UN UOMO NUOVO
DOPO 27 ANNI DI CARCERE
AUGUSTO LA TORRE NELLA SUA CELLA NEL 2013 |
A
breve il libro di Augusto La Torre, “Il Camorfista” edito da Eracle Napoli,
sarà in libreria. Pensieri, giudizi, supposizioni, recriminazioni ed ipotesi
incroceranno nel firmamento delle parole in libertà
Le
prime 5 delle 18 domande con risposte
dal carcere di Ivrea
INTERVISTA
AD
AUGUSTO LA TORRE
di Francesca
Nardi
E’ trascorso un anno dal giorno in cui ho
chiesto agli organi
competenti, l’autorizzazione ad entrare nel carcere di
Ivrea per
intervistare il dottor Augusto La Torre…Ho atteso
pazientemente, in
maniera consapevole e disposta ad attendere
tutto il tempo necessario, una
risposta che, mi auguravo
positiva. Nel corso del tempo dell’attesa, ho
ufficialmente
dichiarato a chi di competenza, di rinunciare alle telecamere e
all’operatore…ritenendo che dovessero rappresentare un
ostacolo ed ho atteso
ancora, fiduciosa. Nonostante il permesso
di incontrare Augusto La Torre fosse
stato accordato ad altri, a
me è stato negato, mai direttamente…ma de facto.
Continuando
ad attendere, ho inviato al dottor Augusto la Torre le domande
che
gli avrei posto se lo avessi incontrato e grazie all’avvocato
Filippo
Barbagiovanni, ho ricevuto le risposte.
A
breve il libro di Augusto La Torre, “Il Camorfista” edito da Eracle Napoli,
sarà in libreria. Pensieri, giudizi, supposizioni, recriminazioni ed ipotesi
incroceranno nel firmamento delle parole in libertà… in attesa di leggere il
resto del mondo… pubblichiamo le prime cinque delle diciotto domande inviate
con relative risposte, dichiarando che non abbiamo ritenuto di apportare alcuna
modifica.
La
prima domanda è questa…quando è stata la prima volta che
lei ha “creduto” di
aver perso l’illusione di essere eterno?,
quante volte è successo prima che lei
comprendesse che non
era un concetto così semplice?
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il suo primo arresto |
Esimia
dottoressa Nardi, lei sa meglio di me che rispondere ad una simile domanda non
è affatto semplice. Ma avendo imparato a intuire dove, con le sue domande,
vuole andare a parare, presumo che Ella non intenda ottenere una risposta
complessa e filosofica, cioè non vuole che io affronti un tema così articolato
partendo da Platone e Aristotele. Poiché dovrei parlare del concetto metafisico
del tempo e quindi dilungarmi in discorsi che esulano dal suo scopo. Scopo che
posso dedurre essere quello di informare i suoi lettori su chi è stato e chi è
diventato oggi Augusto La Torre! Né voglio tediarla con il concetto dell’eterno
ritorno del mio amato Nietzsche che nella Gaia Scienza ebbe a scrivere: “Questa
vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e
ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni
dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola
e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa
sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i
rami e così pure questo ottimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza
viene sempre dì nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”.
Si
chiede allora il profeta: questi sentieri che si contraddicano in eterno ci
impediranno mai di capire cos’è questa eternità del tempo?
Il
nano risponde e risolve a suo modo l’enigma: «Tutte le cose dritte mentono,
borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è circolo»
Esimia
dottoressa Nardi, rispondendo in maniera diretta e cruda, le dico che ricordo
perfettamente la prima volta in cui mi resi conto di non essere eterno. Ma
voglio aggiungere anche un altro aspetto strettamente connesso al primo.
Contemporaneamente alla presa di coscienza dj non essere eterno, mi resi conto
di non essere immortale. Per quanto concerne i miti, sono gli uomini a
innalzare altri uomini a miti, a idoli e questo accade anche se la persona
idealizzata o mitizzata non Io voglia o sia perfino contraria! No, le assicuro
che eterno e immortale, non sono concetti identici.
