Il
fatto accadde a Santa Maria a Vico il 12 novembre del 1955
Luigi De
Lucia uccise il figlio Antonio, di appena 4 giorni, soffocandolo con
l’applicazione di una mano sulla bocca. Tentò di uccidere anche la moglie che
riteneva infedele e di facili costumi
Santa
Maria a Vico – Il 12 novembre del 1955 Luigi De Lucia, di anni 30, uccise il figlio Antonio, di appena 4
giorni, soffocandolo con l’applicazione di una mano sulla bocca. Gesto nefando
ancora più grave perché germinato dal fatto che il bambino si lamentava e
piangeva. Non solo ma nella circostanza aggrediva la moglie Orsola Moniello con calci e pugni
procurandole lesioni personali di una certa gravità. Verso le ore 2 del 5 novembre
del 1955 si appura da parte dei carabinieri che il neonato Antonio De Lucia, di Luigi decedeva nella propria abitazione. Da
parte sua, il Dr. Giuseppe Nuzzo,
medico condotto, nella scheda di morte diagnosticava che il decesso era
avvenuto “per difetto di vitalità”. Il 12 novembre, pero, la madre del bambina
Orsola Moniello veniva percossa dal marito per futili motivi riportando
contusioni a una gamba e ai glutei – come da certificato del Dr. Nuzzo – e
nello stesso giorno la malcapitata confidava ad una donna del luogo che il
marito aveva cagionato la morte del bambino mediante soffocazione e che essa
temeva temeva che le fosse riservata la stessa fine. I carabinieri venuti a
conoscenza di questa procedevano all’interrogatorio della Moriello la quale
dichiarava che il marito – sin dal giorno in cui il bambino era nato – aveva
affermato che non lo riconosceva come suo figlio e nella notte del 5 novembre
dopo aver spento più volte la luce – che lei riaccendeva in quanto stava
allattando il bambino – il marito aveva posta una mano sulla bocca del piccino
che piagnucolava. Il piccolo era rimasto inerte e boccheggiante ed essa resasi
conto del suo stato gli aveva tolto le fasce, mentre il marito le diceva - con
tono soddisfatto: Se non stai zitta
ammazzo anche te. La Moniello aggiungeva inoltre che il bambino fin dalla
nascita – avvenuta il 1 novembre – era apparso sanissimo e succhiava
regolarmente. Intanto il marito non si brigava delle condizioni del bambino ed era
rimasto comodamente a letto. Soltanto per le sue insistenze lo stesso si era
poi alzato ed era andato a chiamare la suocera Pasqualina Laudato e poi
la levatrice Immacolata Iodice e il
Dr. Di Nuzzo. Il De Lucia, però, respinse ogni accusa.
Egli dichiarava che già la sera del 4 novembre si era accorto che il bambino
stava poco bene ma nessuno si era preoccupato di chiamare il medico; nella
notta era stato svegliato dal pianto della moglie dopo la morte del bambino e subito si era recato a chiamare la
suocera, che, peraltro, al cospetto del cadavere gli aveva detto: Appena sarà giorno andrò dal maresciallo
perché ti debbo fare andare in galera – senza fornire spiegazioni circa
tale minaccia.
I carabinieri interrogarono
anche Antonietta De Lucia di anni 9,
figlia del De Lucia e della Moriello. La bambina riferiva che durante la notte
del 5 novembre si era accorta che la madre accendeva spesso la luce e il padre
la spegneva. Poi aveva udito la madre dire: Perché
l’hai affogato? al che il padre aveva risposto:”Puoi morire tu e tutti i tuoi figli”. Poco dopo anzi, quando la
madre era fuori di casa il padre aveva detto ad essa Antonietta: Non dire niente alla mamma che ho affogato
il bambino. Dalle successive indagini risultava che fra il De Lucia e la
Moniello, che avevano avuto altri 2 figli deceduti, come il piccolo Antonio in
tenera età – non regnava un perfetto accordo e che la donna veniva spesso
malmenata dal marito per futili motivi e mesi prima si era recata a Napoli per
lavorare come domestica ma era ritornata dopo pochi giorni perché il marito
aveva minacciato di denunciarla per abbandono del tetto coniugale.
Luigi De Lucia, arrestato dai
carabinieri in seguito all’emissione dell’ordine di cattura interrogato dal
magistrato, insisteva nel protestarsi innocente e non ammetteva di aver
procurato la morte del piccolo. Si procedeva alla riesumazione e all’autopsia
del cadavere del piccolo nonché ad analisi istologiche affidate al prof. Francesco Tarsitano su fette di organi
repertati in sede di autopsia. Risultava che la morte era stata causata da asfissia meccanica acuta determinata
mediante soffocamento per occlusione delle aperture naturali (bocca e naso) con oggetto verosimilmente soffice. Nel corso della istruttoria formale la
Moriello confermava quando già riferito che il marito aveva posto la mano prima
sul suo seno e poi sulla bocca del bambino che giaceva tra loro due. Essa aveva
chiesto: Che fai? – e si era sentita
rispondere: Quello piange. Aveva poi
aggiunto che il marito il giorno prima l’aveva percossa perché essa aveva
rimproverato tale Armando De Lucia che
andava in cerca del marito per giocare a carte nella cantina dove spesso si
ubriacava.
Testimoniarono
contro l’uomo la moglie, la suocera, la figlia
il medico condotto e la levatrice
Nel corso dell’istruttoria
venivano sentiti il maresciallo dei carabinieri Felice Ruffier, che
aveva condotto le indagini, Armando De
Lucia, che era stato presente allorchè
l’imputato percosse la moglie; Antonietta
De Lucia che confermava quanto dichiarato ai carabinieri e precisava che la
madre le aveva detto che il padre ”aveva buttato il braccio così”
(accidentalmente… sic!) e il bambino era morto.
