di quest’ultima esistente nello stesso scantinato in
comune in quanto le due famiglie abitavano in ambienti contigui. Da tale
causale, però, le donne trassero motivo per riesumare argomenti gravi di interessi
e di onore che hanno sempre costituito in questi ultimi anni il pomo della
discordia esistente fra le stesse ed i fratelli Aldo Brunzo e il sacerdote Andrea
Brunzo. Quest’ultimo, infatti, oltre che ebbe praticamente a disporre della ripartizione fra
tutti i germani dei beni lasciati dal padre alla sua morte, influì anche in
modo determinante nelle nozze contratte dal fratello Aldo con la Paolina Dello Iacone.
In merito a tali
nozze, infatti, varie voci sono sempre corse in Casaluce poiché la giovane in
precedenza frequentava con assiduità la chiesa in contrada Aprano, ove il
sacerdote Andrea Brunzo esercitava il suo ministero quale vice parroco. Vox populi additava la giovane quale amante del sacerdote
e le voci si fecero più consistenti allorquando – in occasione delle nozze il
sacerdote non soltanto si decise ad un atto di generosità rinunciando alla sua
quota ereditaria del fabbricato paterno in favore del fratello Aldo (convolato
a giuste nozze) ma indusse (leggi costrinse) la sorella Angelina a fare
altrettanto riservando per tale sorella soltanto l’usufrutto a condizione
tuttavia che egli avesse acconsentito a mena vita comune con lui e la
sorella. Dopo le nozze frequenti
divennero le liti fra il reverendo e il fratello Aldo e tra questi e la
sorella Angelina la quale non è andata mai d’accordo con la cognata
contribuendo a mantenere l’atmosfera di sospetto e di sordidi rancori in tutti
i componenti della famiglia. In ultimo
da qualche tempo i rapporti fra il sacerdote ed il fratello Aldo erano
andati via via intorbidandosi per un complesso di motivi di onore e di
interesse: Andrea Brunzo aveva
infatti indotto il germano a sposare il 5 marzo del 1950 la Paolina Dello Iacono che pare non fosse
stata trovata “vergine” all’atto della consumazione del matrimonio. Tale
circostanza messa in relazione con la voce diffusissima in paese – che rapporti
intimi sia prima che dopo il matrimonio sarebbero intercorsi fra la Dello
Iacone ed il sacerdote - aveva ingenerato nello animo di Aldo Brunzo un sordo
rancore contro costui che perciò rendendosi conto della impossibilità della
desiderata vita in comune si era deciso a lasciar carica di vice parroco della
frazione Aprano e ad allontanarsi da Casaluce trasferendosi a Cava dei Tirreni per
insegnare matematica in quel seminario. Nella casa paterna ove erano rimasti
Aldo, la moglie, e la sorella angelina le cose non erano migliorate. I rapporti
fra le due donne e di riflesso quello fra l’Aldo e la sorella erano andati
peggiorando rapidamente tornando di frequente i presunti rapporti della Paolina
col sacerdote sulla bocca della Angelina che anzi aveva finito con lo invitare
il fratello e la cognata a rilasciarle la casa o quantomeno a corrisponderle
adeguato compenso.
Il dissidio acuito dalla pretesa dell’Angelina cui l’Aldo
aveva dovuto far buon viso per evitare il peggio era scoppiato in tutta la sua
violenza il giorno 11 aprile quando cioè Aldo Brunzo, traendo spunto da un
banale incidente verificatosi fra le due donne nel cortile comune aveva
percossa la sorella dandole dei calci all’addome. Tale episodio ed i naturali
suoi strascici aveva finito con lo
indurre l’Angelina – che peraltro si era fatta visitare immediatamente dal
medico ed a farsi rilasciare regolare referto, a richiedere l’intervento del
fratello Andrea cui difatti aveva telegrafato il successivo giorno richiedendo
la sua presenza in Casaluce. Il sacerdote la sera stessa era giunto colà ed il
giorno successivo, dopo aver preso contatto col suo legale Avv. Dario Cristiano e con il Dr. D’amore,
dal quale aveva fatto visitare nuovamente la sorella, aveva tenuto in casa di
quest’ultima – verso le ore 20 – una riunione alla quale avevano partecipato,
oltre alla sorella fattasi trovare a letto e l’Aldo, mandato a chiamare anche
il fratello Crescenzo, la moglie di
costui, Giovanna Di Costanzo nonché l’altra cognata Anna Di Martino, moglie dell’altro fratello Salvatore. La riunione, però, non aveva avuto esito felice; anzi
gli animi si erano tanto eccitati che il sacerdote aveva finito col minacciare
il fratello Aldo di denunciarlo per le lesioni cagionate alla sorella e Aldo Brunzo che per poco non si era con
lui colluttato si era allontanato minacciando a sua volta di attendere per
istrada il sacerdote e rendere di pubblica ragione quanto era a sua conoscenza
circa la relazione da lui tenuta con la propria moglie. Atmosfera incandescente
quindi e conseguente consiglio di famiglia: meglio il delitto che la vergogna
ed il disonore. Precisavano infatti i carabinieri – la cui indagine era stata
avocata dalla Compagnia di Aversa e le relative e delicate indagini affidate al
capo della Squadra di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica Brig.Aniello Romanucci, (un soggetto passato
alla storia per i suoi modi bruschi di fare indagini e di pestare e arrestare
innocenti) – che dalla parole lasciatesi sfuggire dalla Di Costanzo e dalla di
Martino era stato dato di assodare altresì che allontanandosi Aldo Brunzo,
subito dopo le minacce profferite, i fratelli Andrea e Crescenzo erano discesi
subito al pianterreno della casa e quivi si erano incontrati con l’altro
fratello Vincenzo col quale si erano
trattenuti brevemente a parlare. Poi tutti e tre erano usciti in strada
seguendo l’Aldo che su di una bicicletta li aveva sorpassati dirigendosi verso
via Monte. Quivi, qualche attimo dopo Aldo
Brunzo era stato sparato e gravemente ferito. A questo punto le versioni
sono contrastanti: la verità dell’imputato, la verità degli inquirenti?