-
Era il
2 agosto del 1987, quando nacque il mio primo figlio Tiberio. Vedere quel
piccolo corpicino vivo, sentire l’odore della sua pelle, la sua purezza, le sue
manine e soprattutto che aveva bisogno di cure per crescere sano e forte, mi
sconvolse. Due e soltanto due, furono le domande che attraversarono la mia
mente: «Perché lasciarlo orfano? Come farebbe senza di me?. Andai in crisi. Da un lato ero conscio che
non potevo ritirarmi dal camorfismo dopo aver commesso omicidi ed essere stato
affiliato col giuramento di cosa nostra. Mi avrebbero ucciso. Dall’altro lato
sentivo forse il desiderio di fare il padre. Di dare a mio figlio tutto quello
che non avevo ricevuto io, dai miei genitori. Ed ecco che per la prima volta mi
resi conto che potevano uccidermi e quindi non ero né eterno né immortale. Sì,
comprendo che lei stia pensando che simili riflessioni appartengano ad un
folle, forse è così, chi può escluderlo? Ma le assicuro che ciò che mi accadde
a livello interiore fu esattamente questo e Mai prima di allora avevo messo in
conto che qualcuno potesse uccidermi, che potessi morire. Mi sentivo troppo
sicuro, forte, capace, invincibile e immortale (come i semidei della mitologia
greca) e nonostante non avessi mai sottovalutato i miei nemici, non li temevo e
sapevo che potevo avere la meglio su di loro sempre e come volevo. Dal 1987 in
poi, ho sempre accettato la mia “vita terrena”, quella che ormai da tempo
definisco “la mia passeggiata sulla Terra, con i piedi ben piantati sul suolo”,
e quindi la mia mortalità, il mio trapasso verso un comune destino. Ma le
assicuro che non ho mai avuto paura della morte. L’ho sfidata, l’ho, a volte,
desiderata, ma so che fa parte della vita e perciò per me, rientra tra le cose
comuni. Ancora una volta voglio citare Pirandello: «La vita stessa è un fatto.
Noi possiamo benissimo non ritrovarci in quello che facciamo; ma quello che
facciamo, cara dottoressa Nardi, è, resta fatto: fatto che ti circoscrive, ti
dà comunque una forma e t’imprigiona in essa. Vuoi ribellarti? Non puoi. Prima
di tutto, non siamo liberi di fare quello che non vorremmo: il tempo, il
costume degli altri, la fortuna, le condizioni dell’esistenza, tant’altre
ragioni fuori e dentro di noi, ci costringono spesso a fare quello che non
vorremmo. Dunque tu sei prigionìero di quello che hai fatto, della forma che
quel tatto ti ha dato. Doveri, responsabilità, una sequela di conseguenze,
spira tentacoli che t’avviluppano e non ti lasciano più respirare. Non far più
niente o il meno possibile, come me, per restar liberi il più possibile? Eh sì!
La vita stessa è un fatto. Quando tuo padre ti ha messo al mondo, cara
dottoressa, il fatto è fatto. Non te ne liberi più finché non finisci di
morire.
Paradossalmente
la privazione “forzata” della libertà può diventare un osservatorio
privilegiato, un grigio plumbeo virtuale che esclude le emozioni o le ingloba
gelosamente e confusamente le conserva…quante e quali di esse hanno resistito
all’usura della delusione, del rimpianto, della vergogna ed hanno condizionato o limitato nel tempo la
presa di coscienza di sè, della sua vita, degli altri, del suo passato e quindi
le sue decisioni?
-
La
privazione forzata della libertà è semplicemente un aspetto della vita, della
propria vita, null’altro. Esistono milioni di esseri umani prigionieri pur
vivendo liberi. Schiavi di potenti e di dittatori che impongono alcune forme di
tirannia che opprimono ogni forma di libertà e di civiltà (teocrazia,
spoliazione legale, ecc…), e non solo nei paesi islamici o del terzo mondo.
Dove vi è un’estrema povertà e le credenze religiose e culturali sono arcaiche.
