GIROLAMO MIRRA PER VENDICARSI DI PERCOSSE E SCHIAFFI ASSASSINO’ NEL SUO
NEGOZIO CON 4 COLPI DI PISTOLA IL
GIOVANE NIPOTE
VINCENZO FIERRO
San
Tammaro – Verso le ore 17,45 del 1uglio del 1955 Vincenzo Fierro di anni 25
veniva ricoverato nella clinica “Villa Fiorita” di Capua in grave stato per
ferite multiple di arma da fuoco. Interrogato dai carabinieri, poco dopo il
ricovero, il Fierro dichiarava che verso le 17,30 nella sua abitazione in San
Tammaro era stato fatto segno a colpi di pistola da parte di Girolamo Mirra da
Santa Maria La Fossa il quale era penetrato improvvisamente nel suo negozio ed
indi all’interno della casa. Precisava inoltre che circa un mese prima in Santa
Maria La Fossa in casa di sua zia Cristina Fierro egli era venuto con il Mirra
a via di fatto perché lo stesso aveva tentato di possedere con la forza altra
sua zia Angelina Fierro. Benchè sottoposto ad operazione laparatomica il ferito
decedeva nella serata dello stesso giorno il 17 luglio. I carabinieri
ispezionavano il negozio del Fierro rilevando che lo stesso è ubicato nella via
principale di San Tammaro comunicante attraverso una porta con il cortile
dell’adiacente fabbricato. Quasi di fronte all’ingresso, sormontato all’esterno
da una grossa insegna “merceria”, era sito il banco di vendita. Non apparivano tracce di colluttazione ma
nelle immediate vicinanze dell’ingresso venivano rinvenuti 4 bossoli di
cartucce per pistola Beretta cal. 7,65 e venivano notate macchie di sangue sul
pavimento e su una sedia in paglia nonchè due fori prodotti da proiettili in
una scansia dietro il banco. Nel corso delle indagini venivano
interrogati, intorno alle modalità del
delitto: Roberto Barca, Guido Lebioli, Guido Grassi e Antonio Buonpane.
AVV. CARLO CIPULLO |
Il primo dichiarava che si trovava nel
negozio per acquistare una lametta per barba quando un uomo anziano dalla
soglia, senza dir nulla, aveva sparato alcuni colpi di pistola ed il Fierro era
stato colpito al petto nel momento in cui si accingeva a prendere la lametta
dallo scaffale sito dietro il banco e non aveva avuto il tempo di profferire
parola. Anche il Lebialo, trovandosi presso la bottega, riferiva di aver visto un individuo portarsi
all’ingresso del locale, estrarre una pistola dalla tasca dei pantaloni e di
sparare contro il Fierro e infine raggiungere sempre con la pistola in pugno
una motocicletta - che aveva lasciata a circa duecento metri dal negozio della vittima - e darsi alla fuga. Il Grassi ed il Buonpane
poi affermavano - l’uno di aver tentato
di fermare lo sparatore – che aveva un cappello in testa mentre si allontanava
a passo normale dal luogo del delitto – ma di aver dovuto desistere dall’azione
perché dallo stesso minacciato con la pistola, e l’altro che lo sparatore era
giunto a San Tammaro circa un quarto d’ora prima dell’omicidio su una
motocicletta, che aveva fermata presso il suo negozio sito alla periferia del
paese, e subito dopo essere disceso dal mezzo gli aveva chiesto il prezzo delle
pesche che egli teneva in vendita, presso peraltro indicato su appositi
cartellini, egli aveva anche detto che lo conosceva per avere lavorato con lui
nel 1942 nel “Laboratorio Pirotecnico” di Capua. Il Mirra -
costituitosi ai carabinieri tre giorni dopo il delitto – dichiarava di
essersi recato a San Tammaro in motocicletta, armato di pistola, nel
pomeriggio della domenica 17 luglio allo
scopo di parlare con tale Antonio Gravina, il quale avrebbe dovuto innaffiargli
con motopompa un suo terreno. Mentre si recava dal Gravina incontrò il Fierro
che, sbucato da un vicolo, si dirigeva nel suo negozio. Il predetto gli
disse: “Fetente, a Santa Maria La Fossa mi hai bastonato, ma qui devi fare il
morto” e ritiratosi nel locale prese posto dietro il banco. Allora esso
Mirra si portò sulla soglia e, visto che il Fierro faceva la mossa di estrarre
un’arma dalla tasca dei pantaloni mise fuori la propria pistola ed esplose
quattro colpi in direzione dell’avversario. Raccontava inoltre che dal gennaio
del 1950 aveva contratto relazione intima con una zia di Vincenzo Fierro, Angelina
Fierro, che anche sua cognata in quanto vedova di
un fratello della moglie di esso Mirra, Assunta Maria Perillo. Egli aveva
frequentato anche di notte la donna - che lo aveva all’uopo munito della chiave
di casa – fornendole perfino dei vestiti.
