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lunedì 1 giugno 2020






Per il 18 maggio Lombardi + 1
Fatto accaduto a Sant’ Angelo d’Alife  Il 23 settembre del 1954,
Andrea Lombardi  e Michele Ferrazzano furono accusati di “omicidio preterintenzionale aggravato” per avere  spinto  facendolo  cadere in un crepaccio  il giovane Giuseppe Petrucci


Sant’ Angelo d’Alife  Il 23 settembre del 1954, Andrea Lombardi, di anni 29 e Michele Ferrazzano, di anni 28 entrambi da Sant’ Angelo d’Alife, furono accusati di “omicidio preterintenzionale aggravato per avere compiendo atti idonei (era scritto nell’accusa) diretti a commettere il delitto di lesioni personali e ciò facendo cadere a terra con una spintonata e sferrandogli un calcio al fianco sinistro, cagionato per futili motivi derivanti dal fatto che la vittima frequentava la scuola la morte di Giuseppe Petrucci, di anni 15 per insufficienza renale causata dal rene sinistro con i traumi riportati”. Di concorso in omicidio furono accusati: Pasquale Pezzullo, Enrico Paone, Ernesto Pisaturo, Saverino Ricciardi, Antonio Palladino e Luigi Pisaturo.  Delitto avvenuto a Sant’Angelo d’Alife il 23 settembre del 1954. Nel dettaglio Lombardi e Ferrazzano erano accusati di omicidio preterintenzionale, gli altri di concorso. Il dr.  Mario Presta era accusato di aver cagionato la morte di Giuseppe Petrucci procedendo ad intervento chirurgico sul predetto; Antonio Palladino, invece, era accusato di aver aiutato Michele Ferrazzano, colpito di mandato di cattura per omicidio preterintenzionale a sottrarsi alle ricerche della polizia giudiziaria. Luigi Pisaturo, inoltre, doveva rispondere di aver ritardato la propria assistenza a Giuseppe Petrucci causandone la morte. Una vicenda che sconvolse letteralmente la tranquilla comunità matesina.   Il 23 settembre il giovane cessò di vivere nel proprio domicilio dove era stato trasportato alcuni giorni prima. Ma prima che il giovane morisse il comandante dei carabinieri di Alife si portò a casa del Petruccio raccogliendo, presente il padre, una dichiarazione secondo la quale il ragazzo era stato aggredito e percosso nei presi della casa colonica di tale Michele Melenchi da un gruppo di giovani e fece anche i nomi. I carabinieri svolsero nel frattempo indagini ed appurarono che il giorno precedente al ricovero sulla via Comunale della contrada “Melopiano” che mena a Sant’ Angelo d’Alife nel rincasare dal lavoro si era incontrato con alcuni giovani ed era stato malmenato con spintoni e calci da due di essi. Detti giovani identificati in Andrea Lombardi e Michele Ferrazzano. I due negarono di aver percosso il ragazzo pur precisando di averlo incontrato. Precisarono che essi procedevano in due gruppetti e scherzavano dandosi reciprocamente spintoni che costui era caduto nella cunetta della strada e bestemmiando i morti si era alzato ed afferrati dei sassi li aveva lanciati colpendo uno di loro, il Paone. Indi il Ferrazzano si era fatto vicino al Petruccio ed afferratolo per le mani lo aveva invitato a smetterla. Infine era intervenuto tale Ernesto Berti che aveva diviso i due ponendo fine alla lite. Il Berti precisò che - uscito dalla sua casa per recarsi in paese – aveva notato il Petrucci che piangendo e bestemmiando i morti lanciava sassi contro il gruppo di giovani formato dal Ferrazzano e dai suoi amici e il Ferrazzano staccatosi dai compagni e afferrato il Petrucci alle spalle per trattenerlo ed impedirgli di continuare a tirare le pietre. Tra i due era avvenuta una colluttazione al termine della quale il Pietrucci si era allontanato piangendo verso casa sua. Maria Cristina Petruccio riferì a sua volta di aver visto il Petruccio avviarsi verso casa e che aveva appreso da lui che suoi coetanei lo avevano picchiato. Ma c’era una prova inconfutabile: la parola del giovane – in fin di vita – che aveva riferito ai carabinieri che quella sera era stato apostrofato dal Lombardi con la frase: “Questo cafone”…e poi gli aveva dato una spinta facendolo precipitare nella cunetta sottostante che era piena di cespugli. Egli si era poi alzato e piangendo e bestemmiando aveva lanciato un sasso se non che il Ferrazzano gli si era avvicinato e gli aveva afferrato le mai, per farlo desistere e poi lo aveva stretto alla gola e infine gli aveva tirato un violento calcio al fianco sinistro facendolo cadere rovinosamente a terra. Alzatosi nuovamente era riuscito a stento ad allontanarsi dato il forte dolore che sentiva al fianco. Successivamente, ritornato a casa non aveva raccontato l’accaduto ai familiari e si era diretto in paese (forse armato) per vendicarsi personalmente contro Lombardi e Ferrazzano ma senza riuscire a trovarli.  La mattina seguente verso le 6,30 al ritorno dalla casa dello zio Mario Natale dove aveva pernottato aveva sentito bisogno di urinare ma si era accorto che urinava sangue. Impressionatosi aveva riferito la cosa al cognato Domenico Pisaturo, ma aveva taciuto allo stesso e poi anche agli altri familiari la lite della sera prima ed aveva spiegato il suo malessere raccontando – contrariamente al vero – di essere caduto dalla giumenta.




Il giovane aveva un solo rene… la scomparsa dell’organo non fu chiarita ma per gli inquirenti fu sottratta per depistare le indagini sulla morte


L’esame autoptico pose in evidenza che il cadavere presentava escoriazioni e assenze sia del rene sinistro che quello di destra. Il Procuratore della Repubblica procedette al sequestro presso l’Ospedale della cartella clinica con 3 pellicole radiografiche con relazione del radiologo Almerico Radice. I perito affermarono che il giovane era deceduto “per coma traumatico” dovuto ad insufficienza renale. L’asportazione dell’organo era stata quindi inutile. Ma con sorpresa di tutti i periti precisarono che il rene destro era assente per anomalie congenite o trovavasi fuori sede si che non era stato rinvenuto né nel secondo intervento operatorio né in sede di autopsia. Il mistero non fu mai chiarito. Successivamente venne accusato di omicidio colposo il medico Mario Presta di Piedimonte Matese. La mattina del 14 settembre del 1954 il Dr. Luigi Pisaturo presentò ai carabinieri di Alife un referto attestante che al giovane Giuseppe Petrucci da Sant’Angelo d’Alife erano state riscontrate una contusione alla regione renale con ematuria da sospetta lesione del rene e che il ferito aveva affermato di aver ricevuto un colpo contundente alla regione offesa. Nello stesso giorno il Petrucci venne ricoverato all’ospedale civile di Piedimonte Matese che fece pervenire ai carabinieri un referto a firma del Dr. Mario Presta uguale a quello del Dr. Pisaturo. Un successivo referto chiariva che era stato necessario sottoporre il giovane ad intervento chirurgico di esportazione del rene sinistro e che si era constatata che il rene presentava rottura della midollare e lacerazioni a livello dei calici.



Nel processo tenutosi innanzi la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere furono condannati Ferrazzano ad anni 7, Presta a 6 mesi e Palladino ad 1 anno.  

                               

Santa Maria Capua Vetere - Iniziatosi l’istruzione con il rito formale veniva contestato con mandato di cattura al Lombardi e al Ferrazzano il delitto di omicidio preterintenzionale aggravato dal futile motivo e con mandato di comparizione a Pasquale Pezzullo, Enrico Paone, Severino Ricciardi e Ernesto Pisaturo il concorso nel delitto. Il Lombardi tratto in arresto e gli altri citati confermarono quanto dichiarato ai carabinieri. In effetti i giovani si giustificarono adducendo il fatto che stavano giocando caracollandosi l’uno sull’altro e che il Paone aveva dato una spinta al Ferrazzano e questi aveva urtato il Lombardi che a sua volta aveva urtato il Petruccio che era così scivolato nella cunetta sottostante. Veniva incriminato anche il Dr. Mario Presta ed accusato di omicidio colposo. Veniva anche accusato il Dr. Luigi Pisaturo per aver ritardato la presentazione del referto medico e Antonio Palladino per aver aiutato il Ferrazzano trattenendolo presso la propria masseria in Pignataro Maggiore per sottarlo al mandato di cattura. Ma la sentenza istruttoria fece falcidia: ordinò la scarcerazione del Lombardi per insufficienza di prove, del Dr. Luigi Pisaturo, Pasquale Pezzullo, Enrico Paone, Ernesto Pisaturo e Severino Ricciardi per non aver commesso il fatto e rinviò al giudizio della Corte di Assise per gli altri imputati. Si costituivano parte civile: Giovanni Petrucci (padre del giovane); Attilia Gilardi, (la madre) ed i fratelli Gaetano e Maria. Al termine dell’istruttoria dibattimentale il pubblico ministero chiese per Lombardi e Ferrazzano 9 anni di reclusione; sette mesi per il dr. Presta e un anno per Palladino. La sentenza fu di 7 anni per Ferrazzano e Lombardi confermando le altre richieste della pubblica accusa. La sentenza fu appellata i difensori chiesero l’assoluzione per non aver commesso il fatto (già chiesta in prime cure e non accolta). Non era emerso dalle indagini alcun serio elemento a carico degli accusati e pure ammessa l’esistenza del calcio la lesione al rene e la conseguente morte del Petrucci non possono farsi risalire al calcio stesso perciò – chiesero nei motivi di appello – assoluzione con formula dubitativa ancora più in subordine legittima difesa o quanto meno eccesso colposo e la provocazione. La tesi della Corte è antigiuridica perché il gruppo non lo si può valutare come un’entità inscindibile, tanto più che è nota l’attività di ciascun componente. Va pertanto concessa la predetta attenuante con riduzione delle pene al minimo. Al processo furono impegnati gli avvocati: Alberto Martucci, Alfonso Raffone, Ciro Maffuccini, Guido del Basso, Vittorio e Michele Verzillo, Antonio Giordano, Ettore Botti, Renato Orefice, Pasquale Di Gennaro e Nicola Cariota Ferrara. Nel processo tenutosi innanzi la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere furono condannati Ferrazzano ad anni 7, Presta 6 mesi e Palladino ad 1 anno.  







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