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mercoledì 27 maggio 2020


   

Il fatto accadde a Santa Maria a Vico il 12 novembre del 1955

Luigi De Lucia uccise il figlio Antonio, di appena 4 giorni, soffocandolo con l’applicazione di una mano sulla bocca. Tentò di uccidere anche la moglie che riteneva infedele e di facili costumi

Santa Maria a Vico – Il 12 novembre del 1955 Luigi De Lucia, di anni 30, uccise il figlio Antonio, di appena 4 giorni, soffocandolo con l’applicazione di una mano sulla bocca. Gesto nefando ancora più grave perché germinato dal fatto che il bambino si lamentava e piangeva. Non solo ma nella circostanza aggrediva la moglie Orsola Moniello con calci e pugni procurandole lesioni personali di una certa gravità. Verso le ore 2 del 5 novembre del 1955 si appura da parte dei carabinieri che il neonato Antonio De Lucia, di Luigi decedeva nella propria abitazione. Da parte sua, il Dr. Giuseppe Nuzzo, medico condotto, nella scheda di morte diagnosticava che il decesso era avvenuto “per difetto di vitalità”. Il 12 novembre, pero, la madre del bambina Orsola Moniello veniva percossa dal marito per futili motivi riportando contusioni a una gamba e ai glutei – come da certificato del Dr. Nuzzo – e nello stesso giorno la malcapitata confidava ad una donna del luogo che il marito aveva cagionato la morte del bambino mediante soffocazione e che essa temeva temeva che le fosse riservata la stessa fine. I carabinieri venuti a conoscenza di questa procedevano all’interrogatorio della Moriello la quale dichiarava che il marito – sin dal giorno in cui il bambino era nato – aveva affermato che non lo riconosceva come suo figlio e nella notte del 5 novembre dopo aver spento più volte la luce – che lei riaccendeva in quanto stava allattando il bambino – il marito aveva posta una mano sulla bocca del piccino che piagnucolava. Il piccolo era rimasto inerte e boccheggiante ed essa resasi conto del suo stato gli aveva tolto le fasce, mentre il marito le diceva - con tono soddisfatto: Se non stai zitta ammazzo anche te. La Moniello aggiungeva inoltre che il bambino fin dalla nascita – avvenuta il 1 novembre – era apparso sanissimo e succhiava regolarmente. Intanto il marito non si brigava delle condizioni del bambino ed era rimasto comodamente a letto. Soltanto per le sue insistenze lo stesso si era poi alzato ed era andato a chiamare la suocera Pasqualina Laudato e poi la levatrice Immacolata Iodice e il Dr. Di Nuzzo.  Il De Lucia, però, respinse ogni accusa. Egli dichiarava che già la sera del 4 novembre si era accorto che il bambino stava poco bene ma nessuno si era preoccupato di chiamare il medico; nella notta era stato svegliato dal pianto della moglie dopo la morte del bambino e subito si era recato a chiamare la suocera, che, peraltro, al cospetto del cadavere gli aveva detto: Appena sarà giorno andrò dal maresciallo perché ti debbo fare andare in galera – senza fornire spiegazioni circa tale minaccia.  
I carabinieri interrogarono anche Antonietta De Lucia di anni 9, figlia del De Lucia e della Moriello. La bambina riferiva che durante la notte del 5 novembre si era accorta che la madre accendeva spesso la luce e il padre la spegneva. Poi aveva udito la madre dire: Perché l’hai affogato? al che il padre aveva risposto:”Puoi morire tu e tutti i tuoi figli”. Poco dopo anzi, quando la madre era fuori di casa il padre aveva detto ad essa Antonietta: Non dire niente alla mamma che ho affogato il bambino. Dalle successive indagini risultava che fra il De Lucia e la Moniello, che avevano avuto altri 2 figli deceduti, come il piccolo Antonio in tenera età – non regnava un perfetto accordo e che la donna veniva spesso malmenata dal marito per futili motivi e mesi prima si era recata a Napoli per lavorare come domestica ma era ritornata dopo pochi giorni perché il marito aveva minacciato di denunciarla per abbandono del tetto coniugale.  
Luigi De Lucia, arrestato dai carabinieri in seguito all’emissione dell’ordine di cattura interrogato dal magistrato, insisteva nel protestarsi innocente e non ammetteva di aver procurato la morte del piccolo. Si procedeva alla riesumazione e all’autopsia del cadavere del piccolo nonché ad analisi istologiche affidate al prof. Francesco Tarsitano su fette di organi repertati in sede di autopsia. Risultava che la morte era stata causata da asfissia meccanica acuta determinata mediante soffocamento per occlusione delle aperture naturali (bocca e naso) con oggetto verosimilmente soffice.  Nel corso della istruttoria formale la Moriello confermava quando già riferito che il marito aveva posto la mano prima sul suo seno e poi sulla bocca del bambino che giaceva tra loro due. Essa aveva chiesto: Che fai? – e si era sentita rispondere: Quello piange. Aveva poi aggiunto che il marito il giorno prima l’aveva percossa perché essa aveva rimproverato tale Armando De Lucia che andava in cerca del marito per giocare a carte nella cantina dove spesso si ubriacava.     




