Gricignano,
1958, trovò la sorella abbracciata al fidanzato (soli in casa) e colpì con 5
coltellate il giovane riducendolo in fin di vita. Il mistero della pistola della vittima.
I carabinieri di
Gricignano, al comando del maresciallo Augusto
Petrachi, inoltrarono all’autorità giudiziaria un
dettagliato rapporto sul fatto del tentato omicidio e chiarirono che era stato
ferito gravemente un giovane, all’epoca dei fatti, 28enne, tale Raffaele Barbato da parte di un altro giovane manovale, all’epoca dei
fatti 22enne, Giovanni Cesaro. Il
Barbato era stato prontamente ricoverato presso l’ospedale di Aversa e versava
in imminente pericolo di vita in quanto era stato colpito selvaggiamente con
diversi colpi di un grosso coltello, ( quello del tipo che i contadini usano
per la pulizia degli alberi), dal
fratello della fidanzata, Giovanni Cesare con il quale era venuto a diverbio.
Risultava anche che la giovane Anna
Cesaro era incinta al quarto mese e che il Raffaele Barbato era in procinto
di sposare la fidanzata per evitare uno scandalo di famiglia. Infatti egli
aveva già prenotato una abitazione e l’aveva anche ammobiliata ed attendeva,
per passare al matrimonio, sette devo per passare al matrimonio che fossero
ultimate le pubblicazioni. Ricercato immediatamente Giovanni Cesaro ricercato
sia nella sua abitazione che
nell’abitato di Gricignano non si riusciva rintracciarlo perché subito dopo il
fatto si era reso irreperibile. I familiari del Cesaro facevano presente che
essi non erano in casa al momento del fatto è che la figlia Anna, unica rimasta
in casa, per la paura, era fuggita e non sapevano dove si trovava. Intanto all’ospedale dell’Annunciata di Aversa
si accertava che Raffaele Barbato aveva riportato una vasta ferita alla regione
occipitale, con scollamento completo di tessuti molli; e un’altra ferita al
braccio destro, con frattura esposta al terzo inferiore del braccio destro, ed
una ferita da taglio con esportazione del pollice destro. Il tutto giudicate
guaribili oltre il 40º giorno che data la gravità delle stesse il ferito era
stato fatto proseguire per l’ospedale Cardarelli di Napoli ove restava
ricoverato in imminente pericolo di vita. La prima ad essere interrogato fu la
giovane Anna, fidanzata dell’attentatore,
la quale raccontò che si trovava sola in casa con il suo fidanzato ed
approfittando dell’assenza di tutti i familiari si era abbracciata con il
fidanzato, giunto improvvisamente il fratello Giovanni si mise a litigare con
il Barbato, perché si era permesso di entrare in caso nonostante l’assenza dei
genitori. Esso allo scoppiare della lite si era allontana per paura e non
sapeva nulla delle ferite. Aggiunse inoltre la ragazza che essa era in stato
interessante e che era fidanzata con il Barbato da circa 7 anni e che la sua
condizione fisica però non era nota al fratello. Fu accertato attraverso le deposizioni dei testi
e dei molteplici confronti, che il Barbato per primo ebbe di impugnare la
pistola temendo forse la parte del
Cesaro una giusta reazione per essere stato sorpreso da quest’ultimo in
contatto carnale con la sorella Anna Cesaro. Secondo la difesa del Cesaro – contrariamente a quanto prospettato
dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta - non poteva darsi credito all’ultima deposizione resa dal
Cesaro al magistrato e dalla quale si riportava il pubblico ministero per
sostenere l’accusa. E’ pur vero che si tratta della deposizione della sorella
del Cesaro, ma non va dimenticato che si tratta di una donna che teme di
pregiudicare la posizione dell’uomo al quale è legato da una già lunga intima relazione, e che deve
diventare suo marito, come di fatto è
diventato suo marito. E sempre riportandosi alla deposizione della Anna Cesaro – rintuzza ancora
l’avvocato Ciro Maffuccini,
difensore dell’aggressore - il pubblico ministero, giunge a negare all’imputato lo stato di ira. Ingenuo ed
assurdo al tempo stesso sarebbe ritenere non esservi stato l’amplesso carnale
tra Anna Cesaro e il Barbato. Affermare quindi di essere alla base del fatto
delittuoso, una diversa causale , e andare oltre la realtà dei fatti e dei
motivi che sono alla base dell’episodio stesso.
