A Casaluce un natale di
sangue del dicembre 1954
Una macchina sgommando fece imbizzarrire
il cavallo. La reazione del guidatore sfociata in un delitto
Gaetano
Di Bello di anni 21, da San Cipriano d’Aversa, venne inseguito da un
mandato di cattura – firmato dal giudice istruttore, Vincenzo Cimmino e accusato dell’omicidio di Paride Romolo Pagano, di anni 20, per averlo ucciso con un colpo di
pistola, che spaccava in due la testa dell’avversario, il 19 dicembre del 1954
in Casaluce. Subito dopo il suo gesto si dava alla latitanza. A marzo dell’anno
successivo l’assassino veniva catturato. Intanto il P.M. chiedeva il rinvio a giudizio
di Gaetano Di Bello innanzi alla Corte di Assise per omicidio volontario
aggravato. Diverse e contrastanti erano
però state le deposizioni dei presenti che avevano ribaltato le asserzioni del
Di Bello. Antonio Iorio, che aveva
chiesto un passaggio sul biroccio e che per poco non ci rimise la pelle
dichiarò: “Nel corso della lite il Di
Bello ha preso la pistola che portava nel cassettino del biroccio – sotto il
cuscino ove eravamo seduti – ed ha tirato un colpo all’avversario colpendolo
alla testa. Né il ferito né lo Statuto avevano armi”.
Significativa
fu anche la deposizione di Rodolfo
Statuto il quale dichiarò: “Il Di
Bello aveva fermato il calesse ed aveva detto rivolto all’autista: “Così si
fanno le curve?”. Al che l’autista aveva risposto: “Non vedi che vado piano?”.
La discussione era proseguita ed il Di Bello preso una pistola automatica che
teneva sotto il cuscino del calesse si era precipitato verso la macchina ed
aveva costretto il Pagano a scendere a terra. Esso Iorio aveva tenuto di far
allontanare il Di Bello che era per venire alle mani con il Pagano che da parte
sua non mostrava di avere intenzioni di litigare ed era alla me dell’ira
dell’altro ma il Di Bello gli aveva gridato: “Levati che adesso me la vedo
io”. Immediatamente il Di Bello aveva
sparato un colpo di pistola e il Pagano - che trovavasi ad un metro
dall’avversario - si accasciava al
suolo”.
Nel
prosieguo del dibattimento lo Iorio – nella vana speranza di aiutare il suo
amico – aveva cambiato registro- cioè erano stati gli occupanti della macchina
ad aggredire il Di Bello e che il colpo era partito accidentalmente.
Puntualizzò, addirittura, che lui ed il Di Bello datisi alla fuga – erano stati
sparati con colpi di pistola e fucili dal padre di Rodolfo Statuto. Che infine
egli era stato raggiunto e fermato da un fratello di Rodolfo Statuto che gli
aveva puntato contro una pistola e che era stato condotto in casa di una donna
a Casapesenna e poi in Caserma dai carabinieri. Questi ultimi indagarono anche
sui rapporti tra il Pagano e lo Statuto e venne fuori che i due erano stati
coinvolti in altri casi di violenza e minacce per incidenti stradali. Il Pagano
in effetti lavorava come muratore presso l’impresa edile dello Statuto. Giovanni Manfellotti e Nicola Guarino avevano raccontato,
l’uno che nel dicembre del 1954 mentre era alla guida di un autobus della ditta
Vozza di Casagiove era stato aggredito dallo Statuto e dal Pagano solo per aver
fatto loro rilevare che l’auto aveva eseguito una manovra pericolosa. Mentre il
secondo aveva avuto a Melito una questione con lo Statuto.
I
carabinieri sulla questione della sparatoria sui fuggitivi da parte del
fratello e del padre dello Statuto riferirono che Raffaele e Domenico Statuto
avevano respinto l’accusa limitandosi a dire che loro avevano semplicemente
inseguiti in motocicletta i due, insieme a tale Antonio Giangrande e una volta fermati e condotti prima presso
l’abitazione di tale Albina Veneziano
e poi alla caserma dei carabinieri.
La versione dell’assassino non
confermata però dalle perizie balistiche a da quella autoptica e smentita dai
testi oculari
Gaetano
Di Bello in merito al delitto dichiarò: “Verso
le 13 e 30 del 19 dicembre del 1954 partii da casa con un biroccio trainato da
un cavallo, per strada un tale Armando Iorio, diretto come me a Casaluce mi
chiese un passaggio. Erto diretto in quella località perché dovevo riscuotere
una somma di denaro da tale Carmine
Messina al quale in precedenza avevo venduto una partita di paglia. A Frignano Maggiore
prese posto nel biroccio anche Nazzareno Festeggiato che era stato il
mediatore. Giunsi a Casaluce nel Corso principale procedevo a passo d’uomo
quando tutto d’un tratto – proveniente dalla strada di Teverola –sbucò una
macchina Fiat 500 Belvedere (poi si accertò che era guidata da Adolfo
Statuto) la quale improvvisamente abbordò
la curca e per poco non ci investì. Il cavallo si imbizzarrì. Io protestai
vivamente: “Sono questi i modi di fare una curva?”. E l’autista di rimando: “
Perché forse la sai fare meglio tu?”. La
macchina si fermò. Ne discese l’autista ed altra persona sbattendo le portiere
con veemenza e avvicinandosi minacciosi verso di noi. Intanto l’altro occupante
Iorio era sceso per tenere il cavallo per la biglia, mentre io lo tenevo per le
redini stando seduto sul biroccio. In quel frangente il compagno dell’autista
si avventò contro il mio amico Iorio prendendolo a pugni e schiaffi
afferrandolo per il bavero della giacca. Poiché lo Iorio era menomato ad un
braccio io – vistolo in pericolo – scesi per aiutarlo. Poi l’aggressore di
Iorio lasciò costui e si avventò contro di me prendendo a pugni e schiaffi
dicendomi: ”Mo vi imparo io a fare gli uomini”. Poiché anche l’altro occupante
della macchina si avviava contro di me con faro minaccioso per difendermi dalla
duplice aggressione estrassi la pistola e con essa impugnandola con la canna
colpii la testa della persona che poi ho saputo chiamarsi Paride Pagano. Appena
lo colpii partì un colpo di pistola. Sono certo di non aver esploso il colpo
volontariamente perché io non avevo neppure il dito sul grilletto. Io non avevo
alcuna intenzione di fare fuoco contro il Pagano altrimenti avrei potuto farlo
avendolo a brevissima distanza da me e potendo mirare all’addome. Appena
esplose il colpo mi diedi alla fuga. Dietro di me correva Iorio. Percorso un
certo tratto di campagna sentii esplodere vari colpi di armi da fuoco di fucile
e di pistola. Mi voltai e mi accorsi che gli sparatori erano l’autista della
macchina che impugnava una pistola e l’altro che sparava con un fucile. Volendo
avrei potuto far fuoco contro costoro-
che attentavano alla mia vita – ma ne ne astenni per non “inguaiarmi”.
