Intervista a Roberto Saviano
I buoni propositi per il 2021
Due mesi fa ero in tribunale a Roma, per le minacce
del boss dei Casalesi Bidognetti e dell’avvocato Michele Santonastaso. C’era
Beppe Giulietti, ma nessun collega o amico.
Quando hai 16
anni credi di poterti realizzare attraverso le tue parole. Ascoltavo Dario Fo a
Santa Maria Capua Vetere ne Lu santu jullare. Ero uno dei tanti a entrare
gratis. Prima dello spettacolo Fo urlava: ‘Chi ha dimenticato il biglietto?
Dai, entrate tutti…’.
C’è
quello che accade quando guardiamo una nostra fotografia da adolescente. Ci si
riconosce ma solo nell’aspetto. I lunghi capelli ramati, le camicie fuori dai
pantaloni… così Roberto Saviano si rivede in quel 16enne fuori dal liceo Diaz
di Caserta. E così lo rivediamo noi all’inizio e alla fine di Gridalo, il suo
ultimo libro, il più personale. Un viaggio in cui a saldarsi sono i destini di
quel ragazzo oggi uomo e del nostro presente, grazie a “testimoni” quali
Giordano Bruno, Pasolini, George Floyd, Jamal Khashoggi, in “un dialogo
ispirato al più sacro dei dialoghi: l’opera di Platone”. Perché “conoscere le
strade può far comodo”, specie se “il tracciato è in salita, col sole contro” e
l’aria manca dentro ai polmoni.
Gridalo
nasce come mappa ‘per inciampare’, per mostrare ‘cosa non ha funzionato’.
Quel ragazzo fuori dal liceo, col
poster di Majakovskij in camera e la locandina del Camorrista in bella vista,
era convinto che la dinamica tra bene e male, tra mondo sano e corruzione fosse
chiara. Non è stato così. Se dovessi incontrare quel ragazzo oggi, cosa gli
direi? Qui nasce il libro.
Cosa
gli diresti?
Che è impossibile non fare errori.
E che non ci sono scorciatoie, ma può esserci consapevolezza, se decidi di
esporti. ‘Vi lascio in eredità tutte le mie paure’, scriveva Reinaldo Arenas,
dissidente cubano. Nel libro c’è questo. E c’è il desiderio di capire come sono
arrivato fin qui. In parte, grazie alle mie ossessioni.
‘Vai e insegui il sogno fino in fondo al cunicolo’, scrivi.
Da bambino, quando venivano i
parenti dal Nord, non sapevo condurli negli angoli turistici della mia città.
Preferivo far osservare loro la guerra che vivevo, le macchie di sangue
sull’asfalto, le madri dei morti, gli altari improvvisati… Mia madre non era
contenta. Ma avevo bisogno di ‘gridarlo’. Gomorra nasceva da questo, oltreché
dall’imprudenza. Quando hai 16 anni credi di poterti realizzare attraverso le
tue parole. Ascoltavo Dario Fo a Santa Maria Capua Vetere ne Lu santu jullare.
Ero uno dei tanti a entrare gratis. Prima dello spettacolo Fo urlava: ‘Chi ha
dimenticato il biglietto? Dai, entrate tutti…’. Stavo sotto al palco con le
gambe incrociate e mi dicevo: ecco il potere della parola. Con la parola –
pensavo – avrei cambiato le cose. Non è stato così.
Bilancio
amaro…
Il rischio è il cinismo. Una
sconfitta, la controfirma dei rapporti di potere esistenti. Le storie di
Gridalo servono anche a questo, come terapia.
Quali
non sono entrate?
I ragazzi della Rosa Bianca in
Germania, García Lorca, Ján Kuciak. Ho scelto le storie incentrate sul rischio
della parola, come la ‘favola nera’ di Kashoggi. Chi sceglie, per non cedere al
ricatto, la propria condanna a morte. E schiaccia anche i suoi cari.
Tua
madre nel libro torna spesso.
Ho un grande senso di colpa verso i
miei familiari. Non solo per la paura per l’incolumità fisica. Ci sono gli
attacchi, la delegittimazione, la ridicolizzazione perenne che devono subire.
Come
la revoca della cittadinanza onoraria veronese…
Goebbels, a cui dedico un capitolo,
è stato il primo teorico della propaganda di questo tipo: mai parlare del tema
del tuo nemico/avversario, parla sempre del tuo nemico/avversario. Con Salvini
al governo, l’ho vissuto in modo maniacale. Ero un bersaglio continuo. Per il
mio discorso sulle ong, hanno picchiato così forte che diversi colleghi
dicevano: ‘Io parlo con i miei film’, ‘Parlano le mie canzoni’… Così risponde
chi ha paura a opporsi. È una codardia legittima. E per certi versi la invidio,
hai una vita più facile. Prendendo parte perdi lettori, e serenità.