Il
Barbato era un prepotente: aveva sedotto la giovane e resa incinta. Per non
essere condannato sposò poi la ragazza e risarcì il danno al fratello
Se il pubblico
ministero – chiarisce ancora l’avvocato Maffuccini - esclude l’ipotesi del tentato omicidio, poiché mancherebbe la prova che si sarebbe
agito nell’atto di scoprire la illecita relazione della sorella con il
Barbato, come può successivamente
affermare che oltre furono le causali poste alla base del fatto
delittuoso? Su quali prove poggia il
motivo dell’interesse? Di guisa che dovendo ritenere pacifico che l’attività
delittuose del Cesaro scaturisce da un fatto improvviso, ne consegue che per
l’episodio in esame, non si può adottare una decisione improntata ad un
criterio rigorosamente restrittivo, in quanto oltre al profilo giuridico non va
trascurato un motivo che è altamente umano:
la difesa dell’onore della famiglia. In effetti il tentativo degli
avvocati difensori era quello tentate di scongiurare il rinvio al giudizio
della Corte di assise per tentato omicidio e fargli riconoscere lo stato di
legittima difesa o quantomeno per lesioni. Il Barbato, che già offesa grave aveva arrecato alla
onorabilità della famiglia Cesaro, assume ancora una volta un atteggiamento che
è di grave offesa. E ci troviamo così, di fronte alla volontà aggressiva del
Barbato da una parte, e dall’atteggiamento innocuo del Cesaro che si vede
costretto a far uso dell’attrezzo di lavoro e la necessità di difendersi. Ne è
superfluo ripetere che Cesare trovavasi intento al lavoro, così come dai testi
tutti concordemente hanno affermato. È dunque il caso tipico della legittima
difesa: il pericolo imminente per la propria incolumità, la reazione immediata,
non s’proporzionata all’offesa subita. La posizione assunta dallo stesso
Barbato; l’avvenuta riconciliazione, sono la riprova più ampia della innocenza
del Cesaro. “Non è quindi possibile
- ribadirono i difensori - alla stregua di tali risultanze di rinviare
il Cesaro alla Corte di assise per rispondere di tentato omicidio nei confronti
del Barbato. Ed in subordine, qualora non si volesse concedere l’esimente della
legittima difesa, quantomeno si chiarisce che trattasi di eccesso colposo di
legittima difesa”. Raffaele Barbato, interrogato dal magistrato dichiarava che
verso le ore 16:00 del giorno otto in Gricignano, mentre si tratteneva dinanzi
alla porta d’ingresso dell’abitazione di Anna
Cesaro, sua fidanzata, per conversare con la medesima, era stato
all’improvviso fatto segno di un’aggressione da parte del fratello della
ragazza Giovanni, il quale, dopo essere rincasato di avere scambiato con lui i
saluto, gli aveva vibrato diversi colpi con un coltello lungo oltre 30
centimetri ed infine lo aveva inseguito esplodendogli un colpo di pistola. Egli non si era neppure
reso conto dei motivi dell’aggressione ricordò che andava pienamente d’accordo
con il Giovanni Cesaro che era
consenziente al suo fidanzamento con la sorella che durava da ben otto anni che
stava per concludersi con le nozze, fissate per il 26 aprile. Anna Cesaro
a sua volta riferiva ai carabinieri di Cesa che il fratello aveva
ferito il Barbato dopo averlo sorpreso abbracciato con lei; e confermò quanto
dichiarato da Barbato in ordine al loro fidanzamento e alle prossime nozze
precisando altresì che lo stesso l’aveva resa incinta da quattro mesi, che però
la circostanza non era nota al fratello. I verbalizzanti sentirono anche tali Pasquale Lucariello e Anna Della Gatta i quali dichiararono
l’uno, che il Barbato da lui
accompagnato in ospedale gli disse solo
che era stato colpito dal Cesaro, senza
precisare per quale motivo; l’altra, di
aver visto subito dopo il fatto il Cesaro darsi alla fuga con una pistola in
pugno. Anna Cesaro in un primo tempo confermava la dichiarazione resa ai
carabinieri; ma successivamente negava di essere stato sorpresa dal fratello
abbracciata con il Barbato. Sia la Anna
Cesaro che il Barbato affermavano
poi che all’epoca dei fatti erano già
sposati al municipio; ma in verità dal certificato dello stato civile del
Comune di Gricignano risultava che essi avevano contratto matrimonio solo in
data 7 settembre del 1958.
