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mercoledì 27 maggio 2020









PER IL 17 FEBBRAIO

            VINCENZO BERNARDO UCCISE DOMENICO LETTIERI
Il fatto accadde a San Felice a Cancello nel 1955

Un delitto germinato da una vendetta. In precedenza vi era stata una violenza sessuale, un omicidio (1951) ed il conseguente ricatto di non costituirsi parte civile nel processo.


Nel 1955 il  23enne Vincenzo Bernardo si costituiva presso la Procura della Repubblica, accompagnato dall’ avvocato, perché inseguito da un mandato di cattura per omicidio dopo aver ucciso, per vendetta, Domenico Lettieri con 6 colpi di pistola. Ma questo omicidio era germinato da numerosi precedenti episodi a sfondo sessuale e di sangue. Il primo delitto accadde alla Frazione Talanico di San Felice a Cancello il 25 aprile del 1951. Aniello Marotta, Raffaele Lettieri, Gildo Piscitelli e Pasquale Migliore, uccisero per vendetta il guappo locale Pasquale Bernardo.  La vittima si vantava in pubblico di aver posseduto la moglie del Piscitelli. Una torbida storia di incesto e di prevaricazione in un ambiante immondo ed in degrado.

Il pomeriggio del 25 aprile del 1951, la giovane Mafalda Bernardo, denunciava ai carabinieri di Santa Maria a Vico, che verso le 14:00 dello stesso giorno era stata aggredita da Francesca Verdicchio e dal figlio Alberto Iaia, il quale aveva esploso contro di lei due colpi di pistola andati a vuoto mentre la madre l’aveva afferrata per le vesti. I carabinieri dubitarono però, dell’attendibilità della denuncia e proceduto al fermo della giovane, accertavano infatti che lo Iaia, resosi  nel frattempo latitante, aveva esploso  un solo colpo ma, in aria, a scopo intimidatorio e con rapporto del 26 aprile 1951 denunciavano la Bernardo e la madre di lei Concetta Roncone la quale aveva confermato le asserzioni della figlia per calunnia, associando entrambe le donne alla locale carceri unitamente al loro rispettivo fratello e figlio Pasquale Bernardo, perché autore di lesioni volontarie con armi in danno del fratello Clemente.

Pasquale Bernardo, istigato dalla madre e dalla sorella, ed anzi in presenza della prima, aveva esploso contro il germano Clemente. La causale dell’episodio consisteva nel fatto che la Mafalda Bernardo aveva riferito al fratello Pasquale che esso Clemente attribuiva agli altri due germani una relazione incestuosa.  In realtà, spiegava il Clemente, era stata proprio la Mafalda, che visitato da un sanitario dell’ospedale degli incurabili e trovata incinta al quinto mese -  pur avendo il marito in carcere da circa due anni -  aveva confidato alla suocera e a lui di essere stata oggetto di violenza da parte del fratello Pasquale.   Circostanza confermata dall’amante del Clemente, Concetta Lettieri, da Ersilia Tondi  e  Pasqualina Ferrara.

Riferiva inoltre il ferito che la sorella Mafalda per tentare di nascondere l’illecita relazione, aveva anche tentato di abortire richiedendo all’uopo l’intervento di una certa Rosa, moglie di Raffaele Fioravante, la quale però, non aveva voluto prestarsi allo scopo rifiutando anche le duemila lire che le erano state offerte a titolo di compenso. Il 18 settembre 1951 però,  Domenico Lettieri, fratello del marito della Mafalda -   ristretto con il proprio fratello nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere - denunciava formalmente la propria cognata per procurato aborto e adulterio. Al G.I. chiariva di aver appreso il fatto dalla madre, Cristina Crisci e di avere avuto conferma dal dottor  Vincenzo Cangiano, medico delegato delle carceri di  Santa Maria Capua Vetere, il quale aveva visitata la cognata - all’epoca della sua recente detenzione e a distanza di un altro mese ultima visita effettuata con l’ausilio del dottor Carmine Abbate, specialista di malattie veneree, aveva potuto contestare che si era decisamente orientato per l’ipotesi di una gravidanza al terzo mese.   La Bernardo Mafalda, allorchè venne interrogata si protestò innocente riservandosi di denunciare il marito per calunnia ma quest’ultimo, dopo qualche tempo,  fu trovato morto in circostanze misteriose nella propria cella. 





Il 17 settembre del 1951 gli stessi carabinieri denunciarono proprio Pasquale Bernardo per tentato omicidio in danno del Lettieri esponendo che il 12 precedente aveva esploso contro il figlio due colpi di pistola ed i testi Angelo  e Raffaele Liparulo confermavano la circostanza aggiungendo che il Lettieri era potuto  sfuggire perché al terzo colpo,  l’arma del suo aggressore non aveva più funzionato.

Il 3 novembre del 51 un ben più tragico incidente si aggiunge alla catena degli episodi criminosi che avevano avuto protagonisti i componenti delle famiglie Lettieri e Bernardo. Pasquale Bernardo, infatti, uscendo dall’osteria di Alberto De Rosa, in contrada Talanico di San Felice a cancello, veniva raggiunto ed ucciso da un colpo di pistola. I carabinieri di Arienzo rinvenivano a circa 7m. dal cadavere, il giovane Aniello Marotta che giaceva supino in una pozza di sangue per una ferita trasfossa d’arma da fuoco dalla  natica sinistra alla radice della coscia. Essi  si accertavano,  attraverso l’interrogatorio dell’oste De Rosa  e dei testi oculari  Pellegrino De Simone,  Clemente Barbarino e Raffaele Biondillo che Pasquale Bernardo quella sera si era trattenuto all’osteria del De Rosa,  assistendo al gioco delle carte,  finché vi aveva fatto ingresso un giovane,  forse il Marotta il quale lo aveva invitato ad uscire sulla strada.  

