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sabato 25 marzo 2017







Il delitto accadde nella frazione Talanico di  San Felice a Cancello nel Vico Paciello  il 18 agosto del 1955


UCCISE IL FRATELLO ALLE SPALLE CON TRE COLPI DI PISTOLA PER
LA CONTESA DI UNA CUGINA CHE ENTRAMBI VOLEVANO SPOSARE


Alla base del fratricidio non solo la spartizione dell’eredità e la gestione dell’azienda agricola. L’assassino aveva chiesto per primo la mano della cugina. Il fratello maggiore  invece la stava sposando. 

 

Talanico di San Felice a Cancello -  La sera del 18 agosto del 1955 i carabinieri di Arienzo avuta notizia  che in Talanico, frazione di San Felice a Cancello, il giovane contadino Mario Gagliardi,  aveva ucciso il fratello Domenico con alcuni colpi di pistola, accorrevano in detta località e rinvenivano nell’abitazione terranea dei Gagliardi, sita nel vico Paciello, adagiato su un letto il cadavere del Domenico Gagliardi che presentava ferite di arma da fuoco al torace. Nel cortile che dà ingresso all’abitazione i verbalizzanti notavano delle chiazze di sangue e repertavano tre bossoli per pistola automatica Cal. 7,65 il tutto nei pressi della porta in legno della abitazione medesima, porta che presentava tre fori prodotti dal passaggio di pallottole dall’esterno e rinvenivano sul comò una pallottola.  Dall’interrogatorio di Vincenzo Gagliardi, che abitava in un vano attiguo a quello dei germani Mario e Domenico Gagliardi, suoi cugini, risultava che quella sera verso le 20,30 il Mario Gagliardi incontrato per strada il fratello Domenico, lo aveva chiamato un po’ in disparte e aveva avuto con lui un colloquio. Dai loro discorsi si arguiva che si dovevano recare nel centro di Talanico per chiedere un consiglio a tale Tommaso Ferrara. Più tardi verso le 22 i fratelli avevano raggiunto il Vincenzo Gagliardi in casa della sua fidanzata Antonietta De Rosa ed indi con il cugino avevano fatto ritorno a casa. Lunga la strada si era parlato del fidanzamento del teste e i due germani avevano tenuto un contegno del tutto normale. Giunti nel cortile comune Domenico e Mario si erano diretti – l’uno dinanzi all’altro – verso la loro abitazione. Vincenzo Gagliardi si era diretto verso la propria casa ma non appena entrato in essa aveva sentito degli spari e, ritornando nel cortile aveva trovato Domenico a terra e visto Mario che fuggiva. Mario Gagliardi si costituiva il giorno successivo ed ammetteva di aver ucciso il fratello. Precisava che quando rincasarono, Domenico, da lui invitato a seguirlo in montagna per sorvegliare i loro bovini che erano rimasti affidati alla madre, oppose un rifiuto e con atteggiamento minaccioso depose sul tavolo la pistola e poi si recò nel gabinetto sito nel cortile, attese che il fratello uscisse dal gabinetto e poi gli rinnovò l’invito a recarsi in montagna. Domenico reiterò il rifiuto ed anzi  alzò le mani come per picchiarlo per modo che egli temendo di essere sopraffatto sparò tre colpi di pistola e si dette alla fuga. Il fratricida raccontava, inoltre, che da qualche anno tra lui ed il fratello Domenico non correvano buoni rapporti quantunque egli cercasse essere remissivo onde evitare rappresaglie da parte del predetto che, benché più giovane, era più prestante di lui. In particolare i dissensi erano originati dal fatto che il Domenico preferiva lavorare presso terzi – incamerando per sé gli interi suoi guadagni – anzicchè collaborare con lui (che era il maggiore dei fratelli rimasti nella casa paterna e come tale aveva la responsabilità dell’amministrazione dei beni familiari) nella conduzione del fondo ereditato dal defunto genitore. Della divisione di detto fondo di era parlato proprio la sera del 18 agosto in un convegno in casa di Tommaso Ferrara che, peraltro, non era approdato ad una conclusione, essendosi fissato un nuovo appuntamento per la domenica successiva. Nel corso delle indagini il Ferrara confermava di aver ricevuto in casa sua la sera in cui avvenne l’omicidio  – verso le ore 21 – i due  fratelli Gagliardi  “al fine di evitare motivi di questioni” tra di essi e di addivenire alla divisione della loro eredità paterna, e che si era rimasti di accordo di rinviare la definizione della questione alla domenica e di incaricare della cosa un geometra ed eventualmente un notaio. Lo stesso Ferra, Michele Carissimo, Costantino Bernardo, Giuseppe Guadagnino, deponevano che i due fratelli non andavano d’accordo e qualche volta si erano perfino picchiati perché Domenico si disinteressava della coltivazione del fondo e dell’allevamento del bestiame della famiglia a cui doveva pertanto provvedere per lo più Mario. Veniva inoltre accertato che sei mesi prima del delitto i due fratelli erano stati denunciati in stato di arresto per lesioni reciproche Mario anche per detenzione e porto abusivo di pistola. Iniziatasi la formale istruzione contro il Gagliardi, si procedeva ad autopsia sul cadavere del Domenico da parte dei periti nominati dalla Procura nella persona dei medici sammaritani dott. ri  Emiddio Farina e Pasquale Tagliacozzi e accertavano  che lo stesso – attinto all’emitorace destro e all’ascellare sinistro da tre colpi di arma da fuoco a canna corta, esplosi da breve distanza in posizione frontale – era deceduto per imponente emorragia derivata dalla lesione dei grossi vasi dell’emotorace destro. L’imputato riferiva al magistrato inquirenti che i rapporti  con il fratello – già cattivi per i motivi innanzi esposti ai carabinieri – divennero più tesi allorchè Domenico si era fidanzato con una cugina, Maria Carmina Gagliardi,  che egli aveva per primo chiesto in sposa. Circa le modalità del delitto – modificando la prima versione dichiarò che egli temeva il fratello e quella sera pensando di trovarsi solo con lui e che non voleva seguirlo in montagna , “come un cieco”, estrasse la pistola e gli sparò alle spalle prima ancora che avesse avuto il tempo di girarsi. Successivamente modificò ancora una volta la versione del delitto ( che peraltro non aveva testimoni oculari) affermando che era stato costretto a sparare i colpi in quanto il fratello aveva tentato di disarmarlo dopo che lui aveva impugnato l’arma del delitto.  Maria Carmina Gagliardi, fidanzata della vittima, negava di aver ricevuto proposta di matrimonio anche dall’imputato, in contrasto con uno dei fratelli, Giovanni Gagliardi  il quale confermava tale proposta. Dalle deposizioni del Giovanni e dalla sorelle risultava, però, che in sostanza – causa dell’attrito esistente tra l’imputato e la vittima – era l’abitudine di quest’ultima di rifiutarsi di cooperare nella sorveglianza degli animali in montagna. Veniva allegata agli atti del processo la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 14 gennaio del 1956 nel giudizio per lesioni in seguito alla quale il Mario Gagliardi era stato condannato – per lesioni e per detenzione di armi. Infine con sentenza del 29 maggio del 1957 il Giudice Istruttore ordinava il rinvio dell’imputato al giudizio della Corte di Assise per rispondere di omicidio volontario in persona del fratello.    