Qualcuno
ti ha deluso?
Due mesi fa ero in tribunale a
Roma, per le minacce del boss dei Casalesi Bidognetti e dell’avvocato Michele
Santonastaso. C’era Beppe Giulietti, ma nessun collega o amico. Non mi lamento,
però dici: ‘Wow, l’aula è vuota’. È la delusione dei prossimi, di chi senti più
vicino…
Potresti
aver sbagliato qualcosa tu?
Mi rimprovero, rispetto alle
amicizie di un tempo, di non aver fatto ‘manutenzione degli affetti’ direbbe
Antonio Pascale. In generale, al di là delle cagate che dicono, ho fatto una
vita ‘disciplinata’. Ed è un problema, non un vanto. Spero ancora di rifarmi…!
Le figure che racconto nel libro mica sono vergini che si sottraggono alla
vita. Fanno guai enormi!
‘Non occorre essere santi per lottare’, scrivi.
Eppure quando qualcuno alza la voce
per ottenere giustizia c’è chi insinua un tornaconto personale. La
delegittimazione è una macchina mortale, di cui si nutre soprattutto il
giornalismo: non si vende più, il lettore cerca sensazione, nulla è meglio del
gossip. Quando i giornali diventano poi la bacheca di Facebook che riporta solo
la tua bolla, muore tutto. Sei schiavo dell’algoritmo.
L’accusa
più infamante?
Forse il dire che ho fatto i soldi
sputtanando Napoli… Fa il paio con l’altra cazzata dell’attico a Manhattan. Mi
riecheggia Solženicyn: ‘Quando la democrazia in un Paese ha problemi,
l’opposizione la fanno gli scrittori’. Era già successo con Berlusconi. Salvini
non ha fatto altro che scegliersi l’opposizione più ‘dinamica’.
Non
pare gli sia andata bene.
Il grandissimo errore populista è
stato quest’estate: hanno urlato al regime sanitario, millantando che sul virus
si stesse esagerando, che la mascherina fosse inutile. Hanno perso credibilità:
hanno sbagliato tutto.
Nel
libro omaggi Giorgio La Pira: ‘C’è un momento in cui gridare è il solo dovere’.
La Pira, così caro a Renzi e a Conte…
Oggi è facile dichiararsi
lapiriani, era difficile allora. La Pira creava scandalo con la sua visione
socialista nella fede, era un resistente. E il silenzio – ci dice – porta
all’immobilità. Noi stiamo lasciando il grido a complottisti e populisti, a chi
sbraita e insulta, dimenticando la possibilità e la volontà di opporre un mondo
altro.
Viviamo
in un mondo in cui tutti gridano, però.
Tutti gridano… ma gridano
stronzate. Io – voglio citare di nuovo Arenas – ‘grido quindi sono’. E sono qui
a pretendere di ricordarti chi sono. Non si tratta di essere ottusamente
estremisti. Giordano Bruno quando comprende che negoziare comprometterebbe i suoi
valori non abiura. Quando il Pd dichiara di non voler finanziare la Guardia
costiera libica, ma per ragioni di Stato poi vota sì, quello non è mediare, è
compromettersi. Quando si vendono le fregate all’Egitto senza pretendere un
processo per Giulio Regeni… A quel 16enne fuori dal liceo dico: essere maturi
non significa accettare e assecondare. Non significa arrendersi alla verità per
cui è tutta la stessa chiavica.
Gomorra
si chiudeva con un grido. Gridalo con la mancanza di ossigeno.
È una buona metafora per il nostro
tempo. L’ossigeno che manca ai migranti che affogano nel Mediterraneo, alle
persone gasate in Siria, a George Floyd… E poi c’è il Covid. Mai come ora per
gridare devi avere ossigeno, ma l’ossigeno ci sta mancando.
Vedere
l’ingiustizia aumenta però la resistenza. Gridalo finisce con una consegna per
il lettore. Che dire per il 2021?
Luigi Pintor scriveva: ‘Azione è
uscire dalla solitudine’. La mia consegna è: conoscere per agire e agire per
uscire dalla solitudine. Non voglio far evadere né confortare il lettore,
voglio vederlo prendere parte, sfidare la noia, superare la voracità di una
vita impossibile… per lanciarci, quando sarà, dagli scogli. E buttarci là dove
il mare è mare.
Fonte: di Maddalena Oliva/2 GENNAIO 2021/Il Fatto Quotidiano

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