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domenica 18 dicembre 2016






IGINO PARENTE UCCISE PER VENDETTA CON VARI COLPI DI PISTOLA NELLA PUBBLICA PIAZZA  GIOVANNI RAIMONDO
LA MISSIVA ANONIMA CHE ACCUSA  L'ASSASSINO 

 Il movente era da ricercarsi in un precedente agguato ai danni del rag. Angelo Parente nella notte del 18 agosto del 1952 messo in atto dalla vittima che colpì l’anziano a colpi di bastone alla testa     



IL DELITTO ACCADDE A GRAZZANISE IL 29 MARZO DEL 1953

Grazzanise – Il 29 marzo i carabinieri di Capua segnalavano che alle ore 12,30  il giovane 23enne, Giovanni Raimondo era stato ricoverato in imminente pericolo di vita presso il locale nosocomio a seguito di una ferita d’arma da fuoco alla regione mammaria destra e alla regione lombare. Alle ore 18 dello stesso giorno il Pretore di Capua comunicava che il Raimondo era deceduto a seguito della ferita che aveva riportato ad opera di tal Igino Parente di anni 27 da Grazzanise. Il Giudice Istruttore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere emetteva  ordine di cattura in conseguenza dei fatti – nei confronti del Parente al quale veniva contestato l’omicidio e nei confronti di Michele Cirillo, 34enne di Grazzanise, accusato di concorso in omicidio per avere organizzato e diretto l’attività dell’assassino e veniva inoltre emesso altro ordine di cattura nei confronti di Teofilo Parente, di anni 30 del luogo, accusato di avere sotto la minaccia della propria pistola costretto i presenti a scostarsi onde essere in grado di montare su di una motocicletta per raggiungere Michele Cirillo e Igino Parente che dopo la consumazione del reato l’avevano preceduto nella fuga a bordo di un automezzo. Inoltre al Teofilo Parente venne anche contestato il reato di resistenza a pubblico ufficiale per avere –con minaccia di aprire il fuoco – con una pistola impugnata ostacolato il compimento del suo arresto da parte della guardia giurata Antonio Sciaudone che aveva tentato di bloccarlo. 


Concitata e confusa la prima fase della ricostruzione del delitto. Secondo quando emerse da un primo rapporto il carabiniere Mario Iucitto della locale Stazione aveva ascoltato l’esplosione di alcuni colpi di pistola esplosi poco lontani dalla caserma ed aveva informato subito il mar. Gennaro D’Oriano ed insieme erano accorsi verso il luogo degli spari incontrando la guardia di custodia Giovanni Mannillo. Costui, in preda a vivo stato di agitazione li aveva informati che Igino Parente aveva sparato contro suo nipote Giovanni Raimondo dileguandosi poi nella campagna  circostante. I carabinieri riuscivano anche a stabilire la causale del delitto ed infatti accertarono che nella notta dal 6 al 7 dicembre si era verificato un furto di bestiame in Sant Andrea del Pizzone in danno del giovane Agostino Nuzzolillo e che il Lorenzo De Simone –  che trattava il Nuzzolillo come un figlio – aveva formulato sospetti sul Teofilo Parente il quale, per questo fatto, era stato fermato per qualche giorno; e che la moglie del Parente, in quella circostanza aveva manifestato propositi di vendetta contro l’accusatore. Intanto i carabinieri di Sparanise accertarono successivamente attraverso le dichiarazioni di tale Ferdinando Palmese che alla grave impresa delittuosa aveva partecipato anche il Teofilo Parente che nell’occasione per favorire la fuga dei due giovani aveva minacciato con una pistola tutti gli aiutanti ed un certo Antonio Sciaudone, guardiano di un consorzio di bonifica – il quale aveva cercato di intervenire in favore del De Simone e facendolo quindi allontanare. I due però si affrettarono a negare di aver collaborato con i carabinieri per timore di rappresaglie da parte dei Parente. Furono, perciò, ritenuti reticenti. 


