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martedì 29 maggio 2018



UN UOMO NUOVO 
DOPO 27 ANNI DI CARCERE 



AUGUSTO LA TORRE  NELLA SUA CELLA NEL 2013 


A breve il libro di Augusto La Torre, “Il Camorfista” edito da Eracle Napoli, sarà in libreria. Pensieri, giudizi, supposizioni, recriminazioni ed ipotesi incroceranno nel firmamento delle parole in libertà

Le prime 5 delle 18 domande con risposte 
dal carcere di Ivrea

INTERVISTA
AD AUGUSTO LA TORRE


 di Francesca Nardi

 E’ trascorso un anno dal giorno in cui ho chiesto agli organi 

competenti, l’autorizzazione ad entrare nel carcere di Ivrea per 

intervistare il dottor Augusto La Torre…Ho atteso 

pazientemente, in maniera consapevole e disposta ad attendere 

tutto il tempo necessario, una risposta che, mi auguravo 

positiva. Nel corso del tempo dell’attesa, ho ufficialmente 

dichiarato a chi di competenza, di rinunciare alle telecamere e 

all’operatore…ritenendo che dovessero rappresentare un 

ostacolo ed ho atteso ancora, fiduciosa. Nonostante il permesso 

di incontrare Augusto La Torre fosse stato accordato ad altri, a 

me è stato negato, mai direttamente…ma de facto. Continuando 

ad attendere, ho inviato al dottor Augusto la Torre le domande 

che gli avrei posto se lo avessi incontrato e grazie all’avvocato 

Filippo Barbagiovanni, ho ricevuto le risposte.

 A breve il libro di Augusto La Torre, “Il Camorfista” edito da Eracle Napoli, sarà in libreria. Pensieri, giudizi, supposizioni, recriminazioni ed ipotesi incroceranno nel firmamento delle parole in libertà… in attesa di leggere il resto del mondo… pubblichiamo le prime cinque delle diciotto domande inviate con relative risposte, dichiarando che non abbiamo ritenuto di apportare alcuna modifica.



La prima domanda è questa…quando è stata la prima volta che 

lei ha “creduto” di aver perso l’illusione di essere eterno?, 

quante volte è successo prima che lei comprendesse che non 

era  un concetto così semplice?

il suo primo arresto 


Esimia dottoressa Nardi, lei sa meglio di me che rispondere ad una simile domanda non è affatto semplice. Ma avendo imparato a intuire dove, con le sue domande, vuole andare a parare, presumo che Ella non intenda ottenere una risposta complessa e filosofica, cioè non vuole che io affronti un tema così articolato partendo da Platone e Aristotele. Poiché dovrei parlare del concetto metafisico del tempo e quindi dilungarmi in discorsi che esulano dal suo scopo. Scopo che posso dedurre essere quello di informare i suoi lettori su chi è stato e chi è diventato oggi Augusto La Torre! Né voglio tediarla con il concetto dell’eterno ritorno del mio amato Nietzsche che nella Gaia Scienza ebbe a scrivere: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo ottimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre dì nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”.

Si chiede allora il profeta: questi sentieri che si contraddicano in eterno ci impediranno mai di capire cos’è questa eternità del tempo?

Il nano risponde e risolve a suo modo l’enigma: «Tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è circolo»

Esimia dottoressa Nardi, rispondendo in maniera diretta e cruda, le dico che ricordo perfettamente la prima volta in cui mi resi conto di non essere eterno. Ma voglio aggiungere anche un altro aspetto strettamente connesso al primo. Contemporaneamente alla presa di coscienza dj non essere eterno, mi resi conto di non essere immortale. Per quanto concerne i miti, sono gli uomini a innalzare altri uomini a miti, a idoli e questo accade anche se la persona idealizzata o mitizzata non Io voglia o sia perfino contraria! No, le assicuro che eterno e immortale, non sono concetti identici.

-         Era il 2 agosto del 1987, quando nacque il mio primo figlio Tiberio. Vedere quel piccolo corpicino vivo, sentire l’odore della sua pelle, la sua purezza, le sue manine e soprattutto che aveva bisogno di cure per crescere sano e forte, mi sconvolse. Due e soltanto due, furono le domande che attraversarono la mia mente: «Perché lasciarlo orfano? Come farebbe senza di me?.  Andai in crisi. Da un lato ero conscio che non potevo ritirarmi dal camorfismo dopo aver commesso omicidi ed essere stato affiliato col giuramento di cosa nostra. Mi avrebbero ucciso. Dall’altro lato sentivo forse il desiderio di fare il padre. Di dare a mio figlio tutto quello che non avevo ricevuto io, dai miei genitori. Ed ecco che per la prima volta mi resi conto che potevano uccidermi e quindi non ero né eterno né immortale. Sì, comprendo che lei stia pensando che simili riflessioni appartengano ad un folle, forse è così, chi può escluderlo? Ma le assicuro che ciò che mi accadde a livello interiore fu esattamente questo e Mai prima di allora avevo messo in conto che qualcuno potesse uccidermi, che potessi morire. Mi sentivo troppo sicuro, forte, capace, invincibile e immortale (come i semidei della mitologia greca) e nonostante non avessi mai sottovalutato i miei nemici, non li temevo e sapevo che potevo avere la meglio su di loro sempre e come volevo. Dal 1987 in poi, ho sempre accettato la mia “vita terrena”, quella che ormai da tempo definisco “la mia passeggiata sulla Terra, con i piedi ben piantati sul suolo”, e quindi la mia mortalità, il mio trapasso verso un comune destino. Ma le assicuro che non ho mai avuto paura della morte. L’ho sfidata, l’ho, a volte, desiderata, ma so che fa parte della vita e perciò per me, rientra tra le cose comuni. Ancora una volta voglio citare Pirandello: «La vita stessa è un fatto. Noi possiamo benissimo non ritrovarci in quello che facciamo; ma quello che facciamo, cara dottoressa Nardi, è, resta fatto: fatto che ti circoscrive, ti dà comunque una forma e t’imprigiona in essa. Vuoi ribellarti? Non puoi. Prima di tutto, non siamo liberi di fare quello che non vorremmo: il tempo, il costume degli altri, la fortuna, le condizioni dell’esistenza, tant’altre ragioni fuori e dentro di noi, ci costringono spesso a fare quello che non vorremmo. Dunque tu sei prigionìero di quello che hai fatto, della forma che quel tatto ti ha dato. Doveri, responsabilità, una sequela di conseguenze, spira tentacoli che t’avviluppano e non ti lasciano più respirare. Non far più niente o il meno possibile, come me, per restar liberi il più possibile? Eh sì! La vita stessa è un fatto. Quando tuo padre ti ha messo al mondo, cara dottoressa, il fatto è fatto. Non te ne liberi più finché non finisci di morire.

Paradossalmente la privazione “forzata” della libertà può diventare un osservatorio privilegiato, un grigio plumbeo virtuale che esclude le emozioni o le ingloba gelosamente e confusamente le conserva…quante e quali di esse hanno resistito all’usura della delusione, del rimpianto, della vergogna ed  hanno condizionato o limitato nel tempo la presa di coscienza di sè, della sua vita, degli altri, del suo passato e quindi le sue decisioni?
 