Quindi, se dovessi paragonare la mia privazione della libertà ai milioni di
esseri umani che «innocenti, cioè senza aver mai commesso un solo reato»,
vivono prigionieri, posso affermare che io vivo completamente libero! Spesso a
parlare della privazione della libertà sono persone che in tutta la loro vita
non sono rimaste chiuse nemmeno per 5 minuti nell’ascensore a seguito di un
black-out. Eppure sono proprio queste che, spesso e non so a quale titolo,
pretendono di spiegare agli altri quali siano le emozioni e i sentimenti che
provano i prigionieri. Mi creda, trovo di un’arroganza, di una superficialità
inaccettabile e anche di disonestà intellettuale, le operazioni narrative e
psicologiche che alcuni romanzieri e giornalisti mediocri cercano di vendere ai
lettori come fossero reali. Per essere più esaustivo le farò un piccolo
esempio: «E come se io mi arrogassi il diritto di descrivere, vendendole per
genuine, cioè loro, le emozioni e i sentimenti di un Giudice o un Pubblico
Ministero durante un processo!”. Ci rifletta. Potrei mai riuscire a descrivere
il loro reale sentire? Come potrei spiegare, anche usando la mia più fertile
fantasia, il loro emozionarsi se le mie emozioni fondano su valori diversi?
Come potrei pretendere di descrivere qualcosa se ignoro il toro intimo
pensiero, le loro ideologie, il loro grado di empatia con l’Altro, la loro
visione del reato e le cause del perché si compiono reati, della giustizia e
dei criminali tout court?
-
No,
ogni uomo, se abile narratore, può descrivere, in maniere quasi reale, solo il
proprio intimo vissuto. Le dirò di più. Nemmeno io che conosco benissimo la
vita detentiva e la rigidità di alcuni regimi speciali (vedasi 41 bis) potrei
raccontare con precisione le emozioni e i sentimenti di altri miei compagni di
sventura. Ognuno di noi, come diceva Proust, ha una differente sensibilità
perciò non dobbiamo mai meravigliarci se vediamo un uomo piagnucolare come una
bambina per essersi graffiato un dito. Perché non possiamo escludere, e non
posiamo sapere, che quell’uomo abbia una ipersensibilità cutanea e quel
piccolissimo graffio sulla sua cute equivalga ad un taglio profondissimo sulla
nostra pelle. Concordo con lei che la vita in cattività possa diventare un
osservatorio molto privilegiato del proprio mondo interiore. Le emozioni, se
lasciate “libere”, possono portare alla pazzia, alla misantropia e ad altri
disturbi della psiche, e perfino al suicidio. La conditio sine qua non per la
propria sopravvivenza in cattività sta nel riuscire a domarle, ma non nei
reprimerle, perché ogni forma di repressione è deleteria, e in carcere lo è
ancora di più. Si deve riuscire a imparare a sublimarle attraverso attività che
impegnano mentalmente, che aiutano a convivere con l’onnipresente sofferenza,
rendendola innocua e a tratti necessaria.
-
Tutta
la gamma delle mie emozioni, da quelle primarie e perciò universali, a quelle
apprese, sono rimaste intatte, cioè sono tuttora presenti, certo sono state da
me analizzate, affinate e per quel che mi è riuscito migliorate* in senso
positivo, cercando di eliminare o rendere meno forti quelle negative che fino
ad un certo punto della mia vita avevano guidato le mie azioni, i miei amori,
le mie relazioni e ogni mio atto, anche i più cruenti. Posso garantirle che
oggi le emozioni «buone» guidano le mie azioni e i miei pensieri e quelle
«cattive», pur essendo state regolate e “normalizzate”, sono presenti ma vivono
in un angolo isolato e riesco a tenerle costantemente a bada. Sono consapevole
del mio potenziale pericoloso, ma ho deciso scientemente di affidarmi alla
parola e alla penna per combattere i miei nemici e mettere in pratica le mie
idee, lascio volentieri ogni forma di violenza ai miei detrattori e ai miei
nemici. Chiunque vorrà sfidarmi dovrà farlo in un contraddittorio dialettico e
civile, cioè affrontando le tematiche che intendo portare avanti, non
attaccandomi per il mio passato. Per farle vedere che in questi 27 anni di
cattività ho letto qualche libro voglio atteggiarmi a colto, quindi le scrivo
che spero di non dover dissertare con persone/avversari/detrattori che
intendano utilizzare l’argumentum ad hominem (“argomento contro l’uomo lt ),
una strategia defla retorica con la quale ci si allontana dall’argomento della
polemica contestando un’affermazione dell’interlocutore. Per la precisione mi
riferisco alfa strategia chiamata ad hominem tu quoque, la quale sottolinea che
la persona non è congruente in quanto non fa quello che dice.
