Un
commerciante di cavalli di Succivo, che da giovane aveva tentato di suicidarsi,
nel 1958 tentò di uccidere la sua amante con 5 colpi di coltello. Ma come diceva Cesare Pavese autore de “Il
mestiere di vivere”, e lui stesso morto suicida: ”I suicidi sono omicidi
timidi” di Ferdinando Terlizzi
Nel 1958 in Succivo,
Francesco Cuomo, commerciante
di cavalli, all’epoca di anni 54, tentò di uccidere la sua amante Luisa Garofano, all’epoca di anni 68,
con un acuminato coltello (uno scannatoio per animali) colpendo la
donna per ben 5 volte al collo ed al torace la quale riportava uno sfregio
permanente. Inoltre l’uomo venne accusato anche di rapina per aver tentato di
rubare una grossa somma di denaro che la donna aveva celato nel materasso del
letto nella stanza ove avvenne il delitto. A seguito del fatto di sangue fu
emesso un mandato di cattura contro il Cuomo che venne tratto in arresto e
associato alle carceri di Santa Maria. Nello stesso tempo il giudice istruttore
Camillo Grizzuti del tribunale di
Santa Maria Capua Vetere, delegato per l’istruttoria, incaricò il dottor Giuseppe De Rosa per periziare le
ferite della vittima. In risposta ai quesiti posti, il medico legale rispose
che la Garofano era stata colpita da 5 fendenti al collo ed al mento; la stessa
accusava disturbi ad un occhio e riportava uno sfregio permanente. Furono
interrogati i vicini di casa: Maria
Pietrolongo, Concetta Della Valle,
Bettina Cavaliere e Immacolata Varavallo i quali
confermarono dei continui litigi e delle richieste di denaro da parte del Cuomo e della circostanza che al loro arrivo
lo stesso era scappato. Interrogata nuovamente la donna rivelò un particolare
agghiacciante: “aveva fermato il coltello
stringendo la lama tra i denti per non farsi scannare”. Nei confronti del Cuomo iniziava azione penale
e la difesa esibiva un certificato dell’Ospedale San Gennaro di Napoli del 23
aprile del 1956 dal quale risultava che al Cuomo era stata diagnosticata una
epilessia post traumatica accompagnato da una relazione medica redatta dal Dr. Luigi Merola in cui si confermava la
epilessia da trauma per essere stato colpito alla testa all’età di anni 10 da
un cavallo. Per tale ragione il giudice istruttore ordinò una perizia
psichiatrica che fu affidata al Prof. Ugo
Massari, capo servizio medico dell’Ospedale Psichiatrico “F. Saporito” di Aversa. Il risultato fu che il Cuomo
risultò affetto da cranioleso, sofferente di cestenopatia, ed affezioni
organiche molteplici (bronchite asmatica, ipotonia cardio-vasale, turbe
intestinale ed emorroidarie), ed affetto, inoltre, di alterazioni distimiche
con crisi di eretismo psichico ricorrente. “Una di tali crisi era presente
all’epoca dei fatti delittuosi e costituiva, per infermità, uno stato di mente
tale da scemare grandemente – senza escludere la capacità di intendere – e
soprattutto quella di volere. Egli è da ritenersi persona socialmente
pericolosa in senso psichiatrico”. Il fatto
fu così ricostruito. A tarda sera del 6
aprile del 1958 Luisa Garofano di
anni 68 da Succivo veniva ricoverata nell’ospedale Cardarelli di Napoli per
ferite multiple da punta e taglio alla regione anteriore del collo alla regione
mentoniera e della parte superiore del torace. Interrogata dal magistrato la
Garofano dichiarò che era stata aggredita da Francesco Cuomo con il quale che conviveva more uxorio in Succivo. Precisò che il Cuomo continuamente le
faceva richiesta di denaro per spenderlo in compravendita di cavalli, e che
essa, beneficiando di una pensione, contentava sempre l’amante in tali sue
pretese. Se non che il giorno 6 aprile ad un’ennesima richiesta di denaro lei
oppose un rifiuto dovendo pagare con i soldi di cui disponeva dei debiti. Ne
nacque un litigio al seguito del quale ella uscì di casa andando a trovare
un’amica. Al ritorno il Cuomo era già a letto e, improvvisamente la colpiva più
volte con un coltellaccio da macellaio che teneva nel letto e tentò addirittura
di strozzarla con delle tovaglie. Alle sue grida accorsero dei vicini ed il
Cuomo si diede alla fuga.
I carabinieri di Succivo, che
si erano portati sul posto subito dopo il fatto dove era ancora la donna che
diceva che l’amante l’aveva assalita
perché voleva del denaro non riuscirono a rintracciare il Como e neppure
il coltello di cui si era servito per commettere l’aggressione.
Furono interrogati i vicini di
casa: Maria Pietrolongo, Concetta Della Valle, Bettina Cavaliere e Immacolata Varavallo i quali
confermarono dei continui litigi e delle richieste di denaro da parte del Cuomo e della circostanza che al loro arrivo
lo stesso era scappato. Interrogata nuovamente la donna rivelò un particolare
agghiacciante: “aveva fermato il coltello
stringendo la lama tra i denti per non farsi scannare”.
Nei confronti del Cuomo
iniziava azione penale e la difesa esibiva un certificato dell’Ospedale San
Gennaro di Napoli del 23 aprile del 1956 dal quale risultava che al Cuomo era
stata diagnosticata una epillesia post traumatica accompagnato da una relazione
medica redatta dal Dr. Luigi Merola
in cui si confermava la epilessia da trauma per essere stato colpito alla testa
all’età di anni 10 da un cavallo. Per tale ragione il giudice istruttore ordinò
una perizia psichiatrica che fu affidata al Prof. Ugo Massari, capo servizio medico dell’Ospedale Psichiatrico “F.
