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lunedì 1 giugno 2020






Due Boccacceschi episodi accaduti a Sessa Aurunca nel 1955 e 1959 al vaglio della giustizia

Uno rapinava l’amante della moglie pistola in pugno nel talamo domestico mentre i due amoreggiavano.
L’altro era un “menage a trois” con botte finite in tribunale

Sessa Aurunca – Essere accusato di rapina, nei confronti dell’amante della moglie (pare che fosse non solo consenziente ma addirittura agevolava la relazione amorosa) non è un fatto di tutti i giorni. Non solo, ma le modalità del reato, ed il contesto nel quale si è realizzato lasciano ancora più perplessi anche i navigati di cronaca come chi scrive. Mario Vecchi di anni 42, nato a Roma ma residente da tempo a Sessa Aurunca, con vari precedenti penali: furto, estorsione, frode, ricettazione, minaccia con arma, lesioni volontarie, il 15 giugno del 1955 venne tratto in arresto per rapina ed accusato di aver sottratto, pistola in pugno la somma di lire 150 mila in contanti all’amante della moglie Eva Cardiani - mentre era in intimo colloquio con lo stesso il commendatore Tommaso Di Gennaro, gestore della locale Esattoria Comunale. Ma il “nostro” si era già reso protagonista di altro episodio boccaccesco. Nel marzo del 1955 aveva costretto l’esattore Di Gennaro – mediante la minaccia di rilevare ai carabinieri la sua relazione con la propria moglie – ad avallare presso la Filiale del Banco di Napoli cambiali per vari milioni di lire. Nella notte successiva non contento della firma di avallo aveva minacciato Tommaso Di Gennaro con una pistola davanti alla moglie (mentre i due erano in intimo colloquio) di farsi rilasciare un assegno di lire 500 mila.  Il 27 giugno del 1955 Tommaso Di Gennaro, esattore comunale di Sessa Aurunca denunciava alla Procura di Santa Maria Capua Vetere, Mario Vecchi per i reati di rapina aggravata ed estorsione continuata aggravata in suo danno.
Il nostro direttore con il sen.avv. Pompeo Rendina 


Riferiva nel suo esposto di avere da circa sei anni – essendo rimasto vedovo – allacciata relazione intima con tale Eva Cardiani. Il Vecchi, marito di costei – a conoscenza sin dal principio di tale relazione, non aveva esitato, da vero avanzo di galera qual era ad estorcergli continuamente delle somme minacciando scandali e denunzie all’arma dei carabinieri con continue lettere minatorie. La notte del 14/15 giugno – chiariva il Di Gennaro nel corso dei suoi interrogatori – mentre si trovava in intimo colloquio con la moglie del Vecchi - era improvvisamente comparso nella camera da letto ed impugnando con una mano una torcia elettrica e con l’altra un’arma corta da fuoco gli aveva sottratto dal portafogli – sotto la minaccia  di bruciargli le cervella – la somma di lire 109 mila e lo aveva costretto a rilasciargli un assegno di lire 500 mila di cui esso Di Gennaro era riuscito ad impedire il pagamento  bloccandolo presso la filiale del Banco di Napoli di Sessa Aurunca. Il Di Gennaro inoltre chiariva che il Vecchi ringalluzzitosi per la mancata denuncia era trasceso – non avendo potuto riscuote l’assegno – ad altra esplicita minaccia di morte nei suoi confronti per cui non gli restava che ormai ricorrere al presidio della giustizia.  Il 5 luglio del 1955 il Vecchi, rintracciato presso la locanda-trattoria di Nicola Orabona, dove dimorava dopo che la moglie lo aveva cacciato di casa viene tratto in arresto con mandato di cattura firmato dal Giudice Istruttore  Alessandro Mancini, che gli contesta i reati di “estorsione, rapina, minaccia, porto abuso di pistola”. 



La complessa e delicata istruttoria con le testimonianze di chi sapeva della tresca


Sessa Aurunca – In seguito alla denuncia presentata dal Di Gennaro il mar. Marco Sommella e il brig. Alceste Priolo, della locale Stazione  iniziarono l’indagine. Il 4 luglio del 1955 i primi ad essere interrogati furono il vigile urbano Vincenzo Quintiliano, abitante alla Via Landi n°1 e il vigile notturno Vincenzo Binario, abitante in via San Leo n° 1. I due confermarono di aver passeggiato con il Di Gennaro che aveva loro confessato l’aggressione notturna.  Tommaso Grizzo, 78 anni, carrettiere, abitante invia San Nicola 18, padre della donna confermò la circostanza della notte di tregenda. Eva Cardiani, una bellezza non rara a Sessa a domanda rispose:”Nel dicembre 1939 ho contratto matrimonio con Mario Vecchi stabilendomi con lui a Gaeta. Io e mio marito siamo giunti a Sessa Aurunca nel 1943 da sfollati in quanto la casa in cui abitavamo a Gaeta andò distrutta a causa degli eventi bellici. A Sessa ci stabilimmo nella casa di tale Teodoro Pirro, in via San Nicola 18.  Risultava infatti che il Vecchi avesse acquistato presso l’armeria di Carmine Musella, alla via XXI Luglio, una pistola calibro 6,65. Il Vecchi dopo l’acquisto della pistola era andato dai carabinieri per denunciarla ma gli fu risposto che non poteva tenerla perché lui dimorava temporaneamente presso una locanda-affittacamere quella di Nicola Orabona e non era un vero e proprio domicilio.

Ma dalle successive indagini – come in una fction o un legal thriller - il Vecchi aveva messo a segno il suo colpo nella nottata con una pistola giocattolo che dopo pochi giorni dal fatto aveva regalato ad un bambino della frazione Cupa, tale Antonio Melucci. La pistola-giocattolo fu infatti sequestrata presso il domicilio del bambino. L’aveva acquistata, 2/3 giorni prima, nel negozio di Quirino Rocco da Sessa Aurunca. Mario Vecchi, però, successivamente  si reca presso l’armeria Musella ed acquista una pistola vera. Poi tenta il ricatto con una lettera anonima firmata falsamente con un nome: Mimì. I carabinieri rintracciarono un certo Domenico Pepe, barbiere, detto Mimì, da Brusciano di Napoli, ma che aveva una sorella sposata a Sessa.  La pistola “vera” fu sequestrata nella locanda Orabona, sotto il letto del Vecchi, carica con 7 pallottole innescate e altre 6 di riserva. Il Vecchi aveva tentato di incassare l’assegno il mattino del 22 giugno recandosi a Roma presso una filiale del Banco di Napoli ma non era riuscito ad incassare la somma. Ritornato di fretta a Sessa aveva appreso che l’assegno era stato bloccato per cui lui avevo scritto una lettera con la quale simulava che a fronte delle 109 mila lire oltre l’assegno di mezzo milione di lire aveva rilasciato pari importo di cambiali perché si era trattato di un “prestito” grazioso…! Il Di Gennaro addirittura aveva accondisceso firmando per avallo gli effetti.



La condanna fu ad anni 6 di reclusione ed a pena espiata ad un anno di vigilanza.


Santa Maria Capua Vetere - Con sentenza del 20 dicembre del 1955 il Giudice Istruttore, su conforme richiesta del pubblico ministro, ordinava il rinvio al giudizio del Mario Vecchi per i reati di rapina, estorsione e porto abusivo di arma. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Ugo Del Matto; pubblico ministero, Gennaro Calabrese), con sentenza del 1956, condannava Mario Vecchi, di anni 42, nato a Roma, ma residente a Sessa Aurunca, ad anni 6 di reclusione ed a pena espiata ad un anno di vigilanza. Nel merito la Corte di Assise osservava: “Appare chiaro attraverso le risultanze processuali come l’imputato solito vivere tra una carcerazione e l’altra una vita di espedienti, avesse finito con accettare la relazione intima che durante la sua ultima permanenza in carcere, la moglie Eva Cardiani – di altrettanta poca moralità – aveva  alcuni anni or sono allacciata con l’esattore comunale di Sessa Aurunca, il vedovo Di Gennaro, compiacentemente interessatosi di un pignoramento contro di lei intrapreso. Il Vecchi non appena dimesso dal carcere, non si fece scrupolo di visitare addirittura il Di Gennaro frequentatore abituale armai della sua casa coniugale e quasi convivente con sua moglie ed il suo giovanissimo figlio; anzi stabilì con lui dei rapporti amichevoli e non mancò più tardi fors’anche spinto dalla moglie – a chiedergli in prestito qualche piccola somma che non gli venne negata a causa della stessa situazione venutasi a creare”.

Nel merito i giudici esclusero l’estorsione e ritennero che le somme erano state sempre prestiti e che l’avallo era stato addirittura suggerito dal Di Gennaro. Il Vecchi risultava che effettivamente stava cercando di comprare il “Leoncino” e una macchina taglia-tufo e addirittura acquisendo una cava per lo sfruttamento tanto è vero che si recò a Civitavecchia per versare un acconto per l’acquisto della macchina.   La sentenza veniva appellata e la Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza del 15 maggio 1956, confermava il verdetto di primo grado e la Corte di Cassazione rigettava il ricorso. Gli avvocati impegnati furono: Pompeo Rendina, Antonio Giordano e Vittorio Verzillo.


Lei non voleva perdere un ospite giovane e molto generoso che poteva anche sostituire il marito…

L’altro incredibile “ménage” a tre fu rievocato dinanzi al Tribunale ove due coniugi, Francesco e Concetta Buonamano, comparvero perché imputati, il marito di istigazione alla prostituzione e sfruttamento e la moglie di violazione degli obblighi di assistenza e violenza contro uno dei suoi due figlioli. I fatti che determinarono lo strano caso accaddero nel comune di Sessa Aurunca ove un ingegnere, Elia Mazzucco, addetto alla realizzazione della centrale nucleare Garigliano (costruita in quattro anni:1959,1963 - dalla SENN, Società Elettronucleare Nazionale, su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi, e ha iniziato la produzione di energia elettrica nell’aprile del 1964) in cerca di una camera ammobiliata, fu accolto con entusiasmo in casa del Buonamano: “Vedrete - gli disse il capo dell’ospitale famiglia - che da noi vi troverete bene”. E con stupore del neo-inquilino gli sistemò un soffice letto proprio nella sua camera matrimoniale ove il Mazzucco, col consenso del marito e della moglie, dormì insieme ad essi per ben due anni. Come si dice a Napoli “a lietto stritte cuccate mieze” e così fece il baldo giovanotto, facendo tra l’altro del suo meglio per accontentare, sia il marito, con generosi compensi e sia la moglie, con frequenti e gratificanti prestazioni sessuali. Se non ché un giorno, trascorsi due anni nella non comune situazione, un figliolo dei Buonamano, Pietro, avendo notato quanto singolare fosse la condizione dell’inquilino alloggiato nella camera matrimoniale dei genitori, protestò chiedendo che si ponesse fine ad un tale stato di cose. Ne nacque una lite e la più furente fu proprio la donna. La lite con il figliolo fu violenta e Concetta Buonamano, dinanzi alla prospettiva di perdere un ricco mensile e un marito di “ricambio”, impugnò una scure, colpendo però il figlio con il solo manico. I giudici, dopo avere udito l’abile arringa dell’Avv. Giuseppe Irace, difensore di entrambi coniugi, furono clementi: al marito furono comminati due anni di reclusione, mentre il reato della donna fu dichiarato estinto per amnistia.







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