Il delitto accadde a Mondragone ad ottobre del 1955
Una violenza carnale
tra i vigneti del Falerno. Le calunnie sulla verginità. La terribile vendetta
della sedotta e abbandonata un colpo al cuore con un pugnale di guerra
Mondragone - Erano
le 20 e 15 del 21 ottobre del 1955 allorquando si presentava ai carabinieri di
Mondragone, Incaldana Miraglia di
anni 34, che aveva una pugnale tra le mani insanguinato facendo presente al
piantone di aver dato una pugnalata a Emilio
De Cesare, di anni 36.
Il comandante della Stazione
dei carabinieri si recava immediatamente sul posto e ivi giunti venivano a
conoscenza che il malcapitato era stato, prima avviato verso la clinica Pineta
Grande di Castel Volturno e poi trasportato nel suo domicilio essendo deceduto
durante il tragitto.
Fatto piantonare il cadavere,
avvisato il vice Pretore di Carinola il giorno successivo a mezzo del Dr. Agostino Alfano si procedeva all’esame
esterno e si evidenziava nella circostanza – “una larga ferita da punta e
taglio sulla linea parasternale di sinistra all’altezza del quarto spazio
intercostale”. La ferita, ipotizzò il sanitario, data la profondità aveva
interessato il cuore ed era stata la causa del decesso. Nello stesso giorno –
dopo l’intervento del Giudice Istruttore – Dr. Bernardino De Luca del Tribunale
di Santa Maria Capua Vetere, che ordinava la traslazione della salma al locale
cimitero, con il perito settore si procedeva all’autopsia.
Subito sottoposta ad interrogatorio
la donna dichiarava “che il proprio genitore teneva in fitto un appezzamento di
terreno sito in contrada “Incaldana” coltivato a vigneto. Circa due anni prima
del fatto delittuoso il De Cesare chiese la sua mano. Di comune accordo –
all’insaputa dei familiari – iniziarono a frequentarsi. Questo “idillio”
continuò per circa due anni. Il 3 settembre del 1955 si era recata nel campo ma
dopo qualche tempo si era recata ad un campo attiguo – sempre condotto in fitto
dal padre – con l’intento di raccogliere un paniere di fichi. In quel terreno
si trovava anche il suo fidanzato Emilio De Cesare. Questi appena la vide la
chiamò (ma lei pensava che sarebbe stato sempre un colloquio tra fidanzati) e
subito iniziò a baciarla e palpeggiarla in ogni dove e alle sue ritrosie incalzava
con il promettere – come sempre – di volerla sposare. Entrambi, avvinghiati in
un fossetto che divideva i due appezzamenti di terreno consumarono gli ultimi
spiccioli della verginità di Incaldana. Dopo il coito la ragazza si tolse le
mutandine “rosse di sangue” e quasi con orgoglio (ma anche che suonassero da
monito) le mostrò al giovane dicendogli : “Vedi
che cosa hai fatto?”. Il De Cesare
la rassicurò dicendole “Che quello non
era niente”. Pertanto lei ritornò dal padre senza nulla raccontare.
Negli incontri successi,
fugaci e frequenti, lei ricordava sempre il fatto della “prova” della sua
verginità al giovane e lui, di rimando, l’assicurava di non dire niente a
nessuno perché l’avrebbe sposata. Il 5 ottobre – dopo un mese dal primo
amplesso – lei si trovava sul fondo assieme al padre ed il De Cesare – che si
trovava poco lontano l’aveva chiamata ma lei si era rifiutata di andarci. Il 10
ottobre un altro significativo segnale. Verso le 20, mentre lei era diretta al
rione Sant’ Angelo per fare una visita alla cognata Petronilla La Torre e incontrò causalmente il De Cesare il quale la
chiamò e la condusse in un vicolo buoi e qui si unisse di nuovo carnalmente. Il
12 ottobre incontrò nuovamente il De Cesare al quale raccomandò vivamente di
parlare con il padre per “regolarizzare” la posizione con il matrimonio. Ma lui
replicò che “non aveva niente da parlare
perché non era stato lui a deflorarla”.
A quella assurda risposta la giovane Incaldana chiese al fidanzato di
dirle allora chi era stato il suo seduttore al che lui rispose “che non lo sapeva”.
Tutta
una serie di interminabili di calunnie su amanti precedenti per non mantenere
la promessa delle nozze dopo averla violentata nel suo vigneto….
