PER IL 17 FEBBRAIO
VINCENZO BERNARDO UCCISE DOMENICO LETTIERI
Il
fatto accadde a San Felice a Cancello nel 1955
Un delitto germinato da una
vendetta. In precedenza vi era stata una violenza sessuale, un omicidio (1951)
ed il conseguente ricatto di non costituirsi parte civile nel processo.
Nel
1955 il 23enne Vincenzo Bernardo si costituiva presso la Procura della Repubblica,
accompagnato dall’ avvocato, perché inseguito da un mandato di cattura per
omicidio dopo aver ucciso, per vendetta, Domenico
Lettieri con 6 colpi di pistola. Ma questo omicidio era germinato da
numerosi precedenti episodi a sfondo sessuale e di sangue. Il primo delitto accadde alla Frazione
Talanico di San Felice a Cancello il 25 aprile del 1951. Aniello
Marotta, Raffaele Lettieri, Gildo Piscitelli e Pasquale
Migliore, uccisero per vendetta il guappo locale Pasquale Bernardo. La vittima si vantava in pubblico di aver
posseduto la moglie del Piscitelli. Una torbida storia di incesto e di
prevaricazione in un ambiante immondo ed in degrado.
Il
pomeriggio del 25 aprile del 1951, la giovane Mafalda Bernardo, denunciava ai carabinieri di Santa Maria a Vico, che
verso le 14:00 dello stesso giorno era stata aggredita da Francesca Verdicchio e dal figlio Alberto Iaia, il quale aveva esploso contro di lei due colpi di
pistola andati a vuoto mentre la madre l’aveva afferrata per le vesti. I
carabinieri dubitarono però, dell’attendibilità della denuncia e proceduto al
fermo della giovane, accertavano infatti che lo Iaia, resosi nel frattempo latitante, aveva esploso un solo colpo ma, in aria, a scopo
intimidatorio e con rapporto del 26 aprile 1951 denunciavano la Bernardo e la
madre di lei Concetta Roncone la
quale aveva confermato le asserzioni della figlia per calunnia, associando
entrambe le donne alla locale carceri unitamente al loro rispettivo fratello e
figlio Pasquale Bernardo, perché
autore di lesioni volontarie con armi in danno del fratello Clemente.
Pasquale
Bernardo, istigato dalla madre e dalla sorella, ed anzi in presenza della
prima, aveva esploso contro il germano Clemente. La causale dell’episodio consisteva
nel fatto che la Mafalda Bernardo aveva riferito al fratello Pasquale che esso
Clemente attribuiva agli altri due germani una relazione incestuosa. In realtà, spiegava il Clemente, era stata
proprio la Mafalda, che visitato da un sanitario dell’ospedale degli incurabili
e trovata incinta al quinto mese - pur
avendo il marito in carcere da circa due anni -
aveva confidato alla suocera e a lui di essere stata oggetto di violenza
da parte del fratello Pasquale. Circostanza confermata dall’amante del
Clemente, Concetta Lettieri, da Ersilia Tondi e Pasqualina Ferrara.
Riferiva
inoltre il ferito che la sorella Mafalda per tentare di nascondere l’illecita
relazione, aveva anche tentato di abortire richiedendo all’uopo l’intervento di
una certa Rosa, moglie di Raffaele
Fioravante, la quale però, non aveva voluto prestarsi allo scopo rifiutando
anche le duemila lire che le erano state offerte a titolo di compenso. Il 18
settembre 1951 però, Domenico Lettieri,
fratello del marito della Mafalda - ristretto con il proprio fratello nelle
carceri di Santa Maria Capua Vetere - denunciava formalmente la propria cognata
per procurato aborto e adulterio. Al G.I. chiariva di aver appreso il fatto
dalla madre, Cristina Crisci e di
avere avuto conferma dal dottor Vincenzo Cangiano, medico delegato
delle carceri di Santa Maria Capua
Vetere, il quale aveva visitata la cognata - all’epoca della sua recente detenzione
e a distanza di un altro mese ultima visita effettuata con l’ausilio del dottor
Carmine Abbate, specialista di
malattie veneree, aveva potuto contestare che si era decisamente orientato per
l’ipotesi di una gravidanza al terzo mese. La
Bernardo Mafalda, allorchè venne interrogata si protestò innocente riservandosi
di denunciare il marito per calunnia ma quest’ultimo, dopo qualche tempo, fu trovato morto in circostanze misteriose nella
propria cella.
Il
17 settembre del 1951 gli stessi carabinieri denunciarono proprio Pasquale
Bernardo per tentato omicidio in danno del Lettieri esponendo che il 12
precedente aveva esploso contro il figlio due colpi di pistola ed i testi Angelo e Raffaele
Liparulo confermavano la circostanza aggiungendo che il Lettieri era
potuto sfuggire perché al terzo
colpo, l’arma del suo aggressore non aveva
più funzionato.
Il
3 novembre del 51 un ben più tragico incidente si aggiunge alla catena degli
episodi criminosi che avevano avuto protagonisti i componenti delle famiglie
Lettieri e Bernardo. Pasquale Bernardo, infatti, uscendo dall’osteria di Alberto De Rosa, in contrada Talanico di
San Felice a cancello, veniva raggiunto ed ucciso da un colpo di pistola. I
carabinieri di Arienzo rinvenivano a circa 7m. dal cadavere, il giovane Aniello Marotta che giaceva supino in
una pozza di sangue per una ferita trasfossa d’arma da fuoco dalla natica sinistra alla radice della coscia.
