Una
storia di cammorristerie e prevaricazioni nel commercio dei cavolfiori, una
sorta di “Pascalone e Nola” di Montedecore di Maddaloni con due omicidi.
Montedecore di Maddaloni - Il
19 luglio del 1953 in Montedecore di Maddaloni la scena del crimine si
presentava con sul proscenio due cadaveri
quelli di Giovanni e Aniello D’Angelo freddati a colpi di 7,65. Nel prosieguo delle indagini numerosi furono i
testimoni oculari e non che furono interrogati anche sulle minacce prima dei
delitti. I carabinieri eseguirono varie perquisizioni e sequestrarono fucili,
munizioni e pistole nelle case dei sospettati. L’autopsia sul cadavere di
Aniello D’Angelo fu eseguita dai due periti del tribunale dottori Emiddio Farina e Pasquale Tagliacozzi. Fu accertato che il delitto avvenuto allo scalo ferroviario di Maddaloni era stato
commesso da Giovanni e Raffaele De Lucia, con la complicità di
istigatori.
Vi
erano processi che avevano già scritto pagine di sangue. Il 29 marzo del 1952,
infatti, Narciso D’Angelo
commerciante di bestiame, di Maddaloni domiciliato a Montedecore, mentre si
trovava nella propria abitazione fu fatto segno a numerosi colpi di pistola. Di
tale fatto furono incolpati, tra gli altri, Giovanni e Francesco D’Angelo,
fratelli di Aniello in quel tempo detenuto. Il relativo processo, prima per
tentato omicidio e poi per violenza privata si concluse il 13 luglio del 1953,
con una condanna a 16 anni di reclusione. Su questo processo, però, spiegava il
suo riverbero un altro processo a carico di Vincenzo Farrara da
Maddaloni il quale proprio il giorno del delitto era stato condannato a 5 anni
di reclusione mentre Luigi Martino e
Vincenzo Savino – amici di Giovanni
D’Angelo – erano stati condannati a pene minori per lesioni.
Questo
procedimento contro Giovanni D’Angelo – scrivevano i carabinieri – si riferiva
ad una “annosa questione tra due fazioni camorristiche”, quella capeggiata da
Giovanni D’Angelo da Montedecoro e quella del pregiudicato Pasquale Correra da Maddaloni in lotta per la supremazia ed il
dominio. Senonchè appena sei giorni dopo la definizione del processo per detta
sparatoria e cioè il 19 luglio 1955 un nuovo gravissimo fatto di sangue avvenne
in Montedecoro con la uccisione di Giovanni e Narciso D’Angelo.
Addirittura
testi oculari riferirono che Raffaele De Lucia aveva gridato al fratello mentre
correva: “Ne ho fatto uno adesso non esce
nessuno per strada”. I carabinieri accertarono anche che Raffaele De Lucia
pochi minuti dopo la uccisione di Giovanni D’Angelo si recò a casa di Salvatore
D’Angelo (fratello di Narciso) dicendogli: “Tuo
fratello è ferito. Chillo già fatto. Porta le armi e le chiavi della macchina”. Salvatore D’angelo e Raffaele De Lucia
si portarono così armati sul luogo del delitto – donde udirono altri colpi di
armi da fuoco.
Costoro,
infatti, si recarono – dopo il delitto – armati a casa di Rosa Suppa e con faro minaccioso ed armi in pugno ordinarono alla
poveretta di fare uscire di casa il fratello Giuliano: “Fai uscire tuo fratello
ne abbiamo ucciso e adesso tocca a lui”. Giulio era comparte ed amico di
Giovanni D’Angelo. Nel pomeriggio del 19 luglio avvenne un altro episodio in
cui campeggiava ancora Raffaele De Lucia. In tale pomeriggio Vincenzo Savino da San Marco di San
Felice a Cancello essendo intimo amico di Giovanni D’Angelo ed avendone appreso
della uccisione – avvenuta alcune ora prima – corse verso Montedecore per
rendere l’estremo saluto alla salma del suo amico. Arrivato in prossimità del
tragico avvenimento fu costretto a fermarsi per ordine dei carabinieri in quanto
in qual momento era fermo sulla strada il carro funebre che trasportava il
cadavere dell’altro ucciso Narciso D’Angelo.
Mentre il Savino stava fermo in compagnia di Salvatore Piscitelli e Giovanni
Vinciguerra da un’automobile che era ferma dietro il feretro di Narciso
D’Angelo – si affacciò Raffaele De Lucia indicando con il braccio il Savino e
gli rivolse la seguente frase: “Ti debbo
dare una schioppettata anche a te”. Circostanza denunciata ai carabinieri. Il
Savino, però, successivamente fu veramente ucciso.
