Due Boccacceschi
episodi accaduti a Sessa Aurunca nel 1955 e 1959 al vaglio della giustizia
Uno rapinava
l’amante della moglie pistola in pugno nel talamo domestico mentre i due
amoreggiavano.
L’altro
era un “menage a trois” con botte finite in tribunale
Sessa
Aurunca – Essere
accusato di rapina, nei confronti dell’amante della moglie (pare che fosse non
solo consenziente ma addirittura agevolava la relazione amorosa) non è un fatto
di tutti i giorni. Non solo, ma le modalità del reato, ed il contesto nel quale
si è realizzato lasciano ancora più perplessi anche i navigati di cronaca come
chi scrive. Mario Vecchi di anni 42,
nato a Roma ma residente da tempo a Sessa Aurunca, con vari precedenti penali: furto,
estorsione, frode, ricettazione, minaccia con arma, lesioni volontarie, il 15
giugno del 1955 venne tratto in arresto per rapina ed accusato di aver
sottratto, pistola in pugno la somma di lire 150 mila in contanti all’amante
della moglie Eva Cardiani - mentre
era in intimo colloquio con lo stesso il commendatore Tommaso Di Gennaro, gestore della locale Esattoria Comunale. Ma il “nostro” si era già reso protagonista di
altro episodio boccaccesco. Nel marzo del 1955 aveva costretto l’esattore Di
Gennaro – mediante la minaccia di rilevare ai carabinieri la sua relazione con
la propria moglie – ad avallare presso la Filiale del Banco di Napoli cambiali
per vari milioni di lire. Nella notte successiva non contento della firma di
avallo aveva minacciato Tommaso Di Gennaro con una pistola davanti alla moglie
(mentre i due erano in intimo colloquio) di farsi rilasciare un assegno di lire
500 mila. Il 27 giugno del 1955 Tommaso
Di Gennaro, esattore comunale di Sessa Aurunca denunciava alla Procura di Santa
Maria Capua Vetere, Mario Vecchi per i reati di rapina aggravata ed estorsione
continuata aggravata in suo danno.
Il nostro direttore con il sen.avv. Pompeo Rendina |
Riferiva nel suo esposto
di avere da circa sei anni – essendo rimasto vedovo – allacciata relazione
intima con tale Eva Cardiani. Il Vecchi, marito di costei – a conoscenza sin
dal principio di tale relazione, non aveva esitato, da vero avanzo di galera
qual era ad estorcergli continuamente delle somme minacciando scandali e
denunzie all’arma dei carabinieri con continue lettere minatorie. La notte del
14/15 giugno – chiariva il Di Gennaro nel corso dei suoi interrogatori – mentre
si trovava in intimo colloquio con la moglie del Vecchi - era improvvisamente
comparso nella camera da letto ed impugnando con una mano una torcia elettrica
e con l’altra un’arma corta da fuoco gli aveva sottratto dal portafogli – sotto
la minaccia di bruciargli le cervella –
la somma di lire 109 mila e lo aveva costretto a rilasciargli un assegno di
lire 500 mila di cui esso Di Gennaro era riuscito ad impedire il pagamento bloccandolo presso la filiale del Banco di
Napoli di Sessa Aurunca. Il Di Gennaro inoltre chiariva che il Vecchi
ringalluzzitosi per la mancata denuncia era trasceso – non avendo potuto
riscuote l’assegno – ad altra esplicita minaccia di morte nei suoi confronti
per cui non gli restava che ormai ricorrere al presidio della giustizia. Il 5 luglio del 1955 il Vecchi, rintracciato presso
la locanda-trattoria di Nicola Orabona,
dove dimorava dopo che la moglie lo aveva cacciato di casa viene tratto in
arresto con mandato di cattura firmato dal Giudice Istruttore Alessandro
Mancini, che gli contesta i reati di “estorsione, rapina, minaccia, porto
abuso di pistola”.
La
complessa e delicata istruttoria con le testimonianze di chi sapeva della
tresca
Sessa
Aurunca – In seguito
alla denuncia presentata dal Di Gennaro il mar. Marco Sommella e il brig. Alceste
Priolo, della locale Stazione iniziarono l’indagine. Il 4 luglio del 1955 i
primi ad essere interrogati furono il vigile urbano Vincenzo Quintiliano, abitante alla Via Landi n°1 e il vigile
notturno Vincenzo Binario, abitante
in via San Leo n° 1. I due confermarono di aver passeggiato con il Di Gennaro
che aveva loro confessato l’aggressione notturna. Tommaso
Grizzo, 78 anni, carrettiere, abitante invia San Nicola 18, padre della
donna confermò la circostanza della notte di tregenda. Eva Cardiani, una bellezza non rara a Sessa a domanda rispose:”Nel dicembre 1939 ho contratto matrimonio
con Mario Vecchi stabilendomi con lui a Gaeta. Io e mio marito siamo giunti a Sessa
Aurunca nel 1943 da sfollati in quanto la casa in cui abitavamo a Gaeta andò
distrutta a causa degli eventi bellici. A Sessa ci stabilimmo nella casa di
tale Teodoro Pirro, in via San
Nicola 18. Risultava infatti che il
Vecchi avesse acquistato presso l’armeria di Carmine Musella, alla via XXI Luglio, una pistola calibro 6,65. Il
Vecchi dopo l’acquisto della pistola era andato dai carabinieri per denunciarla
ma gli fu risposto che non poteva tenerla perché lui dimorava temporaneamente
presso una locanda-affittacamere quella di Nicola
Orabona e non era un vero e proprio domicilio.
Ma dalle successive
indagini – come in una fction o un legal thriller - il Vecchi aveva messo a
segno il suo colpo nella nottata con una pistola giocattolo che dopo pochi
giorni dal fatto aveva regalato ad un bambino della frazione Cupa, tale Antonio Melucci. La pistola-giocattolo
fu infatti sequestrata presso il domicilio del bambino. L’aveva acquistata, 2/3
giorni prima, nel negozio di Quirino
Rocco da Sessa Aurunca. Mario Vecchi, però, successivamente si reca presso l’armeria Musella ed acquista
una pistola vera. Poi tenta il ricatto con una lettera anonima firmata
falsamente con un nome: Mimì. I carabinieri rintracciarono un certo Domenico Pepe, barbiere, detto Mimì, da
Brusciano di Napoli, ma che aveva una sorella sposata a Sessa. La pistola “vera” fu sequestrata nella locanda
Orabona, sotto il letto del Vecchi, carica con 7 pallottole innescate e altre 6
di riserva. Il Vecchi aveva tentato di incassare l’assegno il mattino del 22
giugno recandosi a Roma presso una filiale del Banco di Napoli ma non era
riuscito ad incassare la somma. Ritornato di fretta a Sessa aveva appreso che
l’assegno era stato bloccato per cui lui avevo scritto una lettera con la quale
simulava che a fronte delle 109 mila lire oltre l’assegno di mezzo milione di
lire aveva rilasciato pari importo di cambiali perché si era trattato di un
“prestito” grazioso…! Il Di Gennaro addirittura aveva accondisceso firmando per
avallo gli effetti.
La condanna
fu ad anni 6 di reclusione ed a pena espiata ad un anno di vigilanza.
Santa
Maria Capua Vetere - Con
sentenza del 20 dicembre del 1955 il Giudice Istruttore, su conforme richiesta
del pubblico ministro, ordinava il rinvio al giudizio del Mario Vecchi per i
reati di rapina, estorsione e porto abusivo di arma. La Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Giovanni
Morfino; giudice a latere, Ugo Del
Matto; pubblico ministero, Gennaro
Calabrese), con sentenza del 1956, condannava Mario Vecchi, di anni 42,
nato a Roma, ma residente a Sessa Aurunca, ad anni 6 di reclusione ed a pena
espiata ad un anno di vigilanza. Nel merito la Corte di Assise osservava:
“Appare chiaro attraverso le risultanze processuali come l’imputato solito
vivere tra una carcerazione e l’altra una vita di espedienti, avesse finito con
accettare la relazione intima che durante la sua ultima permanenza in carcere,
la moglie Eva Cardiani – di altrettanta poca moralità – aveva alcuni anni or sono allacciata con l’esattore
comunale di Sessa Aurunca, il vedovo Di Gennaro, compiacentemente interessatosi
di un pignoramento contro di lei intrapreso. Il Vecchi non appena dimesso dal
carcere, non si fece scrupolo di visitare addirittura il Di Gennaro
frequentatore abituale armai della sua casa coniugale e quasi convivente con
sua moglie ed il suo giovanissimo figlio; anzi stabilì con lui dei rapporti
amichevoli e non mancò più tardi fors’anche spinto dalla moglie – a chiedergli
in prestito qualche piccola somma che non gli venne negata a causa della stessa
situazione venutasi a creare”.
Nel merito i giudici
esclusero l’estorsione e ritennero che le somme erano state sempre prestiti e
che l’avallo era stato addirittura suggerito dal Di Gennaro. Il Vecchi risultava
che effettivamente stava cercando di comprare il “Leoncino” e una macchina
taglia-tufo e addirittura acquisendo una cava per lo sfruttamento tanto è vero
che si recò a Civitavecchia per versare un acconto per l’acquisto della macchina. La sentenza veniva appellata e la Corte di
Assise di Appello di Napoli, con sentenza del 15 maggio 1956, confermava il
verdetto di primo grado e la Corte di Cassazione rigettava il ricorso. Gli
avvocati impegnati furono: Pompeo
Rendina, Antonio Giordano e Vittorio Verzillo.
Lei non voleva perdere un ospite
giovane e molto generoso che poteva anche sostituire il marito…
L’altro
incredibile “ménage” a tre fu
rievocato dinanzi al Tribunale ove due coniugi, Francesco e Concetta
Buonamano, comparvero perché imputati, il marito di istigazione alla
prostituzione e sfruttamento e la moglie di violazione degli obblighi di
assistenza e violenza contro uno dei suoi due figlioli. I fatti che
determinarono lo strano caso accaddero nel comune di Sessa Aurunca ove un
ingegnere, Elia Mazzucco, addetto
alla realizzazione della centrale nucleare Garigliano (costruita in quattro
anni:1959,1963 - dalla SENN, Società Elettronucleare Nazionale, su progetto
dell’ingegnere Riccardo Morandi, e ha iniziato la produzione di energia
elettrica nell’aprile del 1964) in cerca di una camera ammobiliata, fu accolto
con entusiasmo in casa del Buonamano: “Vedrete
- gli disse il capo dell’ospitale famiglia - che da noi vi troverete bene”. E con stupore del neo-inquilino gli
sistemò un soffice letto proprio nella sua camera matrimoniale ove il Mazzucco,
col consenso del marito e della moglie, dormì insieme ad essi per ben due anni.
Come si dice a Napoli “a lietto stritte
cuccate mieze” e così fece il baldo giovanotto, facendo tra l’altro del suo
meglio per accontentare, sia il marito, con generosi compensi e sia la moglie, con
frequenti e gratificanti prestazioni sessuali. Se non ché un giorno, trascorsi due anni nella non comune
situazione, un figliolo dei Buonamano, Pietro,
avendo notato quanto singolare fosse la condizione dell’inquilino alloggiato
nella camera matrimoniale dei genitori, protestò chiedendo che si ponesse fine
ad un tale stato di cose. Ne nacque una lite e la più furente fu proprio la
donna. La lite con il figliolo fu violenta e Concetta Buonamano, dinanzi alla
prospettiva di perdere un ricco mensile e un marito di “ricambio”, impugnò una
scure, colpendo però il figlio con il solo manico. I giudici, dopo avere udito
l’abile arringa dell’Avv. Giuseppe Irace,
difensore di entrambi coniugi, furono clementi: al marito furono comminati due
anni di reclusione, mentre il reato della donna fu dichiarato estinto per
amnistia.
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