La circostanza fu poi chiarita in dibattimento dal mar. dei carabinieri Nicola Renzulli il quale smentì in pieno le ritrattazioni ed anzi aggiunse che lo Sciaudone fin dalla vicenda aveva dimostrato un comportamento omertoso. Si accertò, inoltre, che il Michele Cirillo partecipò alla detta aggressione al solo scopo di prestar man forte all’Igino Parente. Era inoltre  il caso – spiegarono  gli inquirenti – di considerare un altro episodio che si riferisce sempre al Michele Cirillo che fu riferito da Giovanna D’Angiolella e dalla figlia dottoressa Angelina Luciano. Secondo la predetta il Cirillo, alcun tempo prima del delitto, si sarebbe recato a casa loro in occasione del prossimo matrimonio di un fratello della Luciano essendo un antico compagno di scuola di un altro fratello di lei. In occasione di tale visita, già parlandosi in paese della vendetta ai danni del Raimondo , la D’Angiolella avrebbe rivolta al giovane l’esortazione di mettersi su una buona strada e di pensare al bene della famiglia allorchè il Cirillo – forse in tono di scherzo – avrebbe esclamato: “Adesso facciamo anche soldi perché è stata promessa una vacca e duecentomila lire”. Come era prevedibile, però, il Cirillo tentò di negare tale circostanza ma gli inquirenti accertarono che “L’assoluta fermezza e precisione con cui sono state ribadite dalle due donne le suddette circostanze di fatto, anche nel corso di un vivace confronto con il Cirillo, lascia indurre che in realtà l’episodio riferito sia esatto; anche perché – stente i buoni rapporti che legavano il giovane alle due testimoni appare inverisimile che una donna anziana abbia potuto inserire qualche malizioso artificio in una deposizione così importante contro un vecchio compagno di scuola di suo figlio”.  

 “Ma è il caso di considerare tuttavia – spiegarono ancora gli inquirenti nella loro decisione – che esaurendosi gli elementi probatori a carico del Cirillo in queste sole risultanze non è dato certamente argomentare con rigorosa motivazione che il Cirillo stesso collaborò in modo alcuno alla uccisione del Raimondo. E qui devesi notare che appare assolutamente inattendibile  l’assunto di Antonio Raimondo – fratello della vittima – il quale pretende di essere stato avvicinato, un giorno, dal Cirillo e da Igino Parente i quali avrebbero manifestato gravi propositi di vendetta scambiandolo per suo fratello Giovanni, ma poi accortisi dell’equivoco si sarebbero allontanati tranquillamente. Né può farsi serio affidamento alla parola del piccolo Gennaro Palazzo (di anni 12) secondo il quale il Cirillo sarebbe stato da lui visto condurre su di una bicicletta il Parente nel luogo del delitto. Dalla serie di episodi accertati non si può trarre altro che il Cirillo fu per un certo tempo orientato a collaborare con il Parente nel suo proposito  criminoso di sopprimere il Raimondo e essendo indubitabile che egli partecipò  all’agguato nei pressi della sua abitazione e che sicuramente avrebbe anticipato il delitto di cui ci stiano occupando se il giovane Raimondo non si fosse affrettato a dileguarsi. E se da una parte è legittimo il sospetto che egli abbia avuto una parte secondaria nella successiva uccisione del giovane – magari avvisando il suo amico della presenza in paese del di lui avversario ovvero predisponendo i mezzi per un subitaneo allontanamento dopo il delitto, non è men vero, d’altra parte, che la partecipazione criminosa del Cirillo si era sempre estrinsecata negli avvenimenti precedenti in una collaborazione piena e diretta estendendosi addirittura da lui la sua correità quasi a volerne trarre prestigio. E i particolari dell’omicidio, quale descritti dal Mannillo non solo non fanno supporre che il Parente fosse spalleggiato da chicchessia durante l’improvvisa aggressione ma testimoniano, altresì, che il Cirillo non dovè trovarsi presente all’avvenimento giacchè pur trovandosi il Parente ad affrontare insieme due individui che tentarono di reagire all’incombente pericolo, esplodendo l’uno e l’altro qualche colpo di pistola, contro il primo  senza che altri intervenissero a favore di costui. 

Devesi aggiungere peraltro che essendo interessati alla vendetta tutti i familiari di Angelo Parente ben potrebbe darsi l’ipotesi che appunto alcuno di essi abbia avvisato  il Parente dello arrivo inaspettato del Raimondo sollecitandolo ad agire contro di lui che il Cirillo fosse informato e riuscisse, comunque, a raggiungere il suo amico. Quanto al movente solo successivamente si venne a scoprire che si era trattato di una vendetta scaturita in seguito alla precedente aggressione subito dal Rag. Angelo Parente ad opera di Giovanni Raimondo il quale nell’agosto dell’anno primo del delitto aveva aggredito con un bastone il vecchio riducendolo a mal partito e provocandone addirittura per i colpi in testa un ricovero in manicomio. Nel corso della vasta e complessa istruttoria si racchiusero tre fascicoli riguardanti tre fatti che – secondo la pubblica accusa – avevano determinato le ragioni del delitto di cui ci occupiamo. Nella sua requisitoria, infatti, il Procuratore della Repubblica ebbe a prospettare, elevando imputazione di concorso nel delitto,  che addirittura Rosa Caianiello, cognata di angelo Parente,  avesse incaricato Igino Parente e Michele Cirillo di uccidere, per vendetta, il Giovanni Raimondo. 


