TENTO’ DI UCCIDERE L’AMANTE CHE VOLEVA
LASCIARLO MA LA DONNA NONOSTANTE FOSSE FERITA RIUSCI’ A DISARMALO
LA DONNA AVEVA
ABBANDONATO IL MARITO PER
ANDARE A CONVIVERE CON
L’AMANTE CHE ERA FERROVIERE A MESSINA. L’UOMO
DI SANTA
MARIA CAPUA
VETERE AVEVA LASCIATO LA MOGLIE MALATA.
Il delitto accadde alle ore 22 del
10 settembre del
1954 in Dragoni
Dragoni
– Ci
sono tutti gli ingredienti del giornalismo che coinvolge i lettori “S.S.S.”:
soldi, sangue e sesso. La fine dell’idillio con due colpi di pistola. La
passione travolgente e l’abbandona della moglie malata. Una storia passionale:
eccola. Alle ore 22 del 10 settembre del
1954 veniva ricoverata nell’ospedale di Piedimonte d’Alife, dove era stata
accompagnata dal Dott. Giovanni Laurenza
– che aveva prestato le prime cure – Maria
Morgillo da Dragoni la quale presentava ferita alla regione mammaria
sinistra con sospetti di lesioni di organi interni. La radiografia evidenziava
in corrispondenza del seno un proiettile di rivoltella che veniva estratto dal
pronto intervento operatorio. Al Pretore di Piedimonte d’Alife la Morgillo
l’indomani dichiarava che la sera precedente verso le ore 20 e trenta a casa
sua in Dragoni tale Pasquale Monaco
– che già sua amante da alcuni anni – non intendeva accedere al suo desiderio
di troncare la relazione intima ed anzi non aveva esitato – onde indurla a
continuare la tresca – a minacciarla più di una volta sia direttamente,
com’ella aveva riferito anche al guardia
boschi Antonio Sperti sia parlando
con altre persone fra cui tale Maria
Tebano cui aveva mostrato pure una
pistola sia, infine, nelle lettere inviatele da Messina dove, egli, partita
lei, era rimasto per ragioni del suo impiego. Il Monaco non appena entrato le
aveva ingiunto di seguirlo ed al suo rifiuto aveva cavato di tasca una pistola:
ella aveva allora cercato di disarmarlo ma durante la colluttazione egli aveva
esploso un colpo di pistola contro il suo petto ferendola e poi un altro colpo che
la feriva di struscio. La Morgillo aggiungeva che veniva finalmente in possesso
dell’arma – che era nella colluttazione caduta a terra – e l’aveva scaricata
facendone esplodere gli altri tre colpi. Pasquale Monaco, tratto in arresto
dichiarava ai carabinieri che non avendo visto rientrare in Messina l sua
amante si era portato in casa di lei a Dragoni per indurla a seguirlo; colà la
Morgillo – che era in compagnia di un uomo – si era rifiutata di aderire al suo
invito onde egli, cavata da una borsa una pistola, aveva al fine di ucciderla
esploso due colpi contro la donna che
però era riuscita disarmarlo e scaricando in aria l’arma a metterlo in fuga.
Poi
aveva fatto la storia della sua relazione ed aveva rimarcato il fatto che –
negli ultimi anni – la donna si era data anche ad altri. Poi precisa che appena
entrato in casa della donna – mentre se ne allontanava un uomo – era stato
fatto segno ad un colpo di arma da fuoco da parte della Morgillo medesima; che
fattale cadere la pistola a terra egli, mentre l’uomo lo afferrava alla spalle, era riuscito a
venire in possesso dell’arma dalla quale, mentre la Morgillo colluttava con lui,
era partito un colpo, che l’aveva ferita al petto. L’arma gli era stata poi
tolta dalla donna che aveva provveduto a scaricarla sparandone i residui colpi
in aria. Deduceva che l’arma pur avendo
egli rinvenuta tempo addietro non era posseduta al momento del fatto dalla
Morgillo. Costei nuovamente interrogata sosteneva che l’unico uomo visto quella
sera fu un tale Nicola Perrino
accordo peraltro proprio per sedare l’alterco; che la pistola era caduta al
Monaco nell’atto di impugnarla; che il Monaco ripresa l’arma malgrado ella
avesse cercato di impedirglielo ne aveva esploso – nel corso della
colluttazione un colpo che l’aveva ferita al petto eppoi un secondo colpo che
l’aveva bruciacchiata la mano; che, impossessatasi alla fine dell’arma, essa ne
aveva fatti esplodere i tre residui colpi.