Il Marotta dichiarava ai carabinieri che già la sera del primo novembre si era convenuto fra lui, Raffaele Lettieri, e tale Gildo Piscitelli, di sopprimere  il Bernardo loro comune nemico.  Lungo la strada si era unito a loro il giovane Pasquale Migliore che aveva chisto: “Dove andate? Andiamo a Talanico… perché dobbiamo uccidere…Don Pasquale Bernardo…. Bene! Vengo anch’io”… nonostante lui fosse disarmato – come il Marotta -  mentre il Lettieri ed il Piscitelli avevano rispettivamente una pistola cal. 7,65 ed una grossa pistola Grisent.






Il secondo delitto avvenne alla vigilia del processo per omicidio del primo fatto di sangue  


Il 25 marzo del 1955, il cantoniere Luigi Esposito informava i carabinieri che  in località “Legno Lungo”, verso le 7, 45 era avvenuto un omicidio e un  giovane era stato ucciso mentre l’assassino era fuggito con una bicicletta. I carabinieri  rinvenivano il cadavere di Domenico Lettieri vicino alla sua biciletta da donna. Tra il capannello di curiosi presenti i carabinieri origliarano delle illazioni che individuavano gli insalatori autori del delitto. Saputo che il contranome degli insalatori non erano altri che i fratelli Francesco e Quirino Lombardi (il cui padre era stato ucciso per mano dello stesso Lettieri nel 1945, ma assolto per insufficienza di prove) i carabinieri pensarono a loro di essersi vendicati col fatto di sangue di oggi. Ma i due fratelli esibirono un alibi di ferro: all’ora del delitto entrambi erano ai loro posti di lavoro. L’assassino era, invece, indicato  vox populo in Vincenzo Bernardo il quale si era reso latitante. Sotto il palazzo di giustizia i carabinieri fermarono Clemente Bernardo, fratello del ricercato, traducendolo nelle camere di sicurezza del tribunale sammaritano. Il fermato riferiva che suo fratello Vincenzo era ai piani superiori presso la Procura in attesa del magistrato per costituirsi ed infatti fu tratto in arresto fuori la porta del Procuratore della Repubblica.   

In relazione al delitto Vincenzo Bernardo narrava che era andato in cerca di lavoro presso la ditta di Domenico De Lucia che si occupava della coltivazione dei cavolfiori. Quella mattina non necessitava la sua opera per cui stava ritornando verso casa con la sua bicicletta. Sulla strada del ritorno in località “Largo Legno” si imbatteva nel Domenico Lettieri che proveniente da San Marco era diretto verso Cancello allorquando il Lettieri intimava l’alt al Bernardo dicendo chiaramente: “Tu domani non ti devi costituire parte civile contro di me e mio fratello”. Preso dalla paura e visto che il Lettieri metteva la mano in tasca estraeva la sua pistola e faceva fuoco uccidendo l’avversario. Poi inforcava la bicicletta e si dava alla latitanza.


La vittima non era uno stinco di santo (come del resto neppure l’assassino): aveva precedenti per ratto a fine di libidine, violentò la ragazza Giovanna Savandano; porto abusivo di coltello e di pistola; lesioni, furto, rapina, arrestato sospettato e assolto per l’omicidio di Stelentino Lombardi. Nel 1948 era stato arrestato per omicidio a scopo di rapina e con sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (15 marzo 1951) era stato condannato ad anni 24 di reclusione ed anni 3 per sfregio.


Nel primo processo le condanne per omicidio e tentato omicidio furono di 24 anni per Lettieri, 16 per Marotta e Piscitelli e 14 per Migliore. Nel secondo Vincenzo  Bernardo venne condannato ad anni 18 di reclusione. Un milione di lire di risarcimento nel 1957




Per il primo delitto la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 2 aprile 1954, emise il verdetto soltanto per l’omicidio ed il tentato – essendo stato emesso nel frattempo un provvedimento di amnistia per i reati minori – Il Marotta venne condannato ad anni 16; il Lettieri ad anni 24 e mesi 10; il Piscitelli ad anni 16 e mesi 4 e il Migliore ad anni 14 e mesi 6.  Per il secondo delitto,  il 7 novembre del 1957, la Corte negò all’imputato l’ eccesso colposo di legittima difesa , le attenuanti di aver agito per motivi di particolare valore sociale e le generiche mentre gli venne concessa l’attenuante della provocazione.  La Corte ritenne di applicare per il delitto di omicidio la pena base di anni 22 da ridurre la stessa ad anni 16 per la provocazione ed aumentabile di anni 2 per la recidiva e così in anni 18. La sentenza fu appellata riducendo la pena ad anni 15. Seguì il ricorso che chiedeva la cassazione del processo ed il rinvio ad altra Corte. Ma venne rigettato. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Generoso Iodice, Alfonso Raffone, Vittorio Verzillo, Carlo Cipullo, Francesco Lugnano, Alberto e Alfonso Martucci. I medici che si occuparono dell’autopsia e delle perizie furono: Pasquale Tagliacozzi, Mario Pugliese, Francesco Tarsitano e Alberto Buffolano.


   


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