SCOPRI’ L’ AMANTE A LETTO CON UN UOMO E TENTO’ DI UCCIDERLA
Per la serie la moglie si può tradire l’amante
no, raccontò per rappresaglia al marito della donna la sua
tresca. Lei lo denunciò per diffamazione ma lui esibì una foto che la ritraeva
con lui. La relazione piu’ che per sesso
era per soldi.
la foto dei due amanti |
Il delitto accadde a Lusciano alle ore 9, 15 del 9 Marzo del 1954 in via B. Miraglia
Lusciano
–
Verso le ore 9, 15 del 9 Marzo del 1954, un brigadiere dei carabinieri
transitando in via B. Miraglia notava che un uomo inseguiva una donna
esplodendole alle spalle tra colpi di pistola. Egli rincorreva e disarmava lo
sparatore identificato poi per Giovanni
Spatarella e dopo aver curato al trasporto della donna che appariva ferita
all’ospedale di Aversa lo accompagnava dai carabinieri ai quali consegnava
anche la pistola adoperata – un revolver a 5 colpi di cui tre risultavano
esplosi e due battuti dal percussore. Lo
Spatarella dichiarava ai carabinieri di
aver avuto da circa due anni rapporti intimi con la ferita di nome Assunta Costanzo e coniugata con tale Luigi Sagliocco ed a prova di tale
relazione esibiva una fotografia che lo ritraeva insieme con la Costanzo. Egli
però deduceva che, avendo notato che costei
“se la faceva anche con altri uomini”, aveva deciso, malgrado le
preghiere dei lei, di abbandonarla e tale proposito aveva manifestato il giorno
precedente alla donna cui aveva anche richiesto la restituzione almeno
dell’anello – che egli sottraendolo insieme ad altri monili alla propria moglie – le aveva donato. Al diniego e alle
ingiurie della Costanzo egli l’aveva minacciato di svelare la loro relazione al
di lei marito, cosa che aveva fatto la stessa sera del giorno otto consegnando,
tra l’altro, una copia della fotografia (la stessa che qui pubblichiamo e che
era allegata al processo) esibita ai carabinieri. “Senti Luigi… con imbarazzo ti dico che ti ho fatto becco… questa è la
foto che mi ritrae con tua moglie… ma il grave è che lei ha anche
frequentazioni con altri uomini”. La mattina del 9 settembre la Costanzo lo
aveva fermato per istrada e mostrandogli
una rivoltella e lo aveva istigato –
poiché ciò era inevitabile a causa delle rivelazioni da lui fatta al marito –
ad uccidere costui. Al suo rifiuto la
Costanzo aveva minacciato di morte lui cavando ancora una volta la pistola di
tasca; egli allora, vincendo la sua resistenza, era riuscito a strapparle l’arma
e poi “senza pensarci” le aveva scaricato addosso, non essendone esplosi due,
gli altri tre colpi. La Costanza cui in ospedale erano state riscontrate una
ferita alla regione interscapolare sinistra penetrante nella cavità toracica ed
una ferita, pure da arma da fuoco, alla natica con proiettili ritenuti –
interrogata dai carabinieri contestava – pur non sapendo fornire adeguate
spiegazioni – circa la fotografia, di aver avuto rapporti intimi con lo
Spatarella ed affermava che costui, col quale la sera precedente aveva
litigato, avendo egli sparsa la voce che ella era la sua amante, la mattina del
9 aveva tuttavia preteso che ella lo seguisse ed anzi aveva cercato di
trascinarla; di fronte ala sua resistenza, le aveva poi esploso alle spalle –
mentre ella si dava alla fuga – i tre colpi di pistola. I carabinieri riferivano che il marito della
Costanzo aveva confermato di essere stato messo al corrente della tresca con la
moglie con lo Spatarella proprio da costui. Che la mattina del 9 la Costanzo si
era ad essi presentata denunziando la diffamazione di cui era stata vittima ad
opera dello Spatarella e concludevano il rapporto di arresto di costui
sostenendo che questi e perché geloso della Costanzo, indicata in pubblico come
donna di facili costumi, e perché
assalito dall’ira pel successivo contegno di lei aveva inteso vendicarsi
esplodendole contro, sl fine di ucciderla, i colpi della propria pistola.
Nell’interrogatorio
reso successivamente al Pretore lo Spatarella, assumendo di essere stato
circuito dalla Costanzo – che non aveva mancato di sfruttarlo e tradirlo –
com’egli aveva potuto personalmente constare – sorprendendola a letto con un
venditore ambulante nella ospitale casa di tale Teresa Romano, confermava quanto aveva dichiarato ai carabinieri
sostenendo che la Costanzo al suo rifiuto di uccidere suo marito aveva
impugnato la pistola cercando per ben
due volte di farne esplodere i colpi. Egli però era riuscito, mordicandole il polso, ad impossessarsi
dell’arma di cui poi aveva fatto uso scorgendo che la donna, corsa verso il
binario del tram si curvava per raccogliere dei sassi: Al Giudice Istruttore
delegato per l’indagine - egli
confermava ancora una volta – tali dichiarazioni assumendo tuttavia di essersi
deciso a parlare con il marito della sua amante in quanto già da tempo la
Costanzo la istigava ad uccidere costui. Nella motivazione della sentenza di
rinvio a giudizio il Giudice Istruttore scrissero tra l’altro “che nonostante
il reiterato diniego della Costanzo, è da ritenersi per certo che costei,
dimentica dei doveri verso il coniuge ed i figli, al pari dello Spatarella,
aveva da tempo stretta una relazione intima con costui. Le affermazioni dello
Spatarella, così ricche di particolari anche in ordine al luogo dove egli era
solito congiungersi con la donna. I rapporti fra lo Spatarella e la Costanzo si
erano negli ultimi tempi guastati a causa della infedeltà della donna e della
gelosia dello Spatarella che l’aveva perfino sorpresa in una casa di Aversa
mentre giaceva con un altro uomo. Di qui le frasi volgari rivolte dallo
imputato alla Costanza che chiedeva di lui alla testimone Michelina Apicella; nonché, fra le altre, la scenata avvenuta fra i
due il giorno 8 marzo di cui fa cenno la stessa Costanzo. Di qui infine la
decisione adottata dallo Spatarella di proclamare per evidente spirito di
rappresaglia, la sera di tale giorno, al marito della Costanzo la relazione
intima avuta con costei e di documentarla perfino con la consegna di una copia
della famosa fotografia. Se il povero Sagliocco, non seppe cosa fare di fronte
alla candida confessione che era stato fatto “cornuto” la moglie – donna
risoluta e di varie risorse – al fine evidente di salvare il salvabile si
peritò a denunciare lo operato dello Spatarella ai carabinieri ai quali il
mattino dopo parlò della calunnia e della diffamazione di costui. E per appunto
nel far ritorno dalla caserma dove le era stata rappresentata l’opportunità di
rivolgersi ad un legale per la tutela della reputazione che ella si incontrò
con lo Spatarella. Cosa sia accaduto fra i due
prima della fuga (incontestabilmente accertata attraverso anche le
parole del Brigadiere Carlo Andreozzi
che fu l’unico ad assistere all’epilogo dello incontro) e prima dello sparo dei
tre colpi di pistola da parte dello Spatarella tratto in arresto dall’Andreozzi
con l’arma ancora in pugno è agevole desumere – malgrado l’assenza di testimoni
ed il contrasto fra le dichiarazioni dei protagonisti del sanguinoso episodio.
L’assunto dello imputato secondo cui la Costanzo l’avrebbe ingiunto di uccidere
il marito unico ostacolo alla attuazione di tale proposito eppoi al suo rifiuto
avrebbe tentato invece di uccidere lui cercando di fare esplodere per ben due
volte i colpi di una rivoltella cavata, non si sa bene, se dalla tasca o da un
fazzoletto, si appalesa veramente
assurdo appena si valuti quanto era accaduto la sera innanzi e lo stato d’animo
della donna che avendo appena qualche momento prima denunziato ai carabinieri
l’atteggiamento veramente insolito e non
normale serbato quella sera dallo Spatarella non poteva di certo non covar
rancore verso di lui che l’aveva precipitata in una situazione estremamente
delicata e pensare invece alla soppressione del proprio marito come mezzo per
la continuazione della tresca ormai e non solo materialmente, impossibile.
Lo stato d’ira – rimarcarono i giudici della Corte di Assise nella loro
motivazione – che indubbiamente invaso l’animo dell’imputato nel vedersi
definitivamente respinto .dalla donna diventatagli ostile al punto di armarsi e
al suo invito a cavar di tasca la pistola (che quella fra l’altro non aveva
alcun motivo di detenere in qual momento tanto che si era recata proprio allora
dai carabinieri) e a far fuoco ripetutamente su di lei che pure aveva cercato
scampo nella fuga. Questo, anche se fra i due vi fu un principio di
colluttazione, fu il reale logico svolgimento svolgimento dello episodio la cui
conclusione non fu d’altronde negata dallo Spatarella allorquando – nella immediatezza
dello arresto – non avendo avuto ancora
la possibilità di escogitare il dedotto tentativo della donna di sparare e
lanciargli poi delle pietre – ammise di aver sparato o tentò di sparare
“senza pensarci” tutti i cinque colpo
di cui l’arma era dotata. A
conclusione dell’istruttoria formale il Giudice Istruttore accertato che la malattia
cagionata alla persona offesa aveva avuto la durata di circa 40 giorni con
residuale pericolo futuro a causa della ritenzione di due schegge di proiettile
nel paranchina polmonare (segmento ascellare del lobo superiore) riteneva
sussistente il tentativo di omicidio e pertanto con sentenza – sulle conformi
conclusioni del pubblico ministero – ordinava il rinvio al giudizio dello
Spatarella per rispondere anche del
possesso illegale dell’arma innanzi la Corte di Assise del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere. “La vittima difatti - scrisse il G.I. nel rinvio a giudizio - non
trovò scampo neppure nella fuga per il totale scaricamento dell’arma addosso ad
essa, l’esser riuscito malgrado i
movimenti incomposti della vittima a mettere a segno ben due colpi dimostrano
esaurientemente come lo Spatarella – in preda alla gelosia ed al risentimento –
per la denunzia sporta contro di lui dalla donna e l’abbandono di costei,
intendesse uccidere la Costanzo che difatti, attinta anche alla regione del
polmone scampò alla morte per causa indipendente dalla di lui volontà”.
Fonte.
Archivio di Stato di Caserta
LA CONDANNA FU A SEI ANNI DI CARCERE. SCESI
A 4 NEL GIUDIZIO DI APPELLO COL
RICONOSCIMENTO DELLA PROVOCAZIONE.
Nel dibattimento l’imputato e
la Costanza, costituitasi parte civile, insistettero ciascuno sulle proprie
dichiarazioni. Giovanni Spatarella,
sposato e con tre figli (assistito dal proprio difensore Avv. Antonio Simoncelli, il quale prospettò
la tesi prima della legittima difesa, poi della provocazione e poi le
attenuanti del particolare valore morale e sociale che saranno riconosciute,
però, soltanto in sede cdi appello) dichiarò: “Insisto nel dire che la donna cercò di far partire due colpi contro di
me contro una piccola pistola, che aveva tratta dalla tasca. Io riuscii, anche
dandole un morso sulla mano, a disarmarla. Ricordo di avere sparato, ma devo
dire che ero in grande agitazione. Ricordo, però, che fui io a fermare il
brigadiere che era fermo in un’automobile”. A questo punto – come era
prevedibile – il Presidente della corte gli contestò il fatto che le
dichiarazioni erano divergenti con quelle rilasciate ai carabinieri subito dopo
il fatto ed egli soggiunse. “Quanto risulta dal mio interrogatorio ai
carabinieri è tutto esatto ad eccezione di quanto si riferisce alle modalità
degli spari. Io non dissi affatto ai carabinieri che la donna aveva estratto
una prima volta la pistola e mi incitò
ad uccidere il marito; né dichiarai loro che io – disarmata la Costanzo – avevo
esploso prima i tre colpi e poi tirati gli altri due, che non partirono.
Come
ho detto fu la donna ad usare per due volte l’arma senza fare esplodere i colpi
e poi sparai io. Io finii la relazione con la Costanzo il 20 febbraio, quando
la sorpresi a letto con un venditore ambulante di Napoli. Lei non lo faceva
solo per soldi, era una ninfomane”. La
ninfomania è un termine usato in passato nella storia della medicina, indicante
l’aumento in misura morbosa dell’istinto sessuale nella donna. Il termine fu
coniato nel 1771 dal medico francese J. D. T. de Bienville, che lo utilizzò per
la prima volta nel suo studio: “La ninfomania, ovvero trattato sul furore
uterino”. Fu considerata dapprima una perversione e, in tempi successivi, una
patologia sessuale femminile caratterizzata da una compulsiva ricerca di
partner e accompagnata da anorgasmia o frigidità. Nel 1992 l’Organizzazione
Mondiale della Sanità non riconobbe più nella ninfomania una patologia e nel
1995 la American Psychiatric Association cancellò tale voce dalla IV edizione
del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV), riconducendo
tuttavia il concetto, insieme all’equivalente maschile noto come satiriasi,
entro la più vasta categoria dell’ipersessualità. In un contesto di diffuso
maschilismo che tendeva a negare alla donna ogni diritto al piacere sessuale, i
termini “ninfomania” e “ninfomane” entrarono presto nel linguaggio comune in
un’accezione generica e spregiativa, per definire donne alla costante e
compulsiva ricerca di partner sessuali. (N.d.R.). Mentre la donna a sua volta
interrogata in aula dichiarò: “Mi riporto
alle dichiarazioni in atto ed insisto nel confermare che non ebbi nessun
rapporto sessuale con l’imputato il quale era soltanto considerato un amico di
famiglia. La fotografia che mi esibite la dovetti fare dietro le minacce con arma dell’imputato, il quale poi, all’improvviso, mi mise una
mano sulla spalla, all’atto della fotografia”. (Sic!) “La sera precedente al fatto ebbi due incidenti con l’imputato che mi
voleva con lui a tutti i costi ed io per impedirgli di entrare in casa mia
contro la mia volontà fui morsa alla mano destra; poi egli pensò bene di
calunniarmi presso mio marito e perciò io la sera stessa mi portai dai
carabinieri per denunciare la calunnia e
per un consiglio in genere. Al mio
rifiuto di ritornare con lui l’imputato cavò di tasca la pistola e fece fuoco”.
La Corte di Assise composta dal presidente Giovanni Morfino; dal giudice a latere, Renato Mastrocinque; dal pubblico ministero, Nicola Damiani, ritenne che lo Spatarella andava dichiarato
colpevole di tentato omicidio e poichè non si scorge su quali basi poggino le
attenuanti della provocazione e del motivo di particolare valore morale e
sociale invocato dalla difesa (l’imputato che il solo provocatore non aveva
invero, pel fatto stesso della sua infedeltà coniugale, alcuna valore morale e
sociale da tutelare - possono essere tuttavia concesse, sebbene in misura
limitate a causa del suo contegno, le attenuanti generiche in considerazione
della buona condotta serbata antecedentemente al reato. La pena di anni 8 di
reclusione che si stimava di infliggere a causa del non lieve danno alla
persona cagionato alla Costanzo può pertanto essere ridotta ad anni 6, mesi 4
di arresto e lire diecimila di multa.
Fonte.
Archivio di Stato di Caserta
Carmela Spatarella nipote di Giovanni
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