Pasqualina Laudato, madre
della Moniello la quale riferiva che la figlia la mattina del 5 novembre le
aveva detto che durante la notte lei accendeva la luce e il marito la spegneva
sempre e, pure assumendo che nulla le era stato raccontato in merito alle cause
del decesso, confermava di aver detto al genero quando vide il cadaverino che
lo avrebbe denunciato ai carabinieri. Il
Dr. Giuseppe Nuzzo e la levatrice Immacolata Sorice deponevano l’uno di
“non aver riscontrato segni rilevanti sul cadavere e di avere opinato che la
morte fosse dovuta a blocco renale di tipo epidemico ( di cui però non fece
cenno nella scheda di morte giuste istruzioni ricevute dall’ufficiale sanitario
per quanto riguarda le eclampisie) l’altra,
che il bambino le era sembrato “vitale e normale” e nei giuorni
successivi al parto non gli aveva prestato le abituali cure perché la Moniello
aveva sempre provveduto da se prima del suo arrivo. La Sorice aggiungeva, però, di avere appreso
dalla Laudato che correva voce in paese che la Moniello “non serbasse buona condotta” e che il Luigi
De Lucia sospettava che i figli non fossero suoi… e perciò maltrattava la
moglie.
Il processo, la sentenza e la
condanna: con il beneficio delle attenuanti generiche e con l’aggravante della
recidiva ad anni 22 e mesi 8 di reclusione.
Santa
Maria Capua Vetere - Il 22 settembre del 1956 il Giudice
Istruttore, su conforme parere del pubblico ministero, ordinava il rinvio a
giudizio di Luigi De Lucia innanzi la Corte di Assise per rispondere di
omicidio aggravato per motivi futili e abietti in persona del figlio e lesioni
personali contro la moglie. In dibattimento l’imputato - pur confermando i
precedenti interrogatori – precisò che la sera del 4 novembre aveva chiamato il
Dr. Giuseppe Nuzzo perché visitasse il bambino che stava male ma che il Dr.
Nuzzo non si era recato a fare la vista perché non gli era stato elargito il
compenso. La Moniello, dal canto suo, dichiarava di non confermare le
precedenti dichiarazioni ma poi in sostanza ammetteva le circostanze già
riferite. I testi Laudato, Sorice, Ruffier, e Antonietta e Armando De Lucia
confermavano le precedenti dichiarazioni. Gli atti giudiziari raccolti
dimostravano senza ombra di dubbio che la morte di Antonio De Lucia fu per
“asfissia meccanica” determinata mediante soffocazione delle apertura aeree
naturali (bocca e naso). Il tutto confermato dall’autopsia. Strana apparve,
però, la circostanza sul fatto che il De Lucia non chiamò il medico e solo in
dibattimento aveva detto di averlo fatto ma solo perché nel frattempo il Dr.
Giuseppe Nuzzo era deceduto. “Le risultanze delle indagini – scrissero i
giudici nella loro motivazione di condanna – hanno fornito “chiari, precisi, e
sicuri elementi che inducono a sostenere che fu l’imputato a provocare con il
meccanismo descritto la morte del figlio.
E d’altra parte non può sospettarsi che la Moniello sia stata spinta ad
accusare il marito della uccisione del figlio dal proposito di calunniare. La
Corte ritenne, tra l’altro, di confermare che trattavasi di omicidio
volontario. Luigi De Lucia di anni
30, il 5 novembre del 1955 a Santa Maria a Vico soffocò il figlio Antonio nato
pochi giorni prima. Il 14 marzo del 1957 la Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere (Presidente, Giovanni
Morfino; giudice a latere, Guido
Tavassi; giudici popolari: Palmerino
Fabbrocile, Riccardo Dell’Aversana,
Beniamino Galli, Ferdinando Pastore, Flavio Falcone, Dante Marrocco e Giovanni
Fusco; pubblico ministero, Nicola
Damiani; cancelliere, Domenico
Aniello; ufficiale giudiziario, Giuseppe
Girardi) lo condannò con il beneficio delle attenuanti generiche e con
l’aggravante della recidiva generica ad anni 22 e mesi 8 di reclusione. Dopo la
condanna l’imputato produsse appello e uno dei difensori Carlo Cipullo (valente avvocato penalista sammaritano, spentosi
prematuramente nel pieno di una brillantissima carriera che lo vedeva
primeggiare tra i big) precisò che “la Corte avrebbe dovuto assolvere il De
Lucia perché il De Lucia colpevole al di fuori delle parole di Orsola Moniello
che non può essere creduta perché “dagli atti non emerge la prova che possa far
ritenere il De Lucia colpevole al di fuori delle parole di Orsola Moniello che
non può essere creduta per essere assolutamente calunniosa e comunque
inaffidante per le molteplici contraddizioni in cui cade”. “L’indagine dei periti – secondo
l’avvocato Cipullo - è stata lacunosa e
la Corte avrebbe dovuto assolvere almeno per insufficienza di prove e in linea
ancora più gradata il De Lucia per essere ritenuto responsabile di omicidio
colposo. La pena sarebbe ridotta al minimo per effetto delle concesse
attenuanti”. Nei tre gradi di giudizio
furono impegnati gli avvocati: Carlo
Cipullo, Alfonso Raffone e Alberto Narni Mancinelli.
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