NapoliMONiTOR
Il carcere di
Santa Maria Capua Vetere
e la mattanza
della settimana santa
Franco
(nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa
circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa
ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche
settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno
pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in
infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora
a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose
stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere
tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti che la
situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per
capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che
opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da
Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la
struttura ospedaliera napoletana del Cotugno.
La
notizia in breve tempo si diffonde e arriva in carcere, Franco è il primo
detenuto ammalato di Covid della regione, la seconda dopo la Lombardia per
indici di sovraffollamento carcerario. La tensione sale all’interno
dell’istituto. Il corpo detenuto teme il contagio e si sente sguarnito da ogni
difesa: cosa si potrebbe fare per evitare di ammalarsi? Il carcere non è un luogo
impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine
non ci sono e in istituto entrano ed escono moltissime persone. «Il carcere,
essendo chiuso e isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia»,
sostiene invece il procuratore Gratteri. A oggi, i contagiati sono circa
duecentotrenta (sessanta detenuti e centosettanta poliziotti).
Franco
intanto è stato ricoverato. È il weekend che precede la settimana delle feste
pasquali. Si avvicina l’orario di chiusura delle celle ma i detenuti di una
sezione non vogliono rientrare. Inizia la protesta con una battitura e
l’occupazione simbolica della sezione. La polizia penitenziaria denuncia che
per impedirle l’accesso in sezione è stato riversato dell’olio bollente. La
tensione in questa fase raggiunge facilmente stadi di acuzie e rapidi cali
perché nessuno sa in verità come si uscirà dalla vicenda del virus. Chi ha il
potere naviga a vista e chi non lo ha spesso sente di affogare.
Le
proteste rientrano nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo
intervento della penitenziaria. Sembra essere stato uno sfogo caduto nel vuoto.
Bisogna che le cose sfumino da sé. Anche gli sforzi di chi in questi giorni sta
tentando di stabilire un dialogo con le controparti, offrendo soluzioni per
fronteggiare la devastante emergenza, si sgretolano di fronte al muro del Dap e
del ministero.
A
questo punto la storia cominciata con il contagio di Franco assume contorni
inquietanti. Lunedì in carcere arriva la magistratura di sorveglianza e
incontra i detenuti per i colloqui. Si constata che gli atti di
insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una
vera rivolta (come quella ai primi di marzo nel carcere di Fuorni, Salerno).
Secondo le testimonianze raccolte da Antigone e dall’ufficio del garante, si è
verificata invece una fortissima rappresaglia da parte della polizia
penitenziaria. Appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro
(tra le sue competenze c’è quella di monitorare lo stato, le garanzie e i
diritti dei reclusi) quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta
antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi
all’interno delle “camere di pernottamento”. Probabilmente non sono gli stessi
poliziotti in servizio presso l’istituto, anche perché picchiano chiunque,
anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana, anche qualche
detenuto che dopo pochi giorni potrebbe uscire dal carcere con i segni del martirio
sulla carne.
Le
violenze si svolgono secondo modelli già visti: ad alcuni detenuti vengono
tagliati barba e capelli, vengono spogliati e pestati con manganelli, pugni e
calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché
alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di
questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano
una manifestazione pacifica nei pressi del carcere. Ma all’interno si respira
un’aria gelida e qualche agente continua il gioco al massacro psicologico:
«Avete anche il coraggio di far venire le vostre famiglie? Non vi è bastato?».
In
questo video un detenuto racconta, attraverso una telefonata, le violenze di
questi giorni al carcere di Santa Maria Capua Vetere
Mattanze
di questo tipo, in stile scuola Diaz, servono a (ri)stabilire un rapporto di
dominio: svuotare il corpo di ogni difesa fisica e mentale, colpire la persona
fino a suscitare un sentimento di vergogna verso se stessi. Di fronte al deflagrare
di quest’energia cinetica bisogna essere nudi: è il modo migliore per rendere
docile un corpo che ha mostrato segni di insubordinazione. In questi giorni
sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo
Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà
accertare cosa è successo nel carcere casertano.
La
tensione nel frattempo, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma
di continuo in atti di forza, soprattutto quando non si hanno direttive per
fronteggiare la crisi. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria
cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile, perché i detenuti sono tanti e
in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel
carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione
è stato isolato.
Se
il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è
anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei
nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non
interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia
di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di
sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema
implodere senza prendere alcuna decisione. La mattanza di Santa Maria ne è la
dimostrazione e poiché il carcere è uno spazio di guerra, la possibilità di
usare in ogni momento delle strategie per indebolire o neutralizzare una delle
parti è all’ordine del giorno.
“Gli
percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le
ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo
spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo
condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15,16-20)”. Adesso è necessario
monitorare le persone che sono ancora recluse, per evitare che il massacro
continui. (luigi romano)





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