Sono certo che i due volessero uccidermi perché sentivo le pallottole che
fischiavano alle mie orecchie. All’incrocio della nazionale Capua-Aversa lo
Iorio fu raggiunto da 2 persone a bordo di una motocicletta che aveva
attraversato una strada campestre. I due
smontati dalla moto fermarono lo Iorio e fattole alzare le mani gli puntarono
l’arma in faccia. Nello stesso tempo uno dei due esplose un colpo di pistola al
mio indirizzo. Io aumentai la mia corsa e non so che fine abbia fatto il mio
amico Iorio.
La
sentenza: Agì per un impulso dovuto alla
propria dell’età giovanile e non già per
abituale inclinazione al male. Per l’omicidio
con la concessione delle attenuanti generiche va inflitta in luogo dell’ergastolo quella di
anni 22 di reclusione.
Innanzi
la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Eduardo Cilento; giudice a latere, Guido Tavassi; pubblico ministero, Gennaro Calabrese) vennero esaminati
tutti i fatti. Sul luogo del delitto erano
stati eseguiti rilievi planimetrici e fotografici.
I periti avevano eseguito l’autopsia del
Pagano e conclusero la loro relazione affermando che il Pagano aveva riportato
“un foro da colpo da arma da fuoco a
canna corte e che era deceduto per lo spappolamento del cervello”. Il
perito balistico Ten. Col. Pietro Monsurrò, esaminati i reperti
concluse che la scheggia si apparteneva alla pallottola della pistola
automatica Beretta cal. 7,65 trovata dopo l’omicidio presso la chiazza di
sangue e che il colpo era stato sparato “a
contatto”. Il Magg. Salvatore
Vicinanza, consulente tecnico-balistico, nominato dal padre di Paride
Pagano (Raffaele Pagano, costituitosi parte civile), espresse invece
l’avviso che il colpo doveva essere stato sparato “non a contatto ma a una distanza ravvicinata con direzione dalla zona
occipitale a quella frontale”. Dal contrasto sorgeva la necessità di una
super perizia balistica che veniva affidata ad un collegio di periti: Ten. Col.
Giuseppe Cateno Brundo, Ten. Col. Modestino Pellecchia e Magg. Domenico Tornar. Detti periti –
esaminata anche la teca cranica del Pagano – all’uopo riesumata, e ricevuti
altri chiarimenti dai periti settori così conclusero: “Nel momento in cui partì il colpo l’arma si trovava a contatto con il
capo del Pagano”. Quindi, la tesi secondo la quale il Di Bello aveva usato
la pistola come un martello prendeva piede.
Ma la parte civile presentava altre due consulenze, una medico-legale
del Prof. Vincenzo M. Palmieri, il quale affermava non essere provato che “la lunetta descritta dal collegio di periti
balistici fosse l’esito di un meccanismo contusivo” e una balistica del
Magg. Raffaele Vicinanza per dimostrare che la pistola Beretta per le sue
caratteristiche costruttive e per la qualità dei materiali impegnati “non può dar luogo allo sparo se non viene
esercitata una adeguata pressione sul grilletto dopo avere eliminato la
sicurezza”. A chiusura del
dibattimento dopo la requisitoria del pubblico ministero che chiese, con la
concessione delle attenuanti generiche “24
anni di reclusione” e dopo le arringhe difensive che conclusero “con l’esimente della legittima difesa o
eccesso colposo di legittima difesa putativa, mancanza della volontà omicida e
l’aggravante del motivo futile”. Ma la Corte ritenne enormemente
sproporzionata il delitto in base al movente che ebbe a determinarlo ma
nonostante la gravità del delitto, considerando che l’imputato che è appena
ventenne e incensurato, agì certamente per un improvviso impulso dovuto alla
sconsideratezza propria dell’età giovanile e non già per abituale inclinazione
al male, “stima opportuno concedere in
ordine all’omicidio le attenuanti generiche e va inflitta in luogo
dell’ergastolo quella di anni 22 di reclusione”. La sentenza del 8 novembre
del 1958, appellata non sortì effetto migliore. Nei processi furono impegnati
gli avvocati: Alfredo De Marsico, Stefano Riccio, Ettore Botti, Giuseppe
Garofalo e Alfonso Martucci.
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