Barbara vendetta tra caprai
assassinato a colpi di roncola alla
presenza di un bimbo di 8 anni
Il delitto
ricostruito nei particolari del piccolo testimone che condusse i carabinieri
nel bosco facendo scoprire il cadavere occultato e gli autori del truce delitto.
La vittima si era resa più volte
colpevole di pascoli abusivi.
Il delitto accadde in contrada “Bosco Valle” di San Felice a Cancello il 19 agosto del 1953
San
Felice a Cancello – La sera del 19 agosto 1953, i carabinieri di
Cancello, secondo quanto riferivano con apposito rapporto venivano informati
che in detto pomeriggio, in contrada “Bosco Valle” il giovane capraio Carmine Martone di anni 21, era stato
ucciso da altri due caprai, Carmine
Rivetti, di anni 36 e Mario
Sabatasso di anni 29, ma la cosa più raccapricciante era il fatto che il
delitto era stato consumato alla presenza del piccolo Michele Sabatasso di anni 8 che, quel giorno, sfortunatamente, si era accompagnato alla vittima per condurre
al pascolo gli animali. I carabinieri si recavano la sera stessa sul posto –
insieme al ragazzo – ma non riuscivano a rintracciare il cadavere del Martone
e, data l’oscurità, rinviavano le ricerche al giorno successivo. Verso l’alba
del 20 agosto, quindi, sempre accompagnati dal minore Michele Sabatasso,
poterono notare nella boscaglia – innanzi tutto – delle macchie di sangue su
delle piante di castagno all’altezza di una persona. A circa 50 metri, altre
macchie di sangue erano visibili in un cespuglio, a valle; da esso una lunga
striatura sul terreno si snodava nella
valle e proseguiva, per oltre un chilometro, nel vallone Costa e poi
sulla cunetta a ridosso della scarpata sinistra. Ivi alcune punzonature
prodotte, probabilmente, da qualche paletto di legno provocate sul terreno
sottostante la caduta copiosa di terriccio; rimosso il quale, si poteva distinguere
la sagoma di un uomo (vedi foto) disteso ed anzi la punta di uno scarpone chiodato.
Intervenuto a questo punto il Pretore di Arienzo si procedeva, con l’assistenza
anche di un perito e dei carabinieri addetti al Nucleo di P.G. del Gruppo di
Caserta, alla rimozione di tutto il terriccio che copriva il cadavere
identificato appunto per quello di Carmine Martone. Esso risultava
completamente nudo, i pantaloni e le mutandine essendo stati raccorciati fino
ai piedi che calzavano scarponi chiodati. Il cadavere presentava al viso una
contusione ed una escoriazione; al collo macchie ecchimotiche, al braccio sinistro tre ferite
prodotto probabilmente da una roncola, una ferita più profonda alla regione
ipotenale, allo stesso braccio sinistro; al torace e all’addome macchie
ecchimotiche con varie graffiature; una piccola ferita al gomito destro.
Rivoltato il cadavere, si notavano alla regione occipitale una vasta ferita con
frattura del cranio da cui ancora
fuoriusciva sangue. Interrogato dai carabinieri
il ragazzo Michele Sabatasso
precisava che nella mattinata del 19 agosto recatosi unitamente al Martone a
far pascolare le pecore, erano entrambi andati a trattenersi nel vicino fondo
di Giuseppe Rossetti che stava
lavorando per proprio conto ed erano stati raggiunti, poco dopo, dal Mario Sabatasso consumando tutti e
quattro, la loro colazione. Ad un certo punto il Rivetti aveva chiesto al
Martone di mandare esso Michele a prendere dell’acqua perché i cani si erano
abbeverati nel secchio riservato ai pastori. Il Martone dapprima si era
rifiutato ma alle sollecitazioni del rivetti, aveva infine acconsentito al suo
desiderio per il quale esso Sabatasso si era allontanato. Al suo ritorno però,
egli non aveva più trovato i caprai e si era messo a chiamare il suo compagno Martone
gridandone il soprannome: ”Tappetto…Tappetto”
. Nessuno gli aveva risposto ed egli, lasciato il secchio, si era diretto verso
il posto dove stavano pascolando le capre. In questo frattempo era riuscito a
distinguere l’abbaiare dei cani ed avvicinatosi sempre di più al luogo dal
quale proveniva il frastuono aveva percepito la voce di Carmine
Martone che gridava: “Mario non lo
faccio più! Mario non lo faccio più!”. Egli
si era inoltrato a passo svelto verso la
boscaglia nella direzione da cui erano partiti i gridi del Martone. Aveva così
potuto scorgere costui, steso a terra in un cespuglio mentre Carmine Rivetti tirava una cinghia dei
pantaloni che il Martone teneva legata al collo, ed il Mario Sabatasso stava estraendo dalla tasca destra dei pantaloni
del Martone stesso un coltello cui si impossessava ponendolo nella sua tasca.