-
Tu
dici che dovrei smettere di drogarmi, ma so bene che hai avuto problemi di
tossicodipendenza anche tu!”. Ci sarà qualcuno disposto a dissertare con me sui
contenuti?
Qual è
il significato del verbo collaborare, cosa esclude e cosa include rispetto alle
parti coinvolte?
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Nel carcere nel 2014 |
-
Collaborare?
Qual è il suo significato? Con questa domanda lei ha toccato un tasto dolente,
molto dolente. Mi creda quando le dico che ho collaborato con una sincera e
profonda convinzione. Ero davvero convinto che la cosa più giusta da fare fosse
mettere fine alla vita dissoluta e fuorilegge. Da qualche anno avevo iniziato a
studiare e i concetti quali legalità, giustizia, diritti e doveri del cittadino
previsti dalla nostra Costituzione mi affascinavano. Iniziavo a sentirmi sporco
dentro per come avevo vissuto e per come stavo vivendo, ma soprattutto per come
avrei dovuto far vivere i miei due adorati figli. Avevo iniziato a mettere in
discussione, seriamente, perfino alcuni insegnamenti e sub-valori inculcatimi
dai miei adorati genitori. Non voglio dilungarmi. Le dirò soltanto che ho
empiricamente accertato, che quei concetti prima citati, non esistono e che
legalità, garanzie e giustizia sono solo astrazioni che in possesso di uomini
potenti e prepotenti che usano su altri meno forti o ugualmente forti ma che a
causa di contingenze storiche, politiche e sociali sono in svantaggio rispetti
ai primi, a seconda che siano delinquenti/criminali e quindi rientrino nelle
politiche di repressione e controllo dello Stato: carne da macellare per
coprire qualche magagna e/o dimostrare che lo Stato è forte; nemici politici, e
perciò vanno perseguitati attraverso la legge in mano ai PPMM politicizzati
(che è bene dire esistono anche se sono pochi ma sono molto potenti, e usano la
vile arma del ricatto anche con i foro colleghi, e parlo perché conosco episodi
di ricatto!!) e con l’ausilio della stampa di partito; nemici in generale, e
perciò obiettivi da attaccare, delegittimare e possibilmente annientare con
ogni mezzo possibile: diffamazione, minacce, ricatti, arresti, avvisi di garanzia
e metodo Boffo!!!
-
Oggi,
e lo dico con onestà intellettuale, non credo più nella collaborazione. Anzi,
non credo più nella legge vigente la L, 45/01, che è una truffa sia per i
collaboratori sia per tutte le parti in cause, giudici, avvocati, imputati, indagati,
parti civili, vittime e cittadini. Unici a beneficiare di questa legge
truffaldina sono i PPMM: scorte, notorietà, interviste e promozioni sono
diventate alta portata anche di quei PPMM che non sanno fare nemmeno la O con
il bicchiere!
-
Non
tanto per quello che esclude e/o toglie alle parti coinvolte. Ma perché trovo
più criminale l’uso che alcuni PPMM fanno dei collaboratori mediante la
violazione sistematica della legge 45/01, che di quanti criminali abbiano
deciso di collaborare e abbiano, a seguito di tale scelta, ottenuto la libertà
o i benefici premiali previsti da tale normativa premiale.
-
Brecht
diceva che è più criminale chi fonda una Banca che chi la rapina. Ecco, io
sostengo la medesima cosa. È più criminale chi usa i collaboratori sapendo che
possono incontrarsi in violazione del divieto previsto, pena inutilizzabilità
delle loro accuse, dalla normativa vigente, che i criminali, anche quelli che
sono irriducibili.