Il pacttum scellaris, la cosiddetta
società delittuosa avvinceva i quattro e si perpetuava nel tempo e difatti
scaturì il secondo delitto
Dopo
la morte di Narciso D’Angelo spesso i carabinieri identificavano insieme Salvatore
e Antonio D’angelo e Raffaele e Giovanni De Lucia. Il pacttum
scellaris, avvinceva i quattro e si perpetuava nel tempo. Dimesso dalle
carceri 40 giorni prima del delitto il fratello di Giovanni D’Angelo, Aniello
D’Angelo dovette apparire ai quattro un’ombra pericolosa in quanto così
pensarono che in un prossimo futuro lo Aniello avrebbe potuto voler vendicare
la uccisione del proprio fratello Giovanni ed avrebbe comunque potuto
attraversare e danneggiare i loro piani. Lo Aniello appena uscito dal carcere
prese dimora provvisoria con la famiglia in Maddaloni. E’ singolare il fatto che la sera prima di
essere ucciso dormì la prima volta a Montedecore. Il mattino seguente egli fu
evidentemente pedinato dal quartetto – Salvatore e Antonio D’Angelo, Raffaele e
Giovanni De Lucia. Infatti la mattina del 13 alle ore 9,30 furono visti passare
per la Contrada di via Baldini di Maddaloni con fucili e pistole. Aniello D’Angelo
si recò invece la mattina del 13 alla stazione Ferrovia di Maddaloni dove egli
doveva parlare con tale Lorenzo
Savinelli per domandargli se fosse partito un vagone di cavolfiori di cui
lui aveva fatto da mediatore. Infatti lasciato il Savinelli – dopo pochi passi
– fu ucciso da Raffele De Lucia che era appostato dietro lo spigolo del muro
del caseggiato. Nessuna parola vi fu tra i due. Quindi omicidio per mandato? Un
altro particolare – che determina la preparazione del delitto - ci viene dalla circostanza secondo la quale
un quarto d’ora prima dell’omicidio nella cantina di Stefano Marchitto – sita nelle immediate vicinanze del luogo del
delitto – si intrattenevano Pellegrino
Ventrone, Alessandro De Francesco e Antonio D’Angelo e il De Francesco
aveva offerto a tutti una zuppa forte. Mentre stavano mangiando sopraggiunse
Salvatore D’Angelo allora il De Francesco rivolto al Salvatore disse: “Chiama Raffaele De Lucia e vieni a
mangiare anche tu insieme a lui, offro io”… Ma il Salvatore rifiutò
l’invito e disse: “Raffaele non vuol mangiare… e non so cosa vuol mangiare...
– rivolto al fratello Antonio poi disse: “Alzati
che è venuta la carretta”. Dopo 10 minuti avvenne l’omicidio. Due giorni dopo l’uscita dal carcere di
Aniello D’Angelo – nelle prime ore del mattino – andò a fargli visita Maddaloni
tal Pasquale D’Addio da Montedecore.
Il D’Addio accennando alle persone salutate il giorno prima in Montedecore
dallo Aniello disse: “Tu devi salutare
anche i figli di Luigi De Lucia, Raffele e Giovanni altrimenti essi ti fanno
fare lo stesso servizio che hanno fatto a tuo fratello Giovanni“. Questo discorso fu fatto alla presenza
della moglie si Aniello, Benigna
Stravino. Aniello rimase assai turbato da tali parole
che egli poi riferì anche alla sorella Rosaria
recatasi a fargli visita subito dopo il D’Addio.
Le accuse
e le condanne per la mafia dei cavolfiori degli anni ’60… sembrava il set per
un film noir: Fatti tutti accaduti in
Maddaloni, Santa Maria Capua Vetere, Montedecore, tra il 1953 1954 e 1955.
Sulla
scena del crimine furono repertati 10 bossoli. Nel corso dell’istruttoria furono
redatte varie perizie tecnico- balistiche, l’una dall’ing. Arioldo Le Piane e l’altra affidata al maggiore Pietro Monsurrò. Fu accertato che tutti
i colpi che avevano attinto i due uccidendoli erano stati sparati dalla stessa
pistola cal. 7,65. Gli spari erano avvenuti a distanza ravvicinata. Raffale e Giovanni De Lucia vennero accusati di aver ucciso Giovanni D’Angelo; mentre Raffaele De Lucia, Salvatore D’Angelo e
Antonio D’Angelo vennero accusati di aver ucciso Aniello D’Angelo. Le condanne definitive - dopo i tre processi -
furono di 18 anni ciascuno per Raffaele e Giovanni De Lucia; di 30 anni per
Raffaele De Lucia e 24 anni a Salvatore e Antonio D’Angelo. Mentre Giulio Suppa, accusato di concorso in
omicidio (colpito, tra l’altro, con un pugno all’occhio, sulla scena del
crimine con carabinieri e vittime presenti) venne poi assolto. Raffaele De Lucia fu accusato di aver ucciso
Aniello D’Angelo con un colpo di fucile. Giovanni De Lucia, Salvatore D’Angelo
e Antonio D’Angelo, tutti in concorso, per aver istigato, determinato e agevolato Raffaele De Lucia nel delitto da
lui commesso. Inoltre, Giovanni De Lucia e Raffaele De Lucia uccisero Giovanni
D’Angelo e lo stesso Raffaele De Lucia venne anche accusato di aver minacciato Vincenzo Savino: Debbo dare una schioppettata anche a te”. Luigi De Lucia, invece,
venne accusato di aver minacciato Rosario
e Francesco D’Angelo: “Vi debbo levare il vizio di farvi vedere in
tribunale…tu sei l’ultimo rimasto della tua famiglia”. Inoltre lo stesso
venne anche accusato di falso in quanto deponendo innanzi all’A.G. “taceva ciò che sapeva della morte di
Giovanni D’Angelo affermando falsamente che lo stesso era stato ucciso da
Narciso D’Angelo dopo una colluttazione”.
Domenico De Lucia, invece, era accusato di aver ucciso a colpi di
pistola, Narciso D’Angelo. Giulio Suppa, fu accusato di concorso morale in
duplice omicidio, perché “accompagnò sul luogo del delitto Giovanni D’Angelo e
da dietro un muretto, ove era nascosto, lo incitava ad uccidere Narciso
D’Angelo”. Infine, Rosario D’Angelo
accusato di aver colpito con un pugno all’occhio Valentino Palladino con perdita del visus: Gli avvocati impegnati nei tre gradi di
giudizio furono: Alfredo De Marsico,
Enrico Altavilla, Alfonso Martucci, Saverio Siniscalchi, Giuseppe
Irace e Carlo Cipullo.
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