La
verità giudiziale? La verità ha più volte affermato il Presidente Giovanni
Leone è inafferrabile! Giovanni Brunzo
ammise subito di essere stato l’unico responsabile materiale dell’uccisione del
fratello (scagionando subito gli altri fratelli compreso il prete) ma dovuta,
però, a circostanza assolutamente accidentale e conseguente a “legittima”
difesa. Pertanto egli precisò che il fratello Aldo ebbe ad ingiungergli di
allontanarsi altrimenti lo avrebbe sparato e in dipendenza di ciò egli aveva
tentato di disarmarlo afferrandogli la sua mano destra armata di pistola. Ma
era accidentalmente partito il colpo che ne aveva provocato la morte. Ma dal
delitto – come era ovvio – uscì fuori anche la parte pruriginosa del processo.
Le frequentazioni sessuali del sacerdote, le corna di fidanzate e mogli
infedeli. Anche se poi molte illazioni furono smentite dalle perizia ufficiali.
Ve ne furono tre. La autoptica effettuato nel cimitero di Lusciano sulla salma
della vittima dai medici sammaritani Pasquale Tagliacozzi e Mario Pugliese, con la consulenza del
Prof. Francesco Tarsitano; quella
balistica, sul proiettile rinvenuto nel corpo di Aldo Brunzo, affidata al Dr.
Vito Amedeo Claps ( la pallottola risultò calibro 32 americano,
partita da un revolver a tamburo, marca Smith. ) Nel corso del dibattimento si
sviluppò un accanito dibattito tra le pareti per il possesso della pistola che
secondo gli inquirenti apparteneva al sacerdote. La terza perizia, la più
delicata, fu quella ginecologica affidata al Dr. Mario Pugliese sulla ragazza Caterina Dello Iacono, anni 20, nubile, casalinga che - secondo l’accusa – era stata fatta oggetto
delle attenzioni del sacerdote, oltre alla moglie del fratello. L’esito però
diede un risultato sorprendente: la ragazza era stata oggetto di atti di
libidine, non era stata deflorata e non aveva avuto rapporti anali. Ma su
questi e su altri episodi “boccacceschi” vi furono denunce specifiche. Secondo
i carabinieri il sacerdote aveva avuto rapporti con le due sorelle Paolina e Caterina Dello
Iacono. La prima minorenne e la seconda imposta poi come moglie al fratello, vittima del delitto.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
AVVOCATO ALFREDO DE MARSICO |
Il 13 agosto del 1954, il G.I. allegando alcuni precedenti penali che
avevano interessati sia il sacerdote Andrea
Brunzo che la sorella Angelina e
Clestina Torrembacco, ex fidanzata
di Aldo Brunzo prima che sposasse la Paolina Dello Iacono – su conforme richiesta
del pubblico ministero – ordinava il rinvio a giudizio innanzi la Corte di
Assise di Santa Maria Capua Vetere del solo Vincenzo Brunzo per rispondere del fratricidio che gli era
stato contestato. Con la stessa sentenza il giudice dichiarava “non doversi
procedere” a carico del sacerdote Andrea
Brunzo e del fratello Crescenzo per
concorso in omicidio “per insufficienza di prove”. Assolveva il sacerdote dalla
violenza carnale nei confronti della Paolina
Dello Iacono “perché il fatto non sussisteva” e per gli atti di libidine
contro la stessa “perché il fatto non costituisce reato”. La Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere (composta da Giovanni
Morfino, presidente; Ugo del Matto,
giudice a latere; pubblico ministero Nicola
Damiani) con sentenza del 23 ottobre del 1956 condannò Vincenzo Brunzo per il fratricidio con la concessione delle
attenuanti generiche ad anni 20 di reclusione. Gli imputati ed i difensori, per
la verità numerosi e tutti valorosi, avevano sostenuto fin dalle prima battute
istruttorie che il delitto “non era stato premeditato” (si voleva attribuire
una certa valenza al consiglio di famiglia) che i rapporti del sacerdote con le
donne era “inventati” e che l’omicidio avvenne “accidentalmente” e tuttavia
durante la colluttazione sorta per disarmare il fratello. In Appello, infatti,
il delitto venne ridimenzionato e “ghettizzato” i un omicidio
“preterintenzionale”.