-
Per
quanto concerne le parti coinvolte ci vorrebbe una lunghissima dissertazione.
Ma sono sicuro che lei riuscirà a comprendere il mio punto di vista crudo e
diretto, senza fraintendimenti di tipo moralistico.
-
Chi
sceglie di vivere nel camorfismo sa che può uccidere (deve uccidere!), essere
ucciso, tradire o essere tradito, E non è il solo a saperlo. Lo sanno bene
tutti quei familiari che condividono le azioni del proprio congiunto e lo
aiutano perché ne ricavano benefici di tipo economico o di altro tipo, ma anche
coloro che per un mero legame di sangue sanno che possono, loro malgrado,
essere coinvolti negli affari del proprio congiunto. Come lo sanno coloro che
rivestendo ruoti istituzionali o che esercitano attività professionali legali-
imprenditori, notai, avvocati, banchieri, impiegati statali e comunali,
giornalisti, ecc… decidono di rapportarsi con i camorfisti e di fare affari con
loro. Per questo motivo ritengo che chiunque decida di collaborare non può e
non debba preoccuparsi delle conseguenze che la sua collaborazione possa
comportare. Tutti gli altri potranno fare la stessa scelta. Se, invece,
decideranno di restare omertosj (non onorati, questo concetto tanto caro a
uomini ignoranti, come ad esempio lo era Carmine Schiavone, che confondono
l’omertà con l’onore) dovranno accettare in silenzio e dignitosamente quanto
stabilito da un Tribunale che li abbia condannanti utilizzando le accuse dei
collaboratori che prima erano loro “amici”. E qui devo fare una precisazione
doverosa. Quando critico la L. 45/01 e attacco la sistematica violazione agli
artt. 14 e 15 quater, non intendo assolutamente sostenere che tutti i
collaboratori abbiano dichiarato il falso o peggio siano stati imboccati. No,
questo non è vero e sarei disonesto a sostenerlo, Dico solo che molti
collaboratori, pur avendo dichiarato moltissime verità* hanno aggiunto odo
omesso qualcosa perché si sono, toro malgrado, trovati a dover condividere i
180 giorni assieme ad altri neo collaboratori e alcuni avvocati, che lavorano
esclusivamente e direttamente con i PPMM della DDA, hanno favorito qualche loro
“consiglio”!!! Per sgombrare il campo da eventuali e ovvie perplessità dico che
io i 180 giorni li ho trascorsi da solo, completamente isolato. Altri
collaboratori che prima di me sono stati nel medesimo penitenziario per i 180
giorni, hanno chiesto ed ottenuto un lavorante (detenuto comune, di solito
extracomunitario) perché non volevano fare gli scopini. Era una vergogna per
loro, e questo dovrebbe far capire la mentalità di alcuni collaboratori che
sono stati definiti ravveduti dopo 24 ore di collaborazione!! [o,
contrariamente a loro, ho fatto lo scopino e l’imbianchino e anche se volevano
mettermi un detenuto comune (sarebbe meglio dire: un cameriere) ho rifiutato!
-
Ritornando
al discorso di prima. Gli accusati potranno detestare, odiare, minacciare e
perfino uccidere i loro accusatori, ma quafunque sia la loro decisione e le
loro azioni, non potranno mai negare che si sia trattato di una personalissima
scelta di vita che andava preventivata, E come ogni scelta ci sono dei lati
positivi e dei fati negativi. Se si ritiene che i positivi valgano più di
quelli negativi, alfora ben vengano. Diversamente si dovrà saper accettare ogni
conseguenza e dimostrarsi uomini coerenti fino alla fine. E per coerenti
intendo dire che non si devono inventare false collaborazioni, false
dissociazioni o peggio collaborazioni mascherate da ammissioni parziali per
ottenere sconti di pena. Tutti questi escamotage messi in atto da coloro che si
vantano di essere rimasti fedeli ai sub valori del camorfismo, i cosiddetti
irriducibili, non sono altro che marchette fatte con pudore, come una donna che
ama scopare e per non essere giudicata non si concede la prima sera! Perdoni
l’esempio, ma so che tei è open mind e non si scandalizza.