Nicola Perrino deponeva nei sensi
indicati dalla Morgillo precisando di aver visto l’uomo far partire un colpo
della pistola contro la donna che lo teneva avvinghiato. Un altro teste ( il
guardaboschi) Antonio Lo Sperti, dichiarava
che circa tre mesi prima la Morgillo (che in paese era corteggiata da tutti
essendosi una bellissima donna) lo aveva informato che il Monaco aveva indosso
una pistola e lo aveva scongiurato di fare “qualcosa” perché il Monaco voleva
condurla seco in Sicilia; che egli aveva fatto presente alla donna di
rivolgersi per ciò ai carabinieri. L’altra teste Maria Tebano raccontava che il Monaco nel luglio del 1954 le era
andato a fare visita ed aveva chiesto dove la Morgillo si trovasse, affermando
che egli non poteva dimenticarla e che se la stessa non lo avesse seguito in Sicilia egli l’avrebbe colpito con 4
cinque colpi di una pistola che gli aveva mostrato.
Avv. ANTONIO SIMONCELLI |
Innanzi al Giudice Istruttore l’imputato Monaco dichiarò: “La Morgillo fin dal 14 agosto (il
delitto era stato commesso il 10
settembre N.d.R.) si trovava a Dragoni
per sbrigare alcune sue faccende. Io invece, il giorno 28 di tale mese
raggiunsi mia moglie a Telese – perché la stessa era ammalata – e mi portai
diverse volte a Caserta ove mi raggiunse la Morgillo rimanendo con me una
notte. Poi ella ripartì per Dragoni raggiungendomi qualche giorno dopo a
Caserta. Poi il giorno 8 settembre si portò di nuovo a Dragoni rimanendo
d’intesa che sarebbe ritornata a Caserta per ripartire poi con me per Massina.
Io poi, essendomi ricordato che ella doveva portare a Massina della biancheria
– la sera del 10 mi portai a Dragoni. Bussai alla sua porta ma la Morgillo, da
dentro, mi disse di andare via, perché dentro c’era un uomo. Io, indignato di
ciò, incominciai a sbattere contro la porta che ad un tratto, dopo qualche
tempo venne aperta. Un uomo si sgattaiolò sotto il naso, mentre la Morgillo mi
ricevette con la pistola impugnata. Io le detti un colpo sulla mano e l’arma
cadde a terra mentre un colpo mi feriva di striscio alla gamba sinistra.
Mentre io e la Morgillo cecavamo entrambi di riprendere l’arma – un
individuo che non so dire se fosse quello di prima - mi afferrò alle spalle immobilizzandomi. Fu
allora che la Morgillo si impossessò
dell’arma che io cercai di strapparle: nel fare ciò partì un colpo. Nel vedere
- qualche attimo dopo – che il petto della donna si macchiava di sangue
io la lasciai e mentre la donna si allontanava sparò in aria tre colpi di
pistola”. “Di chi era la pistola?”,
chiese il giudice inquirente e il Monaco rispose: “La pistola era di mia proprietà,
io, però, non la portavo addosso, in quanto l’arma era rimasta nella
casa della Morgillo fin da quando con lei mi ero trasferito a Messina. “Ma
voi avevate una borsa di pelle in mano e dentro c’era la pistola?, ciò risulta
dalla vostra deposizione ai carabinieri”,
– precisò il magistrato. “E’ vero che
avevo una borsa – rispose il Monaco
- ma dentro c’era il necessario per la
barba e il mio berretto da ferroviere. I carabinieri mi fecero firmare la
dichiarazione senza peraltro darmene lettura. Quanto da voi letto in questo
momento mi risulta nuovo. Io non confermo neppure il mio interrogatorio reso al
Pretore i quanto io non andai direttamente da Messina a Dragoni, ma mi ero trattenuto
a Caserta con la donna. Dopo il ferimento il “vicinato” mi raccontò della
cattiva condotta che serbava la Morgillo. “Ma chi era l’uomo che vi bloccò
alle spalle?, fate un nome, ero lo
stesso che si intratteneva in casa con la Morgillo?”. Incalzò ancora il giudice. “La Morgillo – rispose il Monaco – chiamò col nome Nicola l’uomo che mi afferrò
per il braccio, dicendo: ”Nicò, prendi questa pistola da terra”. Poi l’interrogatorio continuò su
altri argomenti. “Io sono separato
consensualmente da mia moglie a mezzo del tribunale. La Morgillo abbandonò il
marito per venire con me a Messina”. Poi fu la volta della vittima, la
donna, di Marianna Morgillo la quale chiarì. “E’ vero che la mattina del 10
io ero stata con l’imputato, col quale avevo trascorso la notte a Caserta. Ma
con lui non avevo appuntamento per la partenza dato che dovevo raggiungerlo a
Massina per la fine di settembre. Preciso che egli volava che io ritornassi a
Messina ma io fui – dalla mattina del 10 settembre – quando me ne tornai a Dragoni,
per dissidi non volevo più stare con lui. La sera del 10 l’imputato venne a
casa mia a Dragoni; io non volevo aprire perché non ne volevo più sapere di
lui; ma poi finii alle sue insistenze, per aprire. L’imputato appena mi vide
cacciò la pistola – non so da dove e, appoggiatala sul mio petto ne fece
partire un colpo. Io cercai di togliergli l’arma di mano, e così si verificò
una seconda esplosione che mi bruciacchiò la mano sinistra. Riuscii ad
impossessarmi dell’arma che poi scaricai facendo esplodere altri tre colpi e
scappai. “Ma assieme a voi ci era un uomo?, incalzò il magistrato
inquirente. “Nego recisamente e nel modo
più assoluto che in casa mia vi fosse un uomo, in quanto l’unico uomo presente
al fatto fu Nicola Perrino, che è un mio lontano cugino. Negli ultimi
tempi io non andavo più d’accordo con il mio amante perché con il suo
comportamento mi aveva riempito di debiti. Poi il confronto tra i due.
