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domenica 4 dicembre 2022

 

Gricignano, 1958, trovò la sorella abbracciata al fidanzato (soli in casa) e colpì con 5 coltellate il giovane riducendolo in fin di vita.  Il mistero della pistola della vittima. 

 




I carabinieri di Gricignano, al comando del maresciallo Augusto Petrachi,   inoltrarono all’autorità giudiziaria un dettagliato rapporto sul fatto del tentato omicidio e chiarirono che era stato ferito gravemente un giovane, all’epoca dei fatti,   28enne, tale Raffaele Barbato da parte di un altro giovane manovale, all’epoca dei fatti 22enne, Giovanni Cesaro. Il Barbato era stato prontamente ricoverato presso l’ospedale di Aversa e versava in imminente pericolo di vita in quanto era stato colpito selvaggiamente con diversi colpi di un grosso coltello, ( quello del tipo che i contadini usano per la pulizia degli alberi),  dal fratello della fidanzata, Giovanni Cesare con il quale era venuto a diverbio. Risultava anche che la giovane Anna Cesaro era incinta al quarto mese e che il Raffaele Barbato era in procinto di sposare la fidanzata per evitare uno scandalo di famiglia. Infatti egli aveva già prenotato una abitazione e l’aveva anche ammobiliata ed attendeva, per passare al matrimonio, sette devo per passare al matrimonio che fossero ultimate le pubblicazioni. Ricercato immediatamente Giovanni Cesaro ricercato sia nella  sua abitazione che nell’abitato di Gricignano non si riusciva rintracciarlo perché subito dopo il fatto si era reso irreperibile. I familiari del Cesaro facevano presente che essi non erano in casa al momento del fatto è che la figlia Anna, unica rimasta in casa, per la paura, era fuggita e non sapevano dove si trovava.  Intanto all’ospedale dell’Annunciata di Aversa si accertava che Raffaele Barbato aveva riportato una vasta ferita alla regione occipitale, con scollamento completo di tessuti molli; e un’altra ferita al braccio destro, con frattura esposta al terzo inferiore del braccio destro, ed una ferita da taglio con esportazione del pollice destro. Il tutto giudicate guaribili oltre il 40º giorno che data la gravità delle stesse il ferito era stato fatto proseguire per l’ospedale Cardarelli di Napoli ove restava ricoverato in imminente pericolo di vita. La prima ad essere interrogato fu la giovane Anna, fidanzata dell’attentatore,  la quale raccontò che si trovava sola in casa con il suo fidanzato ed approfittando dell’assenza di tutti i familiari si era abbracciata con il fidanzato, giunto improvvisamente il fratello Giovanni si mise a litigare con il Barbato, perché si era permesso di entrare in caso nonostante l’assenza dei genitori. Esso allo scoppiare della lite si era allontana per paura e non sapeva nulla delle ferite. Aggiunse inoltre la ragazza che essa era in stato interessante e che era fidanzata con il Barbato da circa 7 anni e che la sua condizione fisica però non era nota al fratello. Fu  accertato attraverso le deposizioni dei testi e dei molteplici confronti, che il Barbato per primo ebbe di impugnare la pistola  temendo forse la parte del Cesaro una giusta reazione per essere stato sorpreso da quest’ultimo in contatto carnale con la sorella Anna Cesaro. Secondo la difesa del  Cesaro – contrariamente a quanto prospettato dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta - non poteva  darsi credito all’ultima deposizione resa dal Cesaro al magistrato e dalla quale si riportava il pubblico ministero per sostenere l’accusa. E’ pur vero che si tratta della deposizione della sorella del Cesaro, ma non va dimenticato che si tratta di una donna che teme di pregiudicare la posizione dell’uomo al quale è legato da una  già lunga intima relazione, e che deve diventare suo marito,  come di fatto è diventato suo marito. E sempre riportandosi alla deposizione della Anna Cesaro – rintuzza ancora l’avvocato Ciro Maffuccini, difensore dell’aggressore - il pubblico ministero, giunge a negare   all’imputato lo stato di ira. Ingenuo ed assurdo al tempo stesso sarebbe ritenere non esservi stato l’amplesso carnale tra Anna Cesaro e il Barbato. Affermare quindi di essere alla base del fatto delittuoso, una diversa causale , e andare oltre la realtà dei fatti e dei motivi che sono alla base dell’episodio stesso.