Negli ultimi tempi poi la Fierro lo
aveva istigato ad avvelenare sua moglie
e poiché egli si era rifiutato di seguire tale suggerimento la predetta si era
vendicata accusandola di molestie e di tentativi illeciti nei suoi confronti
propalando la notizie che lui pretendeva rapporti “contro natura”. Il 7 giugno
del 1955, il Vincenzo Fierro, presentatosi nella sua abitazione insieme a tale
Gabriele Bovenzi, gli chiese notizie sui suoi rapporti con la zia, e, avendo
egli risposto di non saper nulla lo pregò di seguirlo in casa di altra sua zia,
Cristina Fierro. Ivi convennero anche la Angelina Fierro, Filomena Papa, madre
di Vincenzo Fierro, nonché Gabriele Bovenzi e Vincenzo Scialla. E poiché egli
ripetette al cospetto degli stessi quanto già detto a Vincenzo Fierro fu da
questi percosso. La Angelina Fierro, da parte sua, negava di avere avuto
rapporti intimi con il Mirra asserendo di aveva sempre resistito alle pretese
illecite di lui. Essa narrava che il Mirra – contro il suo volere – con il
pretesto di sorvegliarla aveva preso l’abitudine di portarsi nella sua casa
anche a tarda sera, servendosi di chiave falsa, e talora l’aveva perfino
minacciata con una pistola. Una volta – oltre un anno addietro – era penetrato
nell’interno attraverso una finestra; altra volta nel luglio del 1954, essa era
stata costretta a riparare in casa di Cristina Fierro ed a pernottare ivi con le figlie. Il Mirra era stato infine
a casa sua l’ultima volta il 21 maggio del 1955 e si trattenne circa mezz’ora e
volle sapere dove fosse stata qual giorno. La Angelina Fierro raccontava che ai
primi del giugno del 1955 il Mirra diffidò la zia Teresa – alle cui dipendenze
lavorava una sua figliuola – affinchè non accogliesse più nel suo fondo la
ragazza e il 6 giugno vi fu per tale
fatto in casa della Cristina Fierro un’animata discussione nel corso della
quale essa Angelina Fierro e la figlia Vincenzina furono percosse dal predetto
con schiaffi e pugni. Vani era riusciti i tentativi fatti tramite il parroco di
Santa Maria La Fossa per indurre il cognato a recedere dalle sue pretese di
moto che essa si decise il 7 giugno di sporgere unitamente alla figlia, Vincenzina
Perillo, querela ed a chiamare la cognata Filomena Papa, residente in San
Tammaro per informarla della situazione. La Papa si recò in Santa Maria La Fossa nello stesso giorno 7
giugno insieme al figlio Vincenzo Fierro e fu tenuta subito una riunione in
casa della Cristina Fierro – alla quale presenziò anche il Mirra. Costui negò
le accuse che la Angelina Fierro gli rivolse e all’improvviso portò una mano
dietro ai pantaloni. Il Vincenzo Fierro lo immobilizzò e nella colluttazione
seguitane gli dette un pugno. I due furono divisi da Vincenzo Scialla e da Gabriele
Bovenzi, e il Mirra si allontanò dicendo
al Fierro: “Debbo farti vedere Girolamo
Mirra chi è”.