E grazie alla bravura del suo difensore l’avv. Prof. Alberto Martucci che la donna non venne poi rinviata a giudizio per la grave accusa. E nel suo foglio di “lumi” a difesa della sua cliente,  il prof. Martucci (padre di Alfonso, altro grande avvocato scomparso) non tralasciò di tracciare uno “spaccato” singolare  della triste zona dei Mazzoni di Grazzanise e dintorni. “Quello che è certo in questo caso giudiziario – scrisse il prof. Martucci – è che la mattina del marzo 1952 s’incontrarono Igino Parente e Giovanni Raimondo: furono sparati molti colpi di pistola e quest’ultimo fu colpito a morte. Tale fatto trova la sua logica, umana spiegazione nell’età dei due protagonisti, nell’ambiante in cui si svolse, senza che ci sia bisogno di ricorrere ad ogni costo all’idea della premeditazione, peggio ancora di un mandato. Raimondo e Parente sono due giovani di Grazzanise pieni di baldanza e di orgoglio nelle cui vene scorre con tutto l’impeto della giovinezza il sangue delle predsenti irrequieti generazioni. Pare che nella vita desolata che si svolge in quelle immense pianure ogni più piccolo motivo di dispiacenza assurga a tormento incontenibile che spinge fatalmente al delitto”.

Fonte: Archivio di Stato di Caserta





IL PARENTE FU  CONDANNATO  A 24 ANNI DI RECLUSIONE MENTRE  MICHELE CIRILLO FU ASSOLTO.  IL VERDETTO FU CONFERMATO IN APPELLO E IN CASSAZIONE

A chiusura della istruttoria formale il Giudice Istruttore rinviò al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, Igino Parente, da Grazzanise, manovale, pregiudicato, responsabile di omicidio premeditato in danno di Giovanni Raimondo e Michele Cirillo, manovale, da Grazzanise, responsabile di concorso nel predetto delitto. Igino Parente  che uccise Giovanni Raimondo  fu condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente Giovanni Morfino; giudice a latere, Renato Mastrocinque; pubblico ministero, Nicola Damiani)  a 24 anni di reclusione. Mentre fu mandato assolto, per insufficienza di prove il Michele Cirillo accusato di concorso nel delitto.  Nel corso del dibattimento si diede notevole rilievo alla perizia neuropisichiatrica eseguito dal prof. Giulio Freda, Primario del Manicomio di Aversa, eseguita sul rag. Angelo Parente (nonno dell’assassino) colpito alla testa dall’Igino  Parente, un anno prima, nella notte del 18 agosto il quale fu costretto addirittura in seguito alle gravi ferite riportate ad essere internato nel manicomio di Aversa. L’aggressione aveva un antefatto. Angelo Parente aveva scambiato parole offensive con Teresa Mannillo,  in seguito all’episodio del piccolo Renato Raimondo, e Angelo Raimondo era stato ferito da Giovanni Raimondo. 

La teste Marianna Gaudiano riferì sul fatto che Giovanni Raimondo le avrebbe detto: “Nannina mia, vorrei andarmene un poco a casa ma non posso rischiare la vita con Igino Parente perché angelo Parente ha promesso ad Igino che se mi dà una lezione gli regala una mucca”. Ma Angelo Parente morì due mesi dopo il delitto quindi – secondo la tesi dei difensori degli imputati non vi era “nesso” tra la prima aggressione ed il delitto. Certo il gesto del Raimondo contro un professionista anziano e malato affermò in Grazzanise la sua personalità bieca e prepotente. A sera inoltrata, il 18 agosto del 1951, armato di bastone e pare anche di pistola, nei pressi dell’abitazione il giovane attese il ragioniere Angelo Parente, e con due fortissimi colpi di bastone gli spaccò il cranio, lasciandolo tramortito. La causale apparente del fatto pare sia stato un litigio tra la madre del Raimondo ed il Parente ed alcune parole da questi profferite all’indirizzo di quella. La Corte di Assise di Appello, con sentenza del 10 ottobre 1958 e la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 10 aprile 1961, confermarono il verdetto dei primi giudici.  Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Pasquale De Gennaro, Alfredo De Marsico, Vittorio e Michele Verzillo, Alberto e Alfonso Martucci, Filippo Ungaro, Rodolfo De Marsico e Alfonso Raffone.  






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