Il Barbato era un prepotente: aveva sedotto la giovane e resa incinta. Per non essere condannato sposò poi la ragazza e risarcì il danno al fratello

 

Se il pubblico ministero – chiarisce ancora l’avvocato Maffuccini -  esclude l’ipotesi del tentato omicidio,  poiché mancherebbe la prova che si sarebbe agito nell’atto di scoprire la illecita relazione della sorella con il Barbato,  come può successivamente affermare che oltre furono le causali poste alla base del fatto delittuoso?  Su quali prove poggia il motivo dell’interesse? Di guisa che dovendo ritenere pacifico che l’attività delittuose del Cesaro scaturisce da un fatto improvviso, ne consegue che per l’episodio in esame, non si può adottare una decisione improntata ad un criterio rigorosamente restrittivo, in quanto oltre al profilo giuridico non va trascurato un motivo che è altamente umano:  la difesa dell’onore della famiglia. In effetti il tentativo degli avvocati difensori era quello tentate di scongiurare il rinvio al giudizio della Corte di assise per tentato omicidio e fargli riconoscere lo stato di legittima difesa o quantomeno per lesioni. Il Barbato,  che già offesa grave aveva arrecato alla onorabilità della famiglia Cesaro, assume ancora una volta un atteggiamento che è di grave offesa. E ci troviamo così, di fronte alla volontà aggressiva del Barbato da una parte, e dall’atteggiamento innocuo del Cesaro che si vede costretto a far uso dell’attrezzo di lavoro e la necessità di difendersi. Ne è superfluo ripetere che Cesare trovavasi intento al lavoro, così come dai testi tutti concordemente hanno affermato. È dunque il caso tipico della legittima difesa: il pericolo imminente per la propria incolumità, la reazione immediata, non s’proporzionata all’offesa subita. La posizione assunta dallo stesso Barbato; l’avvenuta riconciliazione, sono la riprova più ampia della innocenza del Cesaro.  “Non è quindi possibile -  ribadirono i difensori -  alla stregua di tali risultanze di rinviare il Cesaro alla Corte di assise per rispondere di tentato omicidio nei confronti del Barbato. Ed in subordine, qualora non si volesse concedere l’esimente della legittima difesa, quantomeno si chiarisce che trattasi di eccesso colposo di legittima difesa”. Raffaele Barbato,  interrogato dal magistrato dichiarava che verso le ore 16:00 del giorno otto in Gricignano, mentre si tratteneva dinanzi alla porta d’ingresso dell’abitazione di Anna Cesaro, sua fidanzata, per conversare con la medesima, era stato all’improvviso fatto segno di un’aggressione da parte del fratello della ragazza Giovanni, il quale, dopo essere rincasato di avere scambiato con lui i saluto, gli aveva vibrato diversi colpi con un coltello lungo oltre 30 centimetri ed infine lo aveva inseguito esplodendogli  un colpo di pistola. Egli non si era neppure reso conto dei motivi dell’aggressione ricordò che andava pienamente d’accordo con il Giovanni Cesaro che era consenziente al suo fidanzamento con la sorella che durava da ben otto anni che stava per concludersi con le nozze, fissate per il 26 aprile. Anna Cesaro  a sua volta riferiva ai carabinieri di Cesa che il fratello aveva ferito il Barbato dopo averlo sorpreso abbracciato con lei; e confermò quanto dichiarato da Barbato in ordine al loro fidanzamento e alle prossime nozze precisando altresì che lo stesso l’aveva resa incinta da quattro mesi, che però la circostanza non era nota al fratello. I verbalizzanti sentirono anche tali Pasquale Lucariello e Anna Della Gatta i quali dichiararono l’uno,  che il Barbato da lui accompagnato in ospedale gli disse  solo che era stato colpito dal Cesaro,  senza precisare per quale motivo;  l’altra, di aver visto subito dopo il fatto il Cesaro darsi alla fuga con una pistola in pugno. Anna Cesaro in un primo tempo confermava la dichiarazione resa ai carabinieri; ma successivamente negava di essere stato sorpresa dal fratello abbracciata con il Barbato. Sia la Anna Cesaro  che il Barbato affermavano poi che all’epoca dei fatti  erano già sposati al municipio; ma in verità dal certificato dello stato civile del Comune di Gricignano risultava che essi avevano contratto matrimonio solo in data 7 settembre del 1958.

L’imputato, tratto in arresto e il 30 gennaio del 59, raccontava che rincasando aveva trovato la sorella ed il fidanzato, in un corridoio retrostante le due stanze dell’abitazione, abbracciati,: la donna aveva le vesti sollevate e  l’uomo l’asta virile fuori dai pantaloni. Il Barbato  nel vederlo aveva impugnato una pistola e allora egli aveva preso un lungo coltello che era a terra nel corridoio e l’aveva affrontato tirandogli tre coltellate. Infine, il Barbato rimasto ferito aveva lasciato cadere la pistola e si era dato alla fuga.  ri Ed anche egli, raccolta l’arma del Barbato si era dato alla fuga. digito. Lo stesso inoltre affermava che ignorava che la sorella fosse incinta. Nel corso dell’istruttoria venivano sequestrati a richiesta della difesa dell’imputato, nella casa dello stesso il coltello con cui fu commesso il delitto (un coltellaccio a punta ricurva detto smarrazzola), una pistola Beretta calibro sette 65 con l’impugnatura scheggiata ed un dito pollice contenuto in una boccetta con l’alcol. I testi Luigi LetteraAnna Della GattaPasquale LucarielloPasquale Aquilante dichiaravano che erano accorsi in aiuto del Barbato ma non avevano udito spari di pistola. Amalia Cesaro,  vicina dell’imputato,  riferiva di avere appreso subito dopo il fatto che il Giovanni Cesaro aveva sorpreso il Barbato e la sorella mentre avevano rapporti intimi. Venivano escussi anche Felice Iorio,  Felice Colella e Adriana Colella. Costoro deponevano che il Barbato era uso ad impugnare la piccola scopa di minaccia. Il Barbato, già costituitisi  parte civile, in data 7 settembre 58,  dichiarava di recedere da detta costituzione.


Dal processo emersero fatti diversi dell’istruttoria. La mite condanna per il matrimonio riparatore e il risarcimento del danno ridotto a 1 un anno e 6 mesi la condanna finale -

 

Il fatto,  ritenne la Corte,  integri gli estremi del tentativo di omicidio a causa di onore, giacché il Cesaro agì  in stato di ira determinato in lui dalla scoperta della relazione carnale esistente tra la sorella e il Barbato, relazioni carnale illegittima essendo i due a quell’epoca solo fidanzati. Il pubblico ministero di udienza contestò l’applicabilità dello speciale articolo 587 del  codice penale sostenendo che il Cesaro non aveva diritto a tale scriminante per essere venuto a conoscenza della relazione, dato che la sorella, a seguito di rapporti intimi, era rimasta incinta ed era ormai al quarto quinto mese di gravidanza. Ma la Corte questa obiezione la respinse. “Lo stato di gravidanza, anche al quarto al quinto mese, può essere tenuto  celato all’occhio altrui; e che nella specie la Cesaro Anna abbia nascosto abilmente la sua condizione è confermato dalla circostanza che neppure le donne del vicinato, pur notando che essa negli ultimi tempi appariva un po’ ingrassata, avevano sospettato che fosse gravida. Inoltre Barbato e Anna Cesaro anche nelle due deposizioni in cui hanno accusato l’imputato non hanno mai detto che questi fosse a conoscenza dei rapporti intimi esplicitamente escluso ed  a conferma dell’ignoranza e della tresca  da parte dell’imputato sta anche che la stessa gravità dell’azione da lui compiuta la quale presuppone uno stato di estrema  indignazione che, mentre si spiega con la improvvisa scoperta della relazione intima, non potrebbe invece spiegarsi con la sorpresa in fragrante dei due fidanzati non avesse fatto che confermare la sua esistenza di una relazione intima  già note e tollerata.  In definitiva l’imputato venne condannato dalla Corte di assise (Prisco Palmiero, presidente;  Guido Tavassi; giudice a latere; Nicola Damiani,  pubblico ministero), per tentato omicidio  ad anni 2 di reclusione, con le attenuanti del risarcimento del danno e delle attenuanti generiche. In sede di appello la difesa addusse vari motivi tra i quali: …”La Corte ha irrogato all’imputato una pena eccessiva. Le modalità tutte del fatto, la considerazione che l’imputato, pur essendo venuto in possesso della pistola del Barbato, non ne fece uso, mostrando in tal modo una notevole capacità di autocontrollo; la gravità della provocazione subita, che costituiva un’offesa non solo per l’onore suo ma anche, e soprattutto per quello della sua famiglia, avrebbero dovuto indurre la Corte a partire dal minimo della pena. Le attenuanti concesse (generiche e del danno)  dovevano altresì essere concesse al medesimo considerazione di particolari motivi  relativi alla personalità dell’imputato e il suo comportamento successivo  e il delitto che lo determinarono”… . e così  la pena venne ridotta ad 1 anni e mesi 6. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini, Pasquale Farinaro, Generoso Iodice e Alfredo De Marsico

 

 


 

 

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