NEL CARCERE DI IVREA 


-         La privazione forzata della libertà è semplicemente un aspetto della vita, della propria vita, null’altro. Esistono milioni di esseri umani prigionieri pur vivendo liberi. Schiavi di potenti e di dittatori che impongono alcune forme di tirannia che opprimono ogni forma di libertà e di civiltà (teocrazia, spoliazione legale, ecc…), e non solo nei paesi islamici o del terzo mondo. Dove vi è un’estrema povertà e le credenze religiose e culturali sono arcaiche. Quindi, se dovessi paragonare la mia privazione della libertà ai milioni di esseri umani che «innocenti, cioè senza aver mai commesso un solo reato», vivono prigionieri, posso affermare che io vivo completamente libero! Spesso a parlare della privazione della libertà sono persone che in tutta la loro vita non sono rimaste chiuse nemmeno per 5 minuti nell’ascensore a seguito di un black-out. Eppure sono proprio queste che, spesso e non so a quale titolo, pretendono di spiegare agli altri quali siano le emozioni e i sentimenti che provano i prigionieri. Mi creda, trovo di un’arroganza, di una superficialità inaccettabile e anche di disonestà intellettuale, le operazioni narrative e psicologiche che alcuni romanzieri e giornalisti mediocri cercano di vendere ai lettori come fossero reali. Per essere più esaustivo le farò un piccolo esempio: «E come se io mi arrogassi il diritto di descrivere, vendendole per genuine, cioè loro, le emozioni e i sentimenti di un Giudice o un Pubblico Ministero durante un processo!”. Ci rifletta. Potrei mai riuscire a descrivere il loro reale sentire? Come potrei spiegare, anche usando la mia più fertile fantasia, il loro emozionarsi se le mie emozioni fondano su valori diversi? Come potrei pretendere di descrivere qualcosa se ignoro il toro intimo pensiero, le loro ideologie, il loro grado di empatia con l’Altro, la loro visione del reato e le cause del perché si compiono reati, della giustizia e dei criminali tout court?

-         No, ogni uomo, se abile narratore, può descrivere, in maniere quasi reale, solo il proprio intimo vissuto. Le dirò di più. Nemmeno io che conosco benissimo la vita detentiva e la rigidità di alcuni regimi speciali (vedasi 41 bis) potrei raccontare con precisione le emozioni e i sentimenti di altri miei compagni di sventura. Ognuno di noi, come diceva Proust, ha una differente sensibilità perciò non dobbiamo mai meravigliarci se vediamo un uomo piagnucolare come una bambina per essersi graffiato un dito. Perché non possiamo escludere, e non posiamo sapere, che quell’uomo abbia una ipersensibilità cutanea e quel piccolissimo graffio sulla sua cute equivalga ad un taglio profondissimo sulla nostra pelle. Concordo con lei che la vita in cattività possa diventare un osservatorio molto privilegiato del proprio mondo interiore. Le emozioni, se lasciate “libere”, possono portare alla pazzia, alla misantropia e ad altri disturbi della psiche, e perfino al suicidio. La conditio sine qua non per la propria sopravvivenza in cattività sta nel riuscire a domarle, ma non nei reprimerle, perché ogni forma di repressione è deleteria, e in carcere lo è ancora di più. Si deve riuscire a imparare a sublimarle attraverso attività che impegnano mentalmente, che aiutano a convivere con l’onnipresente sofferenza, rendendola innocua e a tratti necessaria.
-         Tutta la gamma delle mie emozioni, da quelle primarie e perciò universali, a quelle apprese, sono rimaste intatte, cioè sono tuttora presenti, certo sono state da me analizzate, affinate e per quel che mi è riuscito migliorate* in senso positivo, cercando di eliminare o rendere meno forti quelle negative che fino ad un certo punto della mia vita avevano guidato le mie azioni, i miei amori, le mie relazioni e ogni mio atto, anche i più cruenti. Posso garantirle che oggi le emozioni «buone» guidano le mie azioni e i miei pensieri e quelle «cattive», pur essendo state regolate e “normalizzate”, sono presenti ma vivono in un angolo isolato e riesco a tenerle costantemente a bada. Sono consapevole del mio potenziale pericoloso, ma ho deciso scientemente di affidarmi alla parola e alla penna per combattere i miei nemici e mettere in pratica le mie idee, lascio volentieri ogni forma di violenza ai miei detrattori e ai miei nemici. Chiunque vorrà sfidarmi dovrà farlo in un contraddittorio dialettico e civile, cioè affrontando le tematiche che intendo portare avanti, non attaccandomi per il mio passato. Per farle vedere che in questi 27 anni di cattività ho letto qualche libro voglio atteggiarmi a colto, quindi le scrivo che spero di non dover dissertare con persone/avversari/detrattori che intendano utilizzare l’argumentum ad hominem (“argomento contro l’uomo lt ), una strategia defla retorica con la quale ci si allontana dall’argomento della polemica contestando un’affermazione dell’interlocutore. Per la precisione mi riferisco alfa strategia chiamata ad hominem tu quoque, la quale sottolinea che la persona non è congruente in quanto non fa quello che dice.