Il Bovenzi inoltre affermava essere a sua conoscenza che tra
il Mirra e la Angelina Fierro vi era una relazione, la quale veniva peraltro
confermata anche dalla deposizione della moglie del Mirra. Iniziatosi la formale
istruzione a carico del Mirra venivano allegati al procedimento per omicidio
gli atti relativi al procedimento per lesioni, violazione di domicilio e
minacce iniziatosi a carico dello stesso presso la Pretura di Capua a seguito
della querela sporta da Angelina Fierro e dalla Vincenzina Perillo. L’autopsia
sul cadavere accertava che il Fierro era
stato raggiunto da tre colpi di arma da fuoco portatile a canna corta esplosi a
distanza in direzione frontale. Il 31 dicembre del 1956 la Sezione Istruttoria
emetteva sentenza di rinvio a giudizio – innanzi la Corte di Assise di Santa
Maria Capua Vetere del Girolamo Mirra per omicidio premeditato e aggravato per
motivi futili e abietti in persona di Vincenzo Fierro.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
IL P.M. CHIESE L’ERGASTOLO.
LA CONDANNA FU DI 24 ANNI. IN APPELLO COL RICONOSCIMENTO DELLA PROVOCAZIONE
SCESE A 20 ANNI
Comparso – manette ai polsi –
innanzi la Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (composta
dal Presidente Eduardo Cilento, con giudice a latere Guido Tavassi; pubblico
ministero, Gennaro Calabrese; giudici popolari: Giuseppe Caparretti, Gennaro
Della Valle, Vincenzo Porfidia, Antonio Ciaramella, Vittorio Picillo e Alberto
Tartaglione), Girolamo Mirra, accusato di omicidio premeditato aggravato, con sentenza del 11 novembre del 1957 venne
condannato (partendo dalla pena dell’ergastolo così come chiesto dalla pubblica
accusa - con la concessione delle
generiche) a 24 anni di reclusione. In apertura di dibattimento i genitori, la
vedova, e i fratelli della vittima Vincenzo Fierro, e cioè Giuseppe Fierro, Filomena
Papa, Carmela Scala, Carmela, Raffaele e Angelina Fierro, si costituivano parte
civile. Alla condanna venne proposto appello ed in sede di discussione dello
stesso con la concessione di una ulteriore scriminante ( gli fu riconosciuta la
provocazione) la pena venne ridotta ad anni 20. Gli avvocati difensori
insistettero sul fatto che la sentenza impugnata faceva “consistere
l’aggravante della premeditazione nel particolare grado di perversità del reo
che, fermo nel suo malvagio divisamento – e insensibile al tempo che trascorse
ed ai motivi altruistici – che si affacciavano alla sua coscienza, condusse a
termine il suo ormai radicato proposito di vendetta”.
AVV. MICHELE VERZILLO |
“Questo pezzo –
chiarirono i difensori dell’imputato – che si incentra tutto nel concetto e
relativo giudizio di “particolare perversità del reo” è in
flagrante contrasto con quanto riconosce la sentenza medesima. E cioè, che il Girolamo Mirra (giunto all’età 54 anni
con un certificato penale illibato) fosse stato gravemente umiliato ed offeso
dal giovane nipote Vincenzo Fierro. Il
quale, recandosi giustiziere ed arbitro dal paese di San Tammaro a quello di
Santa Maria La Fossa, convocò una specie di consiglio di famiglia innanzi al
quale Ma detto comportamento – ad un dato momento del del colloquio – trascende
in atti di violenza contro il Mirra che viene percosso ed esce sanguinante
dalla casa della Cristina Fierro. E tale comportamento concreta indubbiamente quel
fatto ingiusto che è a base della chiesta attenuante”. Infatti in sede di
appello venne riconosciuta la svriminante della provocazione e la pena ridotta
ad anni 20. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Gaetano
Grimaldi, Alfonso Martucci, Michele Verzillo, Ciro Maffuccini, Carlo Cipullo, Alfonso
Raffone, Pompeo Rendina e Alfredo De Marsico.
Fonte: Archivio di Stato di
Caserta
Nessun commento:
Posta un commento