Quante
volte si è interrogato sul significato del termine “Giustizia” prima di
decidere di collaborare, quante volte dopo?
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UN'OPERA DI AUGUSTO LA TORRE |
-
Mille
e più volte mi sono interrogato sul significato del termine giustizia. Ho
creduto e credo ancora nella giustizia degli uomini giusti, onesti e perbene.
Essendo ateo non credo in quella divina. Credo perché so che esistono uomini
giusti, giudici onesti, PPMM altrettanto onesti, politici e cittadini
specchiati. Non ho mai generalizzato, non mi appartiene. La generalizzazione,
come fa categorizzazione, è profondamente sbagliata. Purtroppo, i disonesti, i
vigliacchi che hanno paura di sfidare i potenti, e i conformisti (ma anche
tantissimi mediocri e privi di personalità che come le pecore seguono i falsi maestri)
ad oggi hanno avuto il sopravvento, ma ciò non esclude, e non deve escludere,
che in un futuro prossimo ci possa essere una rivolta, un sovvertimento dei
ruoli e dei valori e quindi un ritorno alla vera giustizia, alla vera legalità.
Per spiegarle meglio il mio attuale pensiero, che, nonostante il mio passato,
tengo a precisare che vale alla stregua di quello di coloro che si sentono
eletti detentori delta verità e onesti ontologicamente, voglio citarle un brano
di Concetto Marchesi1* «Dietro i sicari, la classe dirigente». «Studenti
dell’università di Padova! Una generazione di uomini ha distrutto la vostra
giovinezza e la vostra Patrio; vi ha gettato tra cumuli di rovine; voi dovete
tra quelle rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione, e
ricomporre la giovinezza e la Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza,
dalla ignavia, dalla servilità criminosa, voi, insieme con la gioventù operaia
e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo
italiano. Non frugate nella memoria e nei nascondigli del passato i soli
responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine
che quei delitti ha voluto o ha coperto con il silenzio o la codarda
rassegnazione, c’è tutta la classe dirigente italiana, mi allontano da voi con
la speranza di ritornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una
lotta insieme combattuta. Per lo fede che vi illumina, per lo sdegno che vi
accende, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate
risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dall’ignominia, aggiungete al
labaro della vostra università la gloria di una nuova più grande decorazione in
questa battaglia suprema per la giustizia e la pace nel mondo».
ALTRA OPERA DELL'ARTISTA |
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Cara
dottoressa Nardi, la prego di sostituire alcuni termini, quali ad esempio
Patria con SUD Italia, università con la nostra Regione ma anche le altre tre
note per il camorfismo e battaglioni con giovani, operai e disoccupati traditi
dalla classe dirigente locale e nazionale, e vedrà che il discorso di Marchesi
è attuale e calza a pennello con le condizioni del SUD e della giustizia tout
court e con il mio pensiero più intimo. Le carceri sono affollate di innocenti,
persone che spesso sono incarcerate non perché colpevoli di aver infranto la
legge, ma unicamente per coprire scandali e permettere ai criminali legittimati
di propagandare il ripristino della legalità. Fingendo di non sapere che in
certi uffici lavorano uomini indegni e che molti giornali sono diretti da
ciarlatani etero diretti. Fingendo di non essere a conoscenza che intere
Regioni sono state trasformate in feudi comandati da corrotti e che a colpi di
violenze, di leggi emergenziali e di arresti arbitrari i cittadini sono stati
costretti a diventare servi. Dove vi sono, ahimè, servi sulle cattedre
universitarie, sui seggi dei tribunali, sugli scranni del Parlamento, dentro le
Banche, nelle aule scolastiche; servi dovunque vi sia una parola da dire, un
gesto da compiere, un’accusa da tacere, una condanna da comminare. Ormai legge,
giustizia, umanità, moralità sono state mortificate, Gli uomini vengono
trattati come bestie. Non importa nulla della colpevolezza o della innocenza,
conta soltanto l’annientamento di tutti coloro che non sono addomesticabili,
non sono disposti a vendersi, che voglio essere liberi di pensare e di
dissentire da coloro che pretendono di dominarli.
