"Il partito dei pm si è fatto fare un emendamento governativo che estendeva il «remoto» persino alle più delicate istruttorie; poi, a distanza di appena 8 giorni, il contropartito degli avvocati si è fatto fare un opposto decreto legge assai limitante fuori dai casi di consenso"
LA GIUSTIZIA/ Tribunali, pochi negli uffici e a casa senza
accessi: rebus dei processi in aula e a distanza
“L’amnistia
— per quanto impopolare, è una necessità
- anche se può provocare, oggi, qualche piccola ingiustizia che servirà però a
evitare, domani, più gravi e generali ingiustizie”.
Dopo
aver pesato in 8 chili di carta le «linee guida» per decriptare i processi
celebrabili o rinviabili, oggi a Roma i penalisti faranno il gesto di
restituire al presidente dell’Ordine degli Avvocati la toga, «ormai inutile
visto il numero esiguo di processi effettivamente celebrati» nella teorica
ripartenza dopo la chiusura semi totale (escluse urgenze) da marzo all’11
maggio. E pure i civilisti lamentano: «C’è stato un equivoco: i protocolli
dovevano servire a gestire l’organizzazione, ma ora ci troviamo con 200
protocolli che di fatto sono diventati 200 codici di procedura civile…».
Anche
perché — di fronte all’imperativo di evitare assembramenti e tenere distanze di
sicurezza — si fa presto a dire smart-working. A Milano, dove i pm sono
«invitati a recarsi in ufficio non più di tre giorni a settimana», anche ai
cancellieri è raccomandato di essere «presenti al 30% per un totale di non più
di 2/3 giorni», uno per stanza, perché «il primario interesse» resta «lo
svuotamento fisico di uffici e corridoi», nella convinzione che comunque
«l’utilizzazione massiva dell’informatica assicuri la piena efficienza
dell’Ufficio». Ma l’indicazione delle circolari del ministero di privilegiare
il lavoro da casa si scontra in concreto, a detta del presidente del Tribunale,
soprattutto con il fatto che i cancellieri, «nonostante le richieste reiterate
al ministero nel corso del tempo dai capi degli Uffici giudiziari di tutto il Paese,
non hanno accesso ai registri di cognizione civile e penale», con il risultato
che «si sono già determinati un forte accumulo e vari ritardi».
Non
aiuta lo schizofrenico pendolo legislativo sul processo telematico a distanza:
prima, nella fase di chiusura totale, è stato introdotto come unica possibilità
di fare almeno le convalide degli arresti e le direttissime (arrestato in
caserma, avvocato in studio, pm in ufficio, giudice in aula); poi il partito
dei pm si è fatto fare un emendamento governativo che estendeva il «remoto»
persino alle più delicate istruttorie; poi, a distanza di appena 8 giorni, il
contropartito degli avvocati si è fatto fare un opposto decreto legge assai
limitante fuori dai casi di consenso. E in più pesano gli ostacoli pratici.
Come la risposta ai giudici che segnalano ricorrenti problemi di continuità
della connessione Teams («il problema è noto e si sta riscontrando a macchia di
leopardo sull’intero territorio»). O come le difficoltà, segnalate dai giudici
ai pm milanesi, di organizzare l’udienza a distanza se la trasmissione dei
fascicoli del pm manca o avviene troppo a ridosso.
Gli
sbalzi locali, anche in una stessa regione, sono notevoli. A Bergamo l’Ufficio
successioni ha già tutto esaurito sino a dicembre, Busto Arsizio e Como
macinano processi quasi in normalità. Ma la media nazionale, salvo le urgenze,
svolge processi dall’agevole logistica, con poche parti in aula o semplici
incombenze eseguibili a distanza su consenso dei legali: quasi tutto il resto
viene rinviato. Bologna — tra le sedi più organizzate — sta riuscendo a fare in
aula-bunker l’Appello di ‘ndrangheta Aemilia, e Palermo l’Appello della
Trattativa Stato-mafia. Ma lo schema-tipo sono le udienze di giugno annullate a
Milano nel processo Eni-Nigeria: requisitoria nella solita aula no, perché le
norme anti-virus non fanno stare tutti; l’aula-bunker neanche, perché (sebbene
per tutto giugno vi siano prenotati processi) il pm non si sente rassicurato
dal ricircolo dell’aria; un po’ in aula e un po’ a distanza su Teams nemmeno,
perché gli avvocati vogliono ascoltare di persona; il cortile all’aperto è un
miraggio del pm. Persino ormai più dell’impronunciabile parola — amnistia — che
inizia a essere usata dal presidente del Tribunale di Pavia: «Prosciugato
l’arretrato in 5 anni, ora per andare in pari calcolo 3 anni: l’amnistia, per
quanto impopolare, è una necessità». «A costo — concorda su Avvenire il
procuratore aggiunto di Torino, Paolo Borgna — di provocare, oggi, qualche
piccola ingiustizia che servirà però a evitare, domani, più gravi e generali
ingiustizie».
Fonte: di Luigi Ferrarella/ Corriere della
Sera/ 22 maggio 20
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