Testimoniarono contro l’uomo la moglie, la suocera, la figlia  il medico condotto e la levatrice

Nel corso dell’istruttoria venivano sentiti il maresciallo  dei carabinieri Felice Ruffier, che aveva condotto le indagini, Armando De Lucia, che era stato presente allorchè l’imputato percosse la moglie; Antonietta De Lucia che confermava quanto dichiarato ai carabinieri e precisava che la madre le aveva detto che il padre ”aveva buttato il braccio così” (accidentalmente… sic!) e il bambino era morto.  Pasqualina Laudato, madre della Moniello la quale riferiva che la figlia la mattina del 5 novembre le aveva detto che durante la notte lei accendeva la luce e il marito la spegneva sempre e, pure assumendo che nulla le era stato raccontato in merito alle cause del decesso, confermava di aver detto al genero quando vide il cadaverino che lo avrebbe denunciato ai carabinieri.  Il Dr. Giuseppe Nuzzo e la levatrice Immacolata Sorice deponevano l’uno di “non aver riscontrato segni rilevanti sul cadavere e di avere opinato che la morte fosse dovuta a blocco renale di tipo epidemico ( di cui però non fece cenno nella scheda di morte giuste istruzioni ricevute dall’ufficiale sanitario per quanto riguarda le eclampisie) l’altra,  che il bambino le era sembrato “vitale e normale” e nei giuorni successivi al parto non gli aveva prestato le abituali cure perché la Moniello aveva sempre provveduto da se prima del suo arrivo.  La Sorice aggiungeva, però, di avere appreso dalla Laudato che correva voce in paese che la Moniello  “non serbasse buona condotta” e che il Luigi De Lucia sospettava che i figli non fossero suoi… e perciò maltrattava la moglie.


Il processo, la sentenza e la condanna: con il beneficio delle attenuanti generiche e con l’aggravante della recidiva ad anni 22 e mesi 8 di reclusione.


Santa Maria Capua Vetere - Il 22 settembre del 1956 il Giudice Istruttore, su conforme parere del pubblico ministero, ordinava il rinvio a giudizio di Luigi De Lucia innanzi la Corte di Assise per rispondere di omicidio aggravato per motivi futili e abietti in persona del figlio e lesioni personali contro la moglie. In dibattimento l’imputato - pur confermando i precedenti interrogatori – precisò che la sera del 4 novembre aveva chiamato il Dr. Giuseppe Nuzzo perché visitasse il bambino che stava male ma che il Dr. Nuzzo non si era recato a fare la vista perché non gli era stato elargito il compenso. La Moniello, dal canto suo, dichiarava di non confermare le precedenti dichiarazioni ma poi in sostanza ammetteva le circostanze già riferite. I testi Laudato, Sorice, Ruffier, e Antonietta e Armando De Lucia confermavano le precedenti dichiarazioni. Gli atti giudiziari raccolti dimostravano senza ombra di dubbio che la morte di Antonio De Lucia fu per “asfissia meccanica” determinata mediante soffocazione delle apertura aeree naturali (bocca e naso). Il tutto confermato dall’autopsia. Strana apparve, però, la circostanza sul fatto che il De Lucia non chiamò il medico e solo in dibattimento aveva detto di averlo fatto ma solo perché nel frattempo il Dr. Giuseppe Nuzzo era deceduto. “Le risultanze delle indagini – scrissero i giudici nella loro motivazione di condanna – hanno fornito “chiari, precisi, e sicuri elementi che inducono a sostenere che fu l’imputato a provocare con il meccanismo descritto la morte del figlio.  E d’altra parte non può sospettarsi che la Moniello sia stata spinta ad accusare il marito della uccisione del figlio dal proposito di calunniare. La Corte ritenne, tra l’altro, di confermare che trattavasi di omicidio volontario. Luigi De Lucia di anni 30, il 5 novembre del 1955 a Santa Maria a Vico soffocò il figlio Antonio nato pochi giorni prima. Il 14 marzo del 1957 la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Guido Tavassi; giudici popolari: Palmerino Fabbrocile, Riccardo Dell’Aversana, Beniamino Galli, Ferdinando Pastore, Flavio Falcone, Dante Marrocco e Giovanni Fusco; pubblico ministero, Nicola Damiani; cancelliere, Domenico Aniello; ufficiale giudiziario, Giuseppe Girardi) lo condannò con il beneficio delle attenuanti generiche e con l’aggravante della recidiva generica ad anni 22 e mesi 8 di reclusione. Dopo la condanna l’imputato produsse appello e uno dei difensori Carlo Cipullo (valente avvocato penalista sammaritano, spentosi prematuramente nel pieno di una brillantissima carriera che lo vedeva primeggiare tra i big) precisò che “la Corte avrebbe dovuto assolvere il De Lucia perché il De Lucia colpevole al di fuori delle parole di Orsola Moniello che non può essere creduta perché “dagli atti non emerge la prova che possa far ritenere il De Lucia colpevole al di fuori delle parole di Orsola Moniello che non può essere creduta per essere assolutamente calunniosa e comunque inaffidante per le molteplici contraddizioni in cui  cade”. “L’indagine dei periti – secondo l’avvocato Cipullo -  è stata lacunosa e la Corte avrebbe dovuto assolvere almeno per insufficienza di prove e in linea ancora più gradata il De Lucia per essere ritenuto responsabile di omicidio colposo. La pena sarebbe ridotta al minimo per effetto delle concesse attenuanti”.  Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Carlo Cipullo, Alfonso Raffone e Alberto Narni Mancinelli.

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