Il 15 ottobre il padre – che
già aveva avuto sentore di qualcosa - la mise alle strette ed infine la giovane
confessò il suo fallo. In seguito a ciò il genitore la cacciò fuori casa e lei
trovò temporaneo asilo presso il cognato Paolo
Montano. Il 17 dello stesso mese
Emilio De Cesare per bocca di una donna fece sapere ad Incaldana che se si
fosse sottoposta ad una visita ginecologica e fosse risultata che la
deflorazione era recente lui l’avrebbe certamente sposata. Il 18 ottobre
Incaldana speranzosa, incredula, ma certa del suo onore, si recò presso lo
studio del Dr. Giovanni Borrelli che
dopo averla sottoposta a scrupolosa visita rilasciò un certificato con il quale
attestava che “la deflorazione era recente”. La stessa sera del 18 il De
Cesare, sollecitato, assieme a tale Salvatore
Pisani, si recò in casa del cognato Montano e quivi gli fecero vedere il
certificato rilasciato dal Dr. Borrelli. Il De Cesare visto il certificato con
asprezza disse testualmente: “Certificati
del genere se ne fanno cento”. Ma
Miraglia, allora, replicava che per maggiore sicurezza si poteva andare da un
professore specialista in ostetricia ma il De Cesare – di rimando – rispondeva
“che non aveva tempo da perdere”. La
sorella della Miraglia (che aveva ospitato la derelitta) disse al De Cesare “che avrebbe dato ancora due giorni di tempo
e poi avrebbe cacciato di casa la Incaldana… invitandolo a vedere quello
che doveva fare, ma il De Cesare rispose, ancora una volta, che aveva da fare…Visto che dal 18 al 21 il De Cesare non si era
brigato di farsi vedere, la sorella, come preannunciato, anche perché il padre
non ne voleva sapere, scacciò di casa la poveretta. La Incaldana sapeva che un
tale Giuseppe Di Girolamo aveva una casetta da fittare – però prima di
uscire si armò di un pugnale che la settimana prima aveva fatto affilare per
difendersi (come da lei dichiarato ai carabinieri) da eventuali aggressioni da
parte dei familiari del De Cesare in quanto questi andavano dicendo in paese
che il loro Emilio “non doveva pigliarsi
le corna degli altri” e…pertanto si avviò per recarsi al Rione Amedeo per
cercare il piccolo alloggio. A metà di via Napoli incontrò il Di Girolamo il
quale però le disse di avere già affittato la casetta. Si incamminò allora per
rincasare e nel mentre rincorreva il tratto di via Napoli – via Umberto si
accorse che la seguiva il De Cesare in compagnia del giovane Giuseppe La Torre. Ella portava il
pugnale nella mano stratta sotto lo scialle. Giunti all’altezza del circolo
Cacciatori – che rimane agli inizi di via Duca degli Abruzzi (Rione Sant’
Angelo) vinta dalla disperazione per la recente cacciata di casa affiancò il De
Cesare e gli disse: “Ti pare bello che tu
ti vai a divertire alla festa e io devo andare in mezzo ad una via?”. Il De
Cesare farfugliò qualcosa di indecifrabile ma lei a quel punto estrasse il
pugnale da sotto allo scialle e gli vibrò una pugnalata al petto. In seguito al
colpo ricevuto il De Cesare grido: “Puttana…mia
hai ucciso”. Lei voleva fuggire ma visto che il De Cesare barcollava e
grondava sangue si andò a costituire in caserma.
Una sentenza di riscatto con
il beneficio delle attenuanti del motivo di particolare valore morale con una
condanna per omicidio soltanto a 7 anni di reclusione
Nel lungo interrogatorio
confermò che era stata deflorata da lui e che non aveva avuto rapporti con
altri. Smentì anche la “vox populi” che
voleva che il cognato Paolo Timpanelli l’avesse istigata al delitto. Interrogato il Giuseppe La Torre lo
stesso confermò di aver assistito al delitto, di essere stato in compagnia
della vittima e di tale Mattia Landi
e che la Miraglia avvicinatasi al De Cesare gli disse, prima di colpirlo: “Disgraziato vedi quello che devi
fare…mannaggia chitemmuorte… che sempre di devo uccidere”. Il La Torre ci
tenne a precisare che in giro si diceva che la Miraglia era stata sedotta dal
De Cesare. Interrogato il Mattia Landi confermò di essere stato presente, non
conosceva la Miraglia ma conosceva molto bene il De Cesare per essere stato suo
colono. Ricordò che il De Cesare spesso gli parlava di una ragazza che era
vicino alla sua vigna con la quale amoreggiava. Interrogato Salvatore Pisano –
che la sera del 18 ottobre andò assieme alla vittima a casa del Montano
confermò la questione del certificato ”di recente deflorazione”, contestato dal De Cesare.
Raccontò poi la circostanza del fortunoso incontro – avvenuto pochi giorni
prima del deòlitto – tra Psolo Timpanelli ed Emilio De Cesare nei pressi del
bar Cacace. Si discusse della scenata fatta a casa del De Cesare la sera
precedente a seguito della quale il De Cesare aveva dichiarato “di non voler sapere più nulla della
Incaldana”. Al che pare che il Timpanelli avesse detto: “Ora parlo con lei e se non ti uccide lei io
uccido a mia cognata”. Il teste aggiunse anche che il De Cesare gli aveva
confidato che la Miraglia aveva avuto rapporti carnali con tale Alessandro Piglialarmi, ora deceduto, e
che dopo la sua morte aveva avuto per amante il genero del Pigliarlarmi a nome Antonio Di Girolamo.
Secondo indagini
confidenziali, invece, da parte dei carabinieri, la Miraglia risultava di buona
moralità e tutti gli amanti attribuitigli erano stati frutto della fantasia del
De Cesare. Chiusa l’istruttoria formale
la Miraglia venne rinviata al giudizio della Corte di Assise (Giovanni Morfino, presidente; giudice a
latere, Guido Tavassi; pubblico
ministero, Nicola Damiani) per
rispondere di omicidio. Venne accertato attraverso il perito Giovanni Scalese, ostetrico-ginecologo
che la donna non era mai stata incinta e che non era adusa al coito. Il
processo non ebbe storia. Il 9 aprile del 1957 con il beneficio del particolare
valore morale, delle attenuanti della provocazione e delle attenuanti generiche
la condanna fu a 7 anni di reclusione. Per gli atti osceni una condanna di
pochi mesi. Il pubblico ministero aveva chiesto in complessivo 12 anni di
reclusione. Alla difesa della Miraglia
il prof. Enrico Altavilla e l’avv. Arturo Tucci. Alla parte civile l’avv. Ciro Maffuccini.
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