Essi si accertavano, attraverso l’interrogatorio dell’oste De Rosa e dei testi oculari Pellegrino
De Simone, Clemente Barbarino e Raffaele
Biondillo che Pasquale Bernardo quella sera si era trattenuto all’osteria
del De Rosa, assistendo al gioco delle
carte, finché vi aveva fatto ingresso un
giovane, forse il Marotta il quale lo
aveva invitato ad uscire sulla strada.
Il
Marotta dichiarava ai carabinieri che già la sera del primo novembre si era
convenuto fra lui, Raffaele Lettieri,
e tale Gildo Piscitelli, di
sopprimere il Bernardo loro comune
nemico. Lungo la strada si era unito a
loro il giovane Pasquale Migliore
che aveva chisto: “Dove andate? Andiamo a
Talanico… perché dobbiamo uccidere…Don Pasquale Bernardo…. Bene! Vengo anch’io”…
nonostante lui fosse disarmato – come il Marotta - mentre il Lettieri ed il Piscitelli avevano
rispettivamente una pistola cal. 7,65 ed una grossa pistola Grisent.
Il secondo
delitto avvenne alla vigilia del processo per omicidio del primo fatto di
sangue
Il
25 marzo del 1955, il cantoniere Luigi
Esposito informava i carabinieri che
in località “Legno Lungo”, verso le 7, 45 era avvenuto un omicidio e
un giovane era stato ucciso mentre
l’assassino era fuggito con una bicicletta. I carabinieri rinvenivano il cadavere di Domenico Lettieri
vicino alla sua biciletta da donna. Tra il capannello di curiosi presenti i
carabinieri origliarano delle illazioni
che individuavano gli insalatori autori
del delitto. Saputo che il contranome degli
insalatori non erano altri che i
fratelli Francesco e Quirino Lombardi (il cui padre era
stato ucciso per mano dello stesso Lettieri nel 1945, ma assolto per insufficienza
di prove) i carabinieri pensarono a loro di essersi vendicati col fatto di
sangue di oggi. Ma i due fratelli esibirono un alibi di ferro: all’ora del
delitto entrambi erano ai loro posti di lavoro. L’assassino era, invece,
indicato vox populo in Vincenzo
Bernardo il quale si era reso latitante. Sotto il palazzo di giustizia i
carabinieri fermarono Clemente Bernardo,
fratello del ricercato, traducendolo nelle camere di sicurezza del tribunale
sammaritano. Il fermato riferiva che suo fratello Vincenzo era ai piani
superiori presso la Procura in attesa del magistrato per costituirsi ed infatti
fu tratto in arresto fuori la porta del Procuratore della Repubblica.
In
relazione al delitto Vincenzo Bernardo narrava che era andato in cerca di
lavoro presso la ditta di Domenico De
Lucia che si occupava della coltivazione dei cavolfiori. Quella mattina non
necessitava la sua opera per cui stava ritornando verso casa con la sua
bicicletta. Sulla strada del ritorno in località “Largo Legno” si imbatteva nel
Domenico Lettieri che proveniente da San Marco era diretto verso Cancello
allorquando il Lettieri intimava l’alt al Bernardo dicendo chiaramente: “Tu domani non ti devi costituire parte
civile contro di me e mio fratello”. Preso dalla paura e visto che il
Lettieri metteva la mano in tasca estraeva la sua pistola e faceva fuoco
uccidendo l’avversario. Poi inforcava la bicicletta e si dava alla latitanza.
La
vittima non era uno stinco di santo
(come del resto neppure l’assassino): aveva precedenti per ratto a fine di
libidine, violentò la ragazza Giovanna Savandano; porto abusivo di coltello e
di pistola; lesioni, furto, rapina, arrestato sospettato e assolto per
l’omicidio di Stelentino Lombardi. Nel 1948 era stato arrestato per omicidio a
scopo di rapina e con sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua
Vetere (15 marzo 1951) era stato condannato ad anni 24 di reclusione ed anni 3
per sfregio.
Nel primo processo le
condanne per omicidio e tentato omicidio furono di 24 anni per Lettieri, 16 per
Marotta e Piscitelli e 14 per Migliore. Nel secondo Vincenzo Bernardo venne condannato ad anni 18 di
reclusione. Un milione di lire di
risarcimento nel 1957
Per
il primo delitto la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza
del 2 aprile 1954, emise il verdetto soltanto per l’omicidio ed il tentato –
essendo stato emesso nel frattempo un provvedimento di amnistia per i reati
minori – Il Marotta venne condannato ad anni 16; il Lettieri ad anni 24 e mesi
10; il Piscitelli ad anni 16 e mesi 4 e il Migliore ad anni 14 e mesi 6. Per il secondo delitto, il 7 novembre del 1957, la Corte negò
all’imputato l’ eccesso colposo di legittima difesa , le attenuanti di aver
agito per motivi di particolare valore sociale e le generiche mentre gli venne
concessa l’attenuante della provocazione. La Corte ritenne di applicare per il delitto
di omicidio la pena base di anni 22 da ridurre la stessa ad anni 16 per la
provocazione ed aumentabile di anni 2 per la recidiva e così in anni 18. La
sentenza fu appellata riducendo la pena ad anni 15. Seguì il ricorso che
chiedeva la cassazione del processo
ed il rinvio ad altra Corte. Ma venne rigettato. Nei tre gradi di giudizio
furono impegnati gli avvocati: Generoso
Iodice, Alfonso Raffone, Vittorio Verzillo, Carlo Cipullo, Francesco
Lugnano, Alberto e Alfonso Martucci. I medici che si
occuparono dell’autopsia e delle perizie furono: Pasquale Tagliacozzi, Mario
Pugliese, Francesco Tarsitano e Alberto Buffolano.
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