Ognuno restando fermo sulle proprie deduzioni.
Le Morgillo guarì in 15 giorni senza postumi e
la Sezione Istruttoria rinviò al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere il Monaco per rispondere di tentato omicidio e porto abusivo di
pistola.
PER IL TENTATO OMICIDIO E PORTO ABUSIVO DI PISTOLA
LA CONDANNA FU AD ANNI 4 E MESI 8 DI RECLUSIONE (MESI 4 DI ARRESTO PER
L’OMESSA DENUNCIA DELL’ARMA)
Il focoso Pasquale Monaco, di anni 46 da Santa Maria Capua Vetere,
ferroviere, sposato – ma diviso legalmente dalla moglie - venne rinviato a
giudizio per rispondere del tentato omicidio della sua amante la prosperosa
25enne Marianna Morgillo da Dragoni.
La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere Renato Mastrocinque; pubblico
ministero, Nicola Damiani) dopo un
acceso dibattimento - nel corso del quale si alternarono gli avvocati difensori
e quelli di parte civile - Vittorio
Verzillo, Antonio Simoncelli e Ciro Maffuccini, ed un drammatico confronto tra i due amanti
(restati entrambi sulle proprie posizioni)
emise un verdetto per una
condanna ad anni 4 e mesi otto di
reclusione (nonché mesi 4 di arresto per l’omessa denuncia dell’arma). La
sentenza fu confermata anche in appello. La parte essenziale del dibattimento
fu il culmine dell’interrogatorio e il drammatico confronto.
Come spesso
succede in questi processi – dove i contrasti sorgono in continuazione per
l’odio ed il rancore che corre tra le parti – i due non confermarono
minimamente le loro precedenti dichiarazioni, sia quelle rese ai
carabinieri di Piedimonte d’Alife, che
quelle innanzi al V. Pretore Avv. Luigi
Grillo (padre dell’attuale presidente dell’Ordine degli Avvocati del Foro
sammaritano Avv. Carlo Grillo). La
donna si diede ad uno sfogo personale. ”Io quando intrapresi la relazione col
monaco non sapevo che fosse sposato. Io mi indussi a questa relazione perché
mio marito era all’ospedale . Poi ho saputo che il Monaco era sposato e la
moglie era malata. Tutta la colluttazione si svolse al buio, non completo
perché veniva la luce dalla strada. La mia casa, del resto, è composta da un
solo vano”. I giudice della Corte di Assise furono clementi nel condannare
mite pena il Monaco e motivarono la loro decisione. “Non possono tuttavia
negarsi all’imputato – scrissero nella loro sentenza – malgrado egli sia giunto
al delitto perché dimentico dei doveri di fedeltà e di assistenza anche
materiale verso la moglie gravemente inferma – le attenuanti generiche - in considerazione non solo della sia vita
antecedente al delitto – e degli ottimi suoi precedenti penali, ma anche del suo stato d’animo suscitato da
una passione che sebbene peccaminosa appare morbosamente irresistibile. Pena
adeguata al tentativo di omicidio – precisarono i giudici nella loro sentenza –
in considerazione che il fatto di sangue fu determinato anche dalla poca
moralità della persona offesa dimentica pur essa dei suoi doveri coniugali, può
essere quella di anni di reclusione – attesa anche la entità della malattia
derivata alla Morgillo. Tale pena può per le attenuanti concesse essere ridotta
di un terzo e fissata perciò in anni quattro e mesi otto di reclusione”.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
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