Alle sue domande su che cosa stessero
facendo il Rivetti gli aveva risposto: “Stiamo
ammazzando un cane”. Frattanto il Mario
Sabatasso nell’appoggiare un piede su delle spine, aveva scoperto la testa
del Martone tutta coperta di sangue. Egli allora aveva chiesto ai due perché
avessero ucciso il Martone ed il Rivetti gli aveva risposto: “Perché l’ho ammazzato io?”, mentre il
Mario Sabatasso aveva soggiunto: “Non dire niente, se no ammazzo anche
te!”. Era scoppiato a piangere e, fra l’altro disperandosi di non essere in
grado di accompagnare le capre da solo, il Mario
Sabatasso lo aveva aiutato a radunare gli animali seguendolo poi, con i
suoi, fino in contrada Starza ove si era incontrato con Antonio Sabatasso, fratello di Mario questi aveva accettato di ricevere in consegna le capre del
Martone mente egli ritornato a casa si era affrettato a raccontare alla madre
che il Martone era stato ucciso.
Verso le 16 e trenta del 20
agosto venivano pertanto tratti in arresto Carmine
Rivetti e Mario Sabatasso. Il primo dichiarava innanzi tutto che tra lui ed
il Martone non correvano – da tempo – buoni rapporti: A suo dire questi si era
reso più volte colpevole di pascoli abusivi ma aveva sempre accusato il Rivetti
ed il Sabatasso di tali illeciti lasciando credere ai proprietari dei fondi
danneggiati che egli esplicava una attiva vigilanza nel loro interesse e
percependo così dei compensi. Precisa appunto il rivetti che nell’aprile del
1953, il Martone aveva denunziato Antonio
Sabatasso, fratello di Mario, per pascolo abusivo nei fondi di proprietà
di Andrea
Ferrara. Nello stesso mese di aprile
aveva minacciato con una pistola esso
Rivetti accusandolo di essere l’autore di altro pascolo abusivo nella proprietà
di Mauro Colangelo ed aveva schiaffeggiato un suo nipote:
Vincenzo Rivetti dicendogli poi, per dileggio, che gli schiaffi erano destinati
a lui, suo zio. Peraltro aveva subito ad opera del Martone altra minaccia
poiché essendo stato denunziato quest’ultimo da una sua cognata Mariantonia Carannante, l’altro aveva ritenuto che fosse stato esso Rivetti ad
istigare la donna alla denunzia, che la mattina del 19 agosto il Martone, in
compagnia di Michele Sabatasso fratello della sua fidanzata a nome Petronilla, era venuto a pascolare le
capre nei pressi del suo fondo. Poco dopo si era messo a mangiare delle nocelle
raccogliendole dal suo terreno ma senza che esso Rivetti facesse alcuna
rimostranza trattandosi di frutta di poco valore. Sopraggiunto poi il Mario Sabatasso il Martone gli aveva
chiesto la roncola per andare a tagliare delle verghe di castagno in un
vicino bosco ma esso Rivetti non aveva aderito alla richiesta perché in quel
momento la roncola gli era necessaria per il suo lavoro. Sul posto si erano
trattenuti inoltre – per un certo tempo – tal Francesco Diglio che però prima delle 13 erano andati via. Proprio verso quell’orario
il Martone il aveva mandato il fratellino della sua fidanzata ad attingere
dell’acqua in una sua cisterna sita in contrada “Gritta” di Ciavarello di San
Felice a Cancello. Allontanatosi il ragazzo il Martone aveva impugnato una
pistola ed avvicinatosi gli aveva detto.
“Fatti un fosso con le tue mani che devi fare il morto, ti debbo atterrare”.
E ripetendo questa minaccia il Martone – sempre secondo la sua deposizione – aveva
fatto fuoco contro di lui senza tuttavia riuscire ad attingerlo giacché esso
rivetti, con un brusco movimento, era riuscito ad evitare il colpo. Intervenuto
il Mario Sabatasso in suo aiuto questi era riuscito a disarmare il Martone
mentre esso Rivetti, con la sua roncola, lo aveva colpito ripetutamente alla
testa e alle braccia. Epperò il Martone
si era svincolato ed era fuggito nel sottostante bosco gridando: “Sempre la pelle vi debbo fare a tutti e due!
”. A tale minaccia egli ed il Sabatasso l’avevano inseguito e, raggiuntolo,
altri colpi di roncola gli erano stati da lui inferti alle braccia mentre il
Sabatasso lo aveva colpito con pugni e calci finchè il Martone non aveva dato
più segni di vita. Era stato a questo punto concludeva il Rivetti che era
sopraggiunto il ragazzo e che nel vedere il suo amico in fin di vita si era
messo a piangere. Egli si era allora allontanato dirigendosi a casa di suo
cognato Raffaele Migliore per
rifornirsi di una maglietta giacchè la sua si era tutta strappata ed intrisa di
sangue durante la colluttazione. L’imputato faceva presente, infine, che di non aver preso parte alcuna al macabro
nascondimento del cadavere del Martone e che, nella seconda colluttazione con
questi aveva riportato una ecchimosi da morso al braccio sinistro infertagli
dal suo avversario.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
PER
CONCORSO IN OMICIDIO VOLONTARIO ED OCCULTAMENTO DI CADAVERE IL RIVETTI
FU CONDANNATO ALLA PENA COMPLESSIVA DI ANNI 30 ED IL SABATASSO AD ANNI
25 DI RECLUSIONE.
Procedutosi a carico dei due imputati con la formale
istruzione l’uno e l’altro confermavano in un primo tempo le dichiarazioni già
fatte ai carabinieri. Epperò il 24 settembre i due imputati facevano istanza –
separatamente – di essere interrogati di nuovo in ordine ai fatti del processo
assumendo di dover fornire in proposito nuovi particolari. Dichiarava pertanto
il Rivetti che ad uccidere il Martone erano stati il Mario Sabatasso ed il
fratello Antonio esponendo una nuova versione. Dopo che il ragazzo Michele si
era allontanato per attingere l’acqua, Mario Sabatasso aveva detto al Martone
che egli non doveva fare più il guardiano. L’altro aveva ribattuto che avrebbe smesso
tale attività quando il Padre del SABATASSO – che pure esercitava la guardiania
– si fosse ritirato. La risposta fu: “Se
tu non ti vuoi ritirare ti faccio ritirare io”. E ciò dicendo era venuto a
colluttazione con il Martone. Esso Rivetti era intervenuto per dividere i due e
in questa circostanza era stato morsicato al braccio sinistro dal Sabatasso.
Nel frattempo, il Martone era fuggito verso la montagna ma il suo avversario
armatosi della roncola, di esso Rivetti, che era caduta a erra, si era lanciato
al suo inseguimento riuscendo alla fine a raggiungere il giovane il quale a un
tratto si era trovato di fronte al fratello di Mario Sabatasso – a nome Antonio
– che lo aveva afferrato per il petto trattenendolo finchè, sopraggiunto il
Sabatasso era caduto a seguito delle numerose roncolate infertegli da
qurst’ultimo. Spiegava il Rivetti che egli si era proclamato confesso in un
primo momento perché la sera stessa del tristo avvenimento era stato invitato a
casa dei Sabatasso ove il padre di costoro lo aveva indotto a dichiararsi
colpevole dell’omicidio con la promessa di 150 mila lire da dare a sua moglie –
per il suo sostentamento durante la detenzione e di dieci capre all’atto della
sua liberazione; che il Sabatasso padre aveva aggiunto, nell’occasione, che
egli avrebbe potuto addurre a sua discolpa la “legittima difesa” sostenendo che
il Martone, per primo, gli aveva esploso contro un colpo di pistola. Riveriva
ancora che in suo presenza Vincenzo
Sabatasso aveva chiesto ai due figli Mario
e Antonio se avessero fatto ciò che
egli aveva detto e che i due avevano assicurato. Mario Sabatasso, da parte sua, affermava che nel secondo
La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (
Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Renato Matrocinque; pubblico
ministero, Nicola Damiani) con sentenza del 12 novembre del 1955
condannò Carmine Rivetti e Mario Sabatasso colpevoli di
concorso in omicidio volontario in persona di Carmine Martone, ed il Rivetti inoltre di occultamento di
cadavere con l’aggravante (recidiva
specifica per il Sabatasso) il Rivetti alla pena complessiva di anni 30 di
reclusione ed il Sabatasso ad anni 25 di reclusione.
Nessun commento:
Posta un commento