L’imputato, tratto
in arresto e il 30 gennaio del 59, raccontava che rincasando aveva trovato la
sorella ed il fidanzato, in un corridoio retrostante le due stanze
dell’abitazione, abbracciati,: la donna aveva le vesti sollevate e l’uomo l’asta virile fuori dai pantaloni. Il
Barbato nel vederlo aveva impugnato una
pistola e allora egli aveva preso un lungo coltello che era a terra nel
corridoio e l’aveva affrontato tirandogli tre coltellate. Infine, il Barbato
rimasto ferito aveva lasciato cadere la pistola e si era dato alla fuga. ri Ed anche egli, raccolta l’arma del Barbato
si era dato alla fuga. digito. Lo stesso inoltre affermava che ignorava che la
sorella fosse incinta. Nel corso dell’istruttoria venivano sequestrati a
richiesta della difesa dell’imputato, nella casa dello stesso il coltello con
cui fu commesso il delitto (un coltellaccio a punta ricurva detto smarrazzola), una pistola Beretta
calibro sette 65 con l’impugnatura scheggiata ed un dito pollice contenuto in
una boccetta con l’alcol. I testi Luigi
Lettera, Anna Della Gatta, Pasquale Lucariello, Pasquale
Aquilante dichiaravano che erano accorsi in aiuto del Barbato ma non
avevano udito spari di pistola. Amalia
Cesaro, vicina dell’imputato, riferiva di avere appreso subito dopo il
fatto che il Giovanni Cesaro aveva
sorpreso il Barbato e la sorella mentre avevano rapporti intimi. Venivano
escussi anche Felice Iorio,
Felice Colella e Adriana
Colella. Costoro deponevano che il Barbato era uso ad impugnare la piccola
scopa di minaccia. Il Barbato, già costituitisi
parte civile, in data 7 settembre 58,
dichiarava di recedere da detta costituzione.
Dal
processo emersero fatti diversi dell’istruttoria. La mite condanna per il
matrimonio riparatore e il risarcimento del danno ridotto a 1 un anno e 6 mesi
la condanna finale -
Il fatto, ritenne la Corte, integri gli estremi del tentativo di omicidio
a causa di onore, giacché il Cesaro agì
in stato di ira determinato in lui dalla scoperta della relazione
carnale esistente tra la sorella e il Barbato, relazioni carnale illegittima
essendo i due a quell’epoca solo fidanzati. Il pubblico ministero di udienza
contestò l’applicabilità dello speciale articolo 587 del codice penale sostenendo che il Cesaro non
aveva diritto a tale scriminante per essere venuto a conoscenza della relazione,
dato che la sorella, a seguito di rapporti intimi, era rimasta incinta ed era
ormai al quarto quinto mese di gravidanza. Ma la Corte questa obiezione la
respinse. “Lo stato di gravidanza, anche al quarto al quinto mese, può essere
tenuto celato all’occhio altrui; e che
nella specie la Cesaro Anna abbia nascosto abilmente la sua condizione è
confermato dalla circostanza che neppure le donne del vicinato, pur notando che
essa negli ultimi tempi appariva un po’ ingrassata, avevano sospettato che fosse
gravida. Inoltre Barbato e Anna Cesaro anche nelle due deposizioni in cui hanno
accusato l’imputato non hanno mai detto che questi fosse a conoscenza dei
rapporti intimi esplicitamente escluso ed
a conferma dell’ignoranza e della tresca
da parte dell’imputato sta anche che la stessa gravità dell’azione da
lui compiuta la quale presuppone uno stato di estrema indignazione che, mentre si spiega con la
improvvisa scoperta della relazione intima, non potrebbe invece spiegarsi con
la sorpresa in fragrante dei due fidanzati non avesse fatto che confermare la
sua esistenza di una relazione intima
già note e tollerata. In
definitiva l’imputato venne condannato dalla Corte di assise (Prisco Palmiero, presidente; Guido
Tavassi; giudice a latere; Nicola
Damiani, pubblico
ministero), per tentato omicidio ad anni
2 di reclusione, con le attenuanti del risarcimento del danno e delle
attenuanti generiche. In sede di appello la difesa addusse vari motivi tra i
quali: …”La Corte ha irrogato all’imputato una pena eccessiva. Le modalità
tutte del fatto, la considerazione che l’imputato, pur essendo venuto in
possesso della pistola del Barbato, non ne fece uso, mostrando in tal modo una
notevole capacità di autocontrollo; la gravità della provocazione subita, che
costituiva un’offesa non solo per l’onore suo ma anche, e soprattutto per
quello della sua famiglia, avrebbero dovuto indurre la Corte a partire dal
minimo della pena. Le attenuanti concesse (generiche e del danno) dovevano altresì essere concesse al medesimo
considerazione di particolari motivi
relativi alla personalità dell’imputato e il suo comportamento
successivo e il delitto che lo
determinarono”… . e così la pena venne
ridotta ad 1 anni e mesi 6. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini, Pasquale Farinaro, Generoso
Iodice e Alfredo De Marsico.
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