-         Tu dici che dovrei smettere di drogarmi, ma so bene che hai avuto problemi di tossicodipendenza anche tu!”. Ci sarà qualcuno disposto a dissertare con me sui contenuti?

Qual è il significato del verbo collaborare, cosa esclude e cosa include rispetto alle parti coinvolte?

Nel carcere nel 2014 


-         Collaborare? Qual è il suo significato? Con questa domanda lei ha toccato un tasto dolente, molto dolente. Mi creda quando le dico che ho collaborato con una sincera e profonda convinzione. Ero davvero convinto che la cosa più giusta da fare fosse mettere fine alla vita dissoluta e fuorilegge. Da qualche anno avevo iniziato a studiare e i concetti quali legalità, giustizia, diritti e doveri del cittadino previsti dalla nostra Costituzione mi affascinavano. Iniziavo a sentirmi sporco dentro per come avevo vissuto e per come stavo vivendo, ma soprattutto per come avrei dovuto far vivere i miei due adorati figli. Avevo iniziato a mettere in discussione, seriamente, perfino alcuni insegnamenti e sub-valori inculcatimi dai miei adorati genitori. Non voglio dilungarmi. Le dirò soltanto che ho empiricamente accertato, che quei concetti prima citati, non esistono e che legalità, garanzie e giustizia sono solo astrazioni che in possesso di uomini potenti e prepotenti che usano su altri meno forti o ugualmente forti ma che a causa di contingenze storiche, politiche e sociali sono in svantaggio rispetti ai primi, a seconda che siano delinquenti/criminali e quindi rientrino nelle politiche di repressione e controllo dello Stato: carne da macellare per coprire qualche magagna e/o dimostrare che lo Stato è forte; nemici politici, e perciò vanno perseguitati attraverso la legge in mano ai PPMM politicizzati (che è bene dire esistono anche se sono pochi ma sono molto potenti, e usano la vile arma del ricatto anche con i foro colleghi, e parlo perché conosco episodi di ricatto!!) e con l’ausilio della stampa di partito; nemici in generale, e perciò obiettivi da attaccare, delegittimare e possibilmente annientare con ogni mezzo possibile: diffamazione, minacce, ricatti, arresti, avvisi di garanzia e metodo Boffo!!!

-         Oggi, e lo dico con onestà intellettuale, non credo più nella collaborazione. Anzi, non credo più nella legge vigente la L, 45/01, che è una truffa sia per i collaboratori sia per tutte le parti in cause, giudici, avvocati, imputati, indagati, parti civili, vittime e cittadini. Unici a beneficiare di questa legge truffaldina sono i PPMM: scorte, notorietà, interviste e promozioni sono diventate alta portata anche di quei PPMM che non sanno fare nemmeno la O con il bicchiere!

-         Non tanto per quello che esclude e/o toglie alle parti coinvolte. Ma perché trovo più criminale l’uso che alcuni PPMM fanno dei collaboratori mediante la violazione sistematica della legge 45/01, che di quanti criminali abbiano deciso di collaborare e abbiano, a seguito di tale scelta, ottenuto la libertà o i benefici premiali previsti da tale normativa premiale.

-         Brecht diceva che è più criminale chi fonda una Banca che chi la rapina. Ecco, io sostengo la medesima cosa. È più criminale chi usa i collaboratori sapendo che possono incontrarsi in violazione del divieto previsto, pena inutilizzabilità delle loro accuse, dalla normativa vigente, che i criminali, anche quelli che sono irriducibili.

-         Per quanto concerne le parti coinvolte ci vorrebbe una lunghissima dissertazione. Ma sono sicuro che lei riuscirà a comprendere il mio punto di vista crudo e diretto, senza fraintendimenti di tipo moralistico.

-         Chi sceglie di vivere nel camorfismo sa che può uccidere (deve uccidere!), essere ucciso, tradire o essere tradito, E non è il solo a saperlo. Lo sanno bene tutti quei familiari che condividono le azioni del proprio congiunto e lo aiutano perché ne ricavano benefici di tipo economico o di altro tipo, ma anche coloro che per un mero legame di sangue sanno che possono, loro malgrado, essere coinvolti negli affari del proprio congiunto. Come lo sanno coloro che rivestendo ruoti istituzionali o che esercitano attività professionali legali- imprenditori, notai, avvocati, banchieri, impiegati statali e comunali, giornalisti, ecc… decidono di rapportarsi con i camorfisti e di fare affari con loro. Per questo motivo ritengo che chiunque decida di collaborare non può e non debba preoccuparsi delle conseguenze che la sua collaborazione possa comportare. Tutti gli altri potranno fare la stessa scelta. Se, invece, decideranno di restare omertosj (non onorati, questo concetto tanto caro a uomini ignoranti, come ad esempio lo era Carmine Schiavone, che confondono l’omertà con l’onore) dovranno accettare in silenzio e dignitosamente quanto stabilito da un Tribunale che li abbia condannanti utilizzando le accuse dei collaboratori che prima erano loro “amici”. E qui devo fare una precisazione doverosa. Quando critico la L. 45/01 e attacco la sistematica violazione agli artt. 14 e 15 quater, non intendo assolutamente sostenere che tutti i collaboratori abbiano dichiarato il falso o peggio siano stati imboccati. No, questo non è vero e sarei disonesto a sostenerlo, Dico solo che molti collaboratori, pur avendo dichiarato moltissime verità* hanno aggiunto odo omesso qualcosa perché si sono, toro malgrado, trovati a dover condividere i 180 giorni assieme ad altri neo collaboratori e alcuni avvocati, che lavorano esclusivamente e direttamente con i PPMM della DDA, hanno favorito qualche loro “consiglio”!!! Per sgombrare il campo da eventuali e ovvie perplessità dico che io i 180 giorni li ho trascorsi da solo, completamente isolato. Altri collaboratori che prima di me sono stati nel medesimo penitenziario per i 180 giorni, hanno chiesto ed ottenuto un lavorante (detenuto comune, di solito extracomunitario) perché non volevano fare gli scopini. Era una vergogna per loro, e questo dovrebbe far capire la mentalità di alcuni collaboratori che sono stati definiti ravveduti dopo 24 ore di collaborazione!! [o, contrariamente a loro, ho fatto lo scopino e l’imbianchino e anche se volevano mettermi un detenuto comune (sarebbe meglio dire: un cameriere) ho rifiutato!

-         Ritornando al discorso di prima. Gli accusati potranno detestare, odiare, minacciare e perfino uccidere i loro accusatori, ma quafunque sia la loro decisione e le loro azioni, non potranno mai negare che si sia trattato di una personalissima scelta di vita che andava preventivata, E come ogni scelta ci sono dei lati positivi e dei fati negativi. Se si ritiene che i positivi valgano più di quelli negativi, alfora ben vengano. Diversamente si dovrà saper accettare ogni conseguenza e dimostrarsi uomini coerenti fino alla fine. E per coerenti intendo dire che non si devono inventare false collaborazioni, false dissociazioni o peggio collaborazioni mascherate da ammissioni parziali per ottenere sconti di pena. Tutti questi escamotage messi in atto da coloro che si vantano di essere rimasti fedeli ai sub valori del camorfismo, i cosiddetti irriducibili, non sono altro che marchette fatte con pudore, come una donna che ama scopare e per non essere giudicata non si concede la prima sera! Perdoni l’esempio, ma so che tei è open mind e non si scandalizza.

Quante volte si è interrogato sul significato del termine “Giustizia” prima di decidere di collaborare, quante volte dopo?
UN'OPERA DI AUGUSTO LA TORRE 


-         Mille e più volte mi sono interrogato sul significato del termine giustizia. Ho creduto e credo ancora nella giustizia degli uomini giusti, onesti e perbene. Essendo ateo non credo in quella divina. Credo perché so che esistono uomini giusti, giudici onesti, PPMM altrettanto onesti, politici e cittadini specchiati. Non ho mai generalizzato, non mi appartiene. La generalizzazione, come fa categorizzazione, è profondamente sbagliata. Purtroppo, i disonesti, i vigliacchi che hanno paura di sfidare i potenti, e i conformisti (ma anche tantissimi mediocri e privi di personalità che come le pecore seguono i falsi maestri) ad oggi hanno avuto il sopravvento, ma ciò non esclude, e non deve escludere, che in un futuro prossimo ci possa essere una rivolta, un sovvertimento dei ruoli e dei valori e quindi un ritorno alla vera giustizia, alla vera legalità. Per spiegarle meglio il mio attuale pensiero, che, nonostante il mio passato, tengo a precisare che vale alla stregua di quello di coloro che si sentono eletti detentori delta verità e onesti ontologicamente, voglio citarle un brano di Concetto Marchesi1* «Dietro i sicari, la classe dirigente». «Studenti dell’università di Padova! Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patrio; vi ha gettato tra cumuli di rovine; voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione, e ricomporre la giovinezza e la Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dalla ignavia, dalla servilità criminosa, voi, insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nella memoria e nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto o ha coperto con il silenzio o la codarda rassegnazione, c’è tutta la classe dirigente italiana, mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta insieme combattuta. Per lo fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dall’ignominia, aggiungete al labaro della vostra università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e la pace nel mondo».
ALTRA OPERA DELL'ARTISTA 


-         Cara dottoressa Nardi, la prego di sostituire alcuni termini, quali ad esempio Patria con SUD Italia, università con la nostra Regione ma anche le altre tre note per il camorfismo e battaglioni con giovani, operai e disoccupati traditi dalla classe dirigente locale e nazionale, e vedrà che il discorso di Marchesi è attuale e calza a pennello con le condizioni del SUD e della giustizia tout court e con il mio pensiero più intimo. Le carceri sono affollate di innocenti, persone che spesso sono incarcerate non perché colpevoli di aver infranto la legge, ma unicamente per coprire scandali e permettere ai criminali legittimati di propagandare il ripristino della legalità. Fingendo di non sapere che in certi uffici lavorano uomini indegni e che molti giornali sono diretti da ciarlatani etero diretti. Fingendo di non essere a conoscenza che intere Regioni sono state trasformate in feudi comandati da corrotti e che a colpi di violenze, di leggi emergenziali e di arresti arbitrari i cittadini sono stati costretti a diventare servi. Dove vi sono, ahimè, servi sulle cattedre universitarie, sui seggi dei tribunali, sugli scranni del Parlamento, dentro le Banche, nelle aule scolastiche; servi dovunque vi sia una parola da dire, un gesto da compiere, un’accusa da tacere, una condanna da comminare. Ormai legge, giustizia, umanità, moralità sono state mortificate, Gli uomini vengono trattati come bestie. Non importa nulla della colpevolezza o della innocenza, conta soltanto l’annientamento di tutti coloro che non sono addomesticabili, non sono disposti a vendersi, che voglio essere liberi di pensare e di dissentire da coloro che pretendono di dominarli.

Mentre elaborava la sua decisione, una decisione importante, quella di diventare collaboratore di giustizia, aveva la possibilità di informarsi su quanto accadeva nel mondo esterno?, nel suo territorio?, alla sua famiglia?, aveva la possibilità di leggere ciò che i media scrivevano di lei?
Plurilaureato, scrittore, filosofo, criminologo e artista...
è l'uomo nuovo? 


-         Certo che avevo la possibilità di informarmi su quanto stava accadendo a Mondragone, nel mondo esterno e alla mia famiglia; ed avevo la possibilità di leggere quello che i media scrivevano di me, anche perché spesso alcuni articoli ritenuti interessanti ai fini investigativi mi venivano consegnati dal magistrato e dalla Polizia giudiziaria che partecipava agli interrogatori. E posso assicurarle che tutti i neo collaboratori (o quanto meno quelli detenuti nelle sezioni che ho visitato personalmente) possono leggere i quotidiani, alcuni istituti penitenziari li distribuiscono in omaggio, e hanno la possibilità di sapere quello che sta accadendo fuori e alle loro famiglie, anche solo effettuando i colloqui con gli avvocati e i propri congiunti. Quello, che purtroppo, i neo collaboratori non potranno mai sapere, è che stanno affidando la loro vita e fa loro esistenza ad alcuni PPMM che hanno tre soli obiettivi: vincere processi, condannare quanti più imputati possibile e fare carriera. Senza minimamente interessarsi se si tratta di innocenti o di veri colpevoli. Senza minimamente avere a cuore le sorti del collaboratore, che avrà un ruolo fondamentale nel raggiungimento dei tre obiettivi, dei suoi figli e della sua famiglia. I PPMM sono consapevoli che stanno preparando il terreno per la distruzione di un intero nucleo familiare, e spesso di più nuclei, visto che anche altri familiari seguono il collaboratore, ma fingono di non sapere che ormai sono più i collaboratori che vivono ai margini e sono stati costretti a far ritorno ai paesi di origine e alla vita precedente, crimine incluso, che quelli che si sono reinseriti. Se qualche mio detrattore volesse smentirmi sono prontissimo a dimostrare quanto appena sostenuto! Certo, per onestà intellettuale, devo dire che esistono alcuni, rari, PPMM di grande sensibilità che hanno sempre seguito le sorti dei collaboratori che hanno gestito, ma si contano sulle dita di due mani, Nel mio caso, ho incontrato PPMM che dopo avermi utilizzato in centinaia di processi, invece di aiutarmi, secondo giustizia, hanno fatto di tutto per distruggermi perché non sopportano le mie accuse, le mie critiche e i miei attacchi diretti e senza alcuna soggezione per il loro prestigio e ruolo (per alcuni PPMM ottenuti previo commissioni di crimini non meno gravi di quelli che ho commesso io, visto che si può uccidere anche con condanne ingiuste e costruite a tavolino!) e quanto raccontato nella mia tesi in criminologia critica, dove affronto proprio la questione della collaborazione e il suo fallimento. Se altri collaboratori non fossero vigliacchi e non si fossero ormai rassegnati le assicuro che molti PPMM dovrebbero vergognarsi per come hanno creato le prove e perciò ottenuto le condanne di moltissimi poveri cristi; per poveri cristi non intendo solo i camorfisti di strada, quelli come me per intenderci, ma anche i nemici.

* * * *

1*) Concetto Marchesi, latinista, filosofo, critico, professore d’università e uomo politico siciliano, nonché scrittore e polemista di straordinaria efficacia. Comunista, per l’inaugurazione dell’anno accademico 1943-1944 a Padova, in presenza delle autorità tedesche di occupazione, tenne un famoso discorso politico.



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