Saporito” di Aversa, al quale fu posto
il seguente quesito: “… accerti se il Cuomo al momento del fatto avesse la
piena capacità di intendere e di volere e se questa fosse grandemente scemata
senza essere del tutto esclusa. Voglia inoltre accertare se egli sia
socialmente pericoloso”. Il risultato fu che il Cuomo risultò affetto da
cranioleso, sofferente di cestenopatia, ed affezioni organiche molteplici
(bronchite asmatica, ipotonia cardio-vasale, turbe intestinale ed
emorroidarie), ed affetto, inoltre, di alterazioni distimiche con crisi di
eretismo psichico ricorrente. Una di tali crisi era presente all’epoca dei
fatti delittuosi e costituiva, per infermità, uno stato di mente tale da
scemare grandemente – senza escludere la capacità di intendere – e soprattutto
quella di volere. Egli è da ritenersi persona socialmente pericolosa in senso
psichiatrico. Inoltre, anche il suicidio tentato a 12 anni ben si inquadra con
le caratteristiche sopra riferite e comprova il valore del fattore “trauma
capitis”. A tal proposito giova ricordare, l’ampio studio statistico sui
suicidi, accuratamente svolto dal Cattabeni e Vergani, che, dopo aver rilevato il rapporto fra
depressione affettiva e lesione del lobo frontale, hanno messo in evidenza
l’importanza tra trauma del capo e suicidio effettuato o tentato; tali elementi
appaiono tanto più evidenti – nel caso in esame – data la giovane età del
soggetto e la brevità di tempo trascorso tra i due eventi. Concludendo dunque – affermò il perito settore prof. Ugo Massari – la disamina clinica, sulla scorta degli elementi sinora discussi,
che Francesco Cuomo in conseguenza
diretta del grave trauma capitis subito all’età di 12 anni – ha riportato
alterazionin della sfera etco-affettiva e volitiva, che hanno indotto in lui,
cranioleso “crisi di eretismo psichico ricorrente ed alterazioni distimiche. Ma
come diceva Cesare Pavese autore de “Il mestiere di vivere”, e lui stesso morto
suicida: ”I suicidi sono omicidi timidi”.
–
Il
Cuomo (calcio da un cavallo) - presenta
impulsività a determinati atti
antisociali, il primo dei quali fu un tentativo di suicidio attuato poco dopo
il trauma è l’ultimo il delitto per cui è processo.
Secondo i periti e i
magistrati il Cuomo – che all’età di 12 anni aveva avuto un calcio da un
cavallo che lo aveva gravemente ferito alla testa - anche se è da escludere,
invero, alla stregua dei risultati delle indagini cliniche e di laboratorio
compiute, la esistenza di una sindrome epilettica post traumatica, e tuttavia
certo che il Cuomo è affetto da cerebropatia traumatica. Egli, così come si
verifica in genere per i craniolesi, anche se non divenuti epilettici, presenta
apatia, squilibrio dell’affettività, manifestazioni tremore diffuso, cambiamenti
di umore, impulsività determinati atti antisociali, il primo dei quali fu un
tentativo di suicidio attuato poco dopo il trauma è l’ultimo il delitto per cui
è processo.
Ora in base a tali risultanze,
il perito ha formulato la precisa diagnosi di alterazione distimiche con crisi
di eretismo psichico ricorrente, ed ha espresso l’opinione che al momento del
fatto delittuoso, il prevenuto versasse in una di tali crisi, costituente
infermità tale da scemare grandemente, senza escluderla, la sua capacità di
intendere di volere. E questo parere del perito non può non essere condiviso
sulle basi scientifiche per modo che va concessa al Cuomo la diminuente del vizio parziale di mente.
Il Cuomo commise l’aggressione
con l’intenzione di uccidere, inequivocabilmente denunziata dall’impiego di un
coltello di notevoli dimensioni, dalla reiterazione di colpi, dalla circostanza
che i colpi furono diretti verso parti vitalissime del corpo della vittima.
Pertanto va pronunciato condanna per il delitto di tentato omicidio. È il caso
di concedere al prevenuto, malgrado gli sia stata contestata la recidiva
reiterata generica, le attenuanti generiche in considerazione delle sue misere
condizioni di salute e della buona volontà di redimersi dimostrata serbando
condotta incensurata dal 1935, epoca a cui risale l’ultima condanna da lui
riportata fino ai fatti di cui è processo.
Non può invece trovare
applicazione l’attenuante della provocazione, parimenti cesta della difesa. E’
verosimile, come si è innanzi detto che il delitto fu originato da una lite per
questioni di interesse e cioè dal diniego della Garofano a qualche richiesta di
denaro del prevenuto; ma come può il rifiuto della Garofano esborsare il denaro
qualificarsi ingiusto? Quale dovere essa doveva avere di mantenere l’amante con
la sua pensione? Tenuto conto dei
criteri tutti indicati stimasi fissare – chiarirono i giudici nelle motivazioni
della sentenza di condanna - una pena in
anni sette, mesi sei di reclusione, da ridursi per il vizio parziale di mente ad
anni cinque e per le attenuanti generiche ad anni tre e mesi quattro ed
aumentarsi infine, per la recidiva reiterata generica, ad anni quattro e mesi
sei. Il Cuomo deve essere condannato altresì alla interdizione dei pