Tutti i retroscena del delitto di Katia Tondi nel libro "VITTIME, ASSASSINI & PROCESSI"
IL GIALLO NEL GIALLO
IL GIALLO DEL NUOVO DIFENSORE
DI
EMILIO
LAVORETANO
A distanza di un
anno dalla sentenza di primo grado della Corte di Assise di Santa Maria Capua
Vetere che lo condannò a 27 anni di reclusione per l’omicidio della moglie,
Emilio Lavoretano affronterà a breve il processo di secondo grado davanti alla
Corte di Appello di Napoli. L’udienza è fissata a gennaio del prossimo anno.
L’ex gommista di Santa Maria Capua Vetere è accusato del delitto di sua moglie
Katia Tondi, la giovane mamma di 31 anni trovata strangolata nell’appartamento
coniugale di San Tammaro il 20 luglio del 2013. Quello di Katia Tondi è stato
un omicidio commesso nel più totale silenzio, senza essere accompagnato da
litigi, grida o trambusti tanto da non destare nemmeno l’attenzione di due cani
Pincher di proprietà di una vicina di casa (anche lei sentita in aula nel corso
del dibattimento) che solitamente abbaiavano al minimo rumore e, quindi,
apparentemente premeditato. Secondo l’accusa e la relazione dei periti, Katia
Tondi sarebbe stata strangolata (mai trovato l'oggetto utilizzato per
ucciderla) tra le 18 e le 19 del 20 luglio, in un arco temporale, in cui -
secondo l'accusa - Lavoretano era in casa e avrebbe ucciso d'impeto la moglie.
Nel corso del lungo dibattimento sono stati
tanti gli scontri tra accusa e difesa e molti contrasti su movente e dinamica
sono emersi nonostante l’intervento di periti e consulenti e superperiti.
Qualche mese fa per Lavoretano, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua
Vetere, si è pronunciata anche la Cassazione in relazione ad una istanza di
scarcerazione negata dal Tribunale del Riesame, decisione confermata dagli
ermellini.
(
Fonte: Biagio Salvati / Il Mattino on line )
Alto
Tradimento
Poche parole per
raccontare questo episodio che io definisco “Alto Tradimento”.
Ho vissuto tutta
la vicenda del delitto di Katia Tondi. L’unico tassello che manca alla mia
memoria è il volto dell’assassino… “nel momento in cui strangola la povera
Katia”… Per il resto ho seguito le indagini.
Ho sentito le
deposizioni dei periti e dei consulenti. Intervistato i testimoni. Ho seguito
le trasmissioni tv: da “Chi l’ha visto?” a “La Vita in Diretta”.
Mi sono
confrontato con i colleghi: Mura, Locatelli, Salvati, Nettuno che hanno seguito
- come me - per le loro testaste tutte le fasi del processo in Corte di
Assise. Udienze
lunghe, snervanti, a volte noiose, a volte con improvvisi colpi di scena
eclatanti.
Ho ascoltato la
requisitoria della Pubblica accusa del piemme Domenico Musto (calorosa,
documentata, appassionante). Alle suppliche degli avvocati della privata
accusa.
Ho vissuto (e
sofferto) i palpiti esuberanti e l’impegno profuso dall’accorata difesa
dell’avvocatessa Natalina Mastellone.
Ero presente ed ho
colto la drammaticità del momento allorquando il presidente Napoletano ha letto
il verdetto di condanna.
Ho riportato
l’arresto di Emilio Lavoretano, scrivendo in quella occasione che “lui non era
il carnefice della moglie”. Sono stato, insomma, innocentista della prima ora,
anche perché le argomentazioni del criminologo Carmelo Lavorino mi avevano
convinto.
Oggi, settembre 2020,
apprendo che la Suprema Corte ha rigettato perché “improponibile” o
“inammissibile” il ricorso presentato contro l’arresto del Lavoretano.
Radio carcere ha
trasmesso la notizia secondo la quale lui avrebbe nominato un nuovo avvocato
revocando chi lo aveva difeso con tanto amore… “quasi materno”.
Apprendo che
l’appello vedrà sullo scranno difensivo un altro personaggio.
Questo - per me -
è un atto di “Alto Tradimento”.
Forse Emilio nel
carcere si è fatto convincere che anche chi è colpevole può essere assolto?
Forse lui non sa che non dipende dal difensore (spesso un paglietta che gode
prestigio tra i detenuti) bensì dal giudice il ribaltamento della sentenza!
Forse lui non sa
che la “giustizia è un’opinione” (come ha più volte affermato Giuseppe
Garofalo… “uno che di processi se ne intende”)… forse Emilio
non sa (i compagni
di cella non glielo hanno detto?) che si può essere condannati o assolti con le
stesse prove?
Dipende dal
convincimento del magistrato e non dalla bravura dell’avvocato che molti
magistrati considerano addirittura “un fastidio” per il processo.
Lui ha sbagliato
strategia. Doveva confessare e scegliere il rito dello sconto del terzo della
pena.
Da incensurato
avrebbe scontato 5/6 anni di carcere. Considerato che si possono ottenere i
benefici dopo aver scontato un terzo della pena.
Parolise docet!
(Brano tratto dal
libro “Vittime, Assssini, Processi” dalla pagina 434 alla pagina 469/ e alla
pagine 523 / e 576) in vendita presso
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Spartaco – Santa Maria Capua Vetere / Cartolibreria L’Angolo – Santa Maria
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