“preterintenzionale”.
AVV. GIUSEPPE MARROCCO |
La Corte di Assise di Appello, infatti, composta da Emanuele Montefusco, presidente; Mario Sabelli, giudice a latere; procuratore generale pubblico
ministero, Ignazio Custo, in
aderenze alle tesi difensive, con sentenza del 10 dicembre 1960, ridusse la pena ad anni 14 contro Vincenzo Brunzo, derubricando il reato
in omicidio preterintenzionale. Ma la difesa anche dopo la derubricazione del
delitto da volontario a preterintenzionale non si accontentò e pretendeva
ancora una diversa configurazione del fatto e cioè insisteva per l’omicidio
colposo. Infatti fu inoltrato un ulteriore ricorso in Cassazione con varie
motivazioni. “La Corte di Assise di
Appello – chiarirono i difensori – ha rigettato il motivo di gravame col quale
era stata chiesta la definizione del fatto con una motivazione vaga,
contraddittoria ed insufficiente, accettandosi, nell’accoglimento dei rilievi
difensivi sull’insussistenza della volontà omicida moltissime argomentazioni
contenuti nei motivi di appello ma svalutandosi le stesse argomentazioni che
pure avrebbero dovute condurre all’accoglimento del motivo principale proposto.
Specificatamente venne dedotto l’errore dei primi giudici che avevano invocato
la causale di odio fra il defunto Aldo Brunzo ed il prosciolto prete Andrea
Brunzo per giustificare il primo col convincimento che l’imputato avesse voluto
e cagionato la morte. Non causale di odio per interesse o di solidarietà con il
prete, non desiderio di occultare lo scandalo ( già trapelato), non gelosia di
interessi economici delusi, non “volontaria adesione a protervi sentimenti” di
altri mossero l’imputato Vincenzo Brunzo che il giudice di appello definisce
“incensurato, laborioso e onesto padre di famiglia”. La difesa appellante aveva
però proposto al giudice di appello una questione di estrema importanza che è
stata totalmente trascurata: Voleva l’Aldo uccidere il fratello Prete? Aldo
aveva minacciato il fratello Prete ( si ricorderà la frase: “Chi mi ha ingannato deve morire”) già
in precedenza e lo minacciò ancora la sera della tragedia (“Ti devo fare la sentinella!”) frase
riportata anche nella sentenza di II grado. Aldo inizia l’attuazione del suo
proposito omicida, secondo i riferimenti della Paolina Dello Iacono, ex amante del Prete e moglie del fratello
vittima del delitto. Dopo il drammatico
colloquio col fratello Prete – perché va a casa se non per armarsi – e ne esce
in bicicletta e va in una via solitaria e attende il Prete che deve passare? E’ brusco e furente. Perché
Vincenzo Brunzo (l’assassino) va
verso l’Aldo (la vittima) che è in agguato? Pare logico e vero che Vincenzo
Brunzo impensieritosi della più acuta tensione quella sera manifestatosi fra
l’Aldo e l’Andrea e indi allarmato a veder Aldo muovere sulla stessa strada ove
si erano incamminato Andrea e Crescenzo e poi sorpassati e fermarsi, abbia
voluto intervenire – così come dice con la sola autorità di un fratello
maggiore – onde pacificare quegli che appariva in quel momento più arrabbiato e
minaccioso e cioè Aldo e così lo abbia raggiunto esortandolo ad acquetarsi . Ed
allora sarà bastato un incauto ingiusto rimprovero dell’uno e una permalosa o
minacciosa replica dell’altro scambiati in quelle poche frasi a suscitare l’ira
dell’intenzionale paciere e ad armare la mano traendolo al delittuoso sparo.
Neanche alcuna considerazione hanno avuto i rilievi della difesa sulla scarsa
attendibilità dei due ragazzi Saverio
Felaco e Valentino Moccia che in
dibattimento “sapientemente” non ricordano più nulla, sui contrasti fra il
fatto narrato dai ragazzi (colpo a distanza-offensore in piedi offeso sulla
bicicletta) e fra quello ricostruito sulla prova generica – ( colpo a
bruciapelo, ferita da sinistra a destra, dall’alto verso il basso, offeso ed
offensore sullo stesso piano). Tutto sommato, sopito lo scandalo, arrivate le
sentenze con il dubbio e le insufficienza di prove anche per i reati
“pririginosi” il delitto venne pagato ben poco. Nei 4 gradi di giudizio, con
denunce e querele, con imputati e parti lese gli avvocati impegnati furono un
cast eccezionale: Luigi Patroni Griffi,
Giacinto Mazzucca, Alfredo De Marsico, Pasquale Purificato, Giovanni Porzio,
Luciano Numeroso, Vincenzo Romeo, Giovanni Leone e Giuseppe Marrocco.
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