Mentre
elaborava la sua decisione, una decisione importante, quella di diventare
collaboratore di giustizia, aveva la possibilità di informarsi su quanto
accadeva nel mondo esterno?, nel suo territorio?, alla sua famiglia?, aveva la
possibilità di leggere ciò che i media scrivevano di lei?
Plurilaureato, scrittore, filosofo, criminologo e artista... è l'uomo nuovo? |
-
Certo
che avevo la possibilità di informarmi su quanto stava accadendo a Mondragone,
nel mondo esterno e alla mia famiglia; ed avevo la possibilità di leggere
quello che i media scrivevano di me, anche perché spesso alcuni articoli
ritenuti interessanti ai fini investigativi mi venivano consegnati dal
magistrato e dalla Polizia giudiziaria che partecipava agli interrogatori. E
posso assicurarle che tutti i neo collaboratori (o quanto meno quelli detenuti
nelle sezioni che ho visitato personalmente) possono leggere i quotidiani,
alcuni istituti penitenziari li distribuiscono in omaggio, e hanno la
possibilità di sapere quello che sta accadendo fuori e alle loro famiglie,
anche solo effettuando i colloqui con gli avvocati e i propri congiunti.
Quello, che purtroppo, i neo collaboratori non potranno mai sapere, è che
stanno affidando la loro vita e fa loro esistenza ad alcuni PPMM che hanno tre
soli obiettivi: vincere processi, condannare quanti più imputati possibile e
fare carriera. Senza minimamente interessarsi se si tratta di innocenti o di
veri colpevoli. Senza minimamente avere a cuore le sorti del collaboratore, che
avrà un ruolo fondamentale nel raggiungimento dei tre obiettivi, dei suoi figli
e della sua famiglia. I PPMM sono consapevoli che stanno preparando il terreno
per la distruzione di un intero nucleo familiare, e spesso di più nuclei, visto
che anche altri familiari seguono il collaboratore, ma fingono di non sapere
che ormai sono più i collaboratori che vivono ai margini e sono stati costretti
a far ritorno ai paesi di origine e alla vita precedente, crimine incluso, che
quelli che si sono reinseriti. Se qualche mio detrattore volesse smentirmi sono
prontissimo a dimostrare quanto appena sostenuto! Certo, per onestà
intellettuale, devo dire che esistono alcuni, rari, PPMM di grande sensibilità
che hanno sempre seguito le sorti dei collaboratori che hanno gestito, ma si
contano sulle dita di due mani, Nel mio caso, ho incontrato PPMM che dopo
avermi utilizzato in centinaia di processi, invece di aiutarmi, secondo
giustizia, hanno fatto di tutto per distruggermi perché non sopportano le mie
accuse, le mie critiche e i miei attacchi diretti e senza alcuna soggezione per
il loro prestigio e ruolo (per alcuni PPMM ottenuti previo commissioni di
crimini non meno gravi di quelli che ho commesso io, visto che si può uccidere
anche con condanne ingiuste e costruite a tavolino!) e quanto raccontato nella
mia tesi in criminologia critica, dove affronto proprio la questione della
collaborazione e il suo fallimento. Se altri collaboratori non fossero
vigliacchi e non si fossero ormai rassegnati le assicuro che molti PPMM
dovrebbero vergognarsi per come hanno creato le prove e perciò ottenuto le
condanne di moltissimi poveri cristi; per poveri cristi non intendo solo i
camorfisti di strada, quelli come me per intenderci, ma anche i nemici.
* * * *
1*) Concetto Marchesi, latinista, filosofo, critico,
professore d’università e uomo politico siciliano, nonché scrittore e polemista
di straordinaria efficacia. Comunista, per l’inaugurazione dell’anno accademico
1943-1944 a Padova, in presenza delle autorità tedesche di occupazione, tenne
un famoso discorso politico.
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