Fonte: Archivio di Stato di Caserta






La pubblica accusa chiese 28 anni di reclusione. La condanna fu a 23 ridotti a 19 in sede di appello. 

In apertura di dibattimento la difesa chiedeva che il  Mario Gagliardi fosse sottoposto a perizia psichiatrica in quanto lo stesso da certificato del medico dottor Ludovico Marone risultava essere stato affetto alla età di anni 10 da accessi febbrili e disturbi nervosi da cui guarì residuando nevrastenia ed inoltre alcuni suoi familiari sarebbero stati riconosciuti infermi di mente. La  Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere  (Presidente, Eduardo Cilento; giudice a latere, Guido Tavassi; pubblico ministero, Gennaro Calabrese), non ravvisando gli estremi richiesti dalla legge per disporre la richiesta perizia rigettava l’istanza. L’imputato al quale veniva contestata la recidiva infraquinquennale modificava ancora una volta la propria versione sostenendo che – dopo che erano entrati in casa-  Domenico,  dapprima gli disse che non avrebbe dovuto parlare della divisione del terreno e poi si rifiutò di seguirlo sui monti ed afferratogli il petto lo percosse con pugni e schiaffi a qual punto egli espresse la pistola e sparò. A chiusura dell’istruttoria dibattimentale il pubblico ministero dichiarava affermarsi la responsabilità dell’imputato chiedendo una condanna ad anni 28 di reclusione. Gli avvocati difensori chiesero l’assoluzione dell’imputato per aver agito in stato di legittima difesa o ritenersi l’ipotesi dell’eccesso colposo, e in subordine concedersi le attenuanti generiche, dei motivi di particolare valore morale e sociale e della provocazione. La  sentenza emessa il 30 ottobre  del 1957, condannava il 27enne Mario Gagliardi ad anni 23 di reclusione. In appello la pena veniva ridotta per il reato di fratricidio  per aver ucciso il fratello Domenico ad anni 19. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Alfonso Raffone e  Carlo Cipullo.  

Fonte: Archivio di Stato di Caserta 
 









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