Sono questi i valori sgretolati da Annamaria Franzoni e da
Olindo Romano e Rosa Bazzi, rispettivamente protagonisti del delitto di Cogne e
della strage di Erba, due tra i casi di cronaca nera degli ultimi anni che
hanno più diviso l’opinione pubblica, proprio perché hanno messo in discussione
due colonne portanti della nostra cultura e tradizione di popolo generoso e
profondamente legato alla famiglia. A ripercorrere queste vicende, con il
rigore noto a tutti i loro lettori, ci hanno pensato il giornalista
investigativo Fabio Sanvitale e il criminalista Armando Palmegiani nel loro
nuovo libro, “Amnesie”, Sovera Edizioni. In questa ultima fatica letteraria,
che li vede, ancora una volta, impegnati a districarsi tra due casi
particolarmente complessi, i due autori hanno analizzato questi fatti di sangue
da un punto di vista che li accomuna: le “amnesie” che hanno caratterizzato il
comportamento dei protagonisti e dei testimoni di queste storie,
condizionandone, di conseguenza, anche i rispettivi iter processuali. cover
amnesie.png
Ciò che si chiedono gli autori, infatti, è se sia realmente
possibile commettere un delitto efferato nei confronti del proprio figlioletto,
come è accaduto, ad esempio, ad Annamaria Franzoni, e subito dopo cancellarlo
in totale buona fede dalla propria memoria, negando per anni, di fronte a
inquirenti e giudici, di averlo mai commesso. Palmegiani e Sanvitale si
domandano anche se sia possibile confessare una strage in ogni dettaglio,
descrivendo una scena del crimine parecchio complessa, per poi ritrattare,
negando di esserci mai stati, come hanno fatto Rosa Bazzi e Olindo Romano,
colpevoli di aver sterminato un’intera famiglia di vicini di casa. E che ruolo
giocano realmente i testimoni nella risoluzione di un caso come quelli presi in
considerazione? È più attendibile chi ricorda troppi dettagli o chi non ne
ricorda affatto? Le risposte che i due autori danno, in questo viaggio tra
Cogne e Erba, talvolta sono sorprendenti e si rifanno sempre al principio del
cosiddetto Rasoio di Occam che li guida in ogni loro indagine, secondo cui la
ricostruzione più semplice è sempre quella più plausibile, mettendo da parte
ipotesi troppo suggestive e talvolta complottiste, più simili alle trame di un
giallo che alla realtà.
Col loro stile coinvolgente, caratterizzato da fitti dialoghi
e analisi di documenti rigorosamente tratti dalle carte processuali, Fabio
Sanvitale e Armando Palmegiani tirano le somme di altri due casi estremamente
difficili, di fronte ai quali è arduo mantenere il giusto distacco anche a
distanza di tanti anni, soprattutto perché tra le vittime ci sono anche due
bambini molto piccoli, la cui vita è stata spezzata con estrema violenza e per
delle ragioni che, dall’esterno, sembrano troppo banali per essere vere. Due
delitti in cui il movente è un tassello poco rilevante rispetto al ruolo
giocato dalla memoria e dalla consapevolezza di ciò che si è commesso, oltre al
quadro che dei colpevoli fanno i testimoni e le persone a loro vicine. Del
resto, gli autori sfatano il mito dell’assassino lucido mentitore che prima o
poi commette il passo falso, come se indossasse la precisa maschera del
colpevole: chiunque può mentire, più o meno consapevolmente, anche chi pensiamo
di conoscere alla perfezione, e ciò che sappiamo dei segnali che può dare chi
mente è ancora estremamente labile per essere considerato infallibile in ogni
caso.
Di grande interesse, oltre all’analisi di questi due casi che
tutti ricordano, è il racconto della storia del cosiddetto Smemorato di
Collegno, un caso curioso accaduto all’inizio del Novecento e che si ricorda
per lo più per il famoso film interpretato da Totò, ma che in realtà è una
sorprendente storia vera che i due autori ripercorrono, facendoci fare un tuffo
in un passato più lontano e nelle tecniche allora usate dalla Polizia
giudiziaria.
“Amnesie” è una ricostruzione avvincente e autentica di due
storie dalle quali è fin troppo semplice prendere le distanze, forse perché
sono più vicine a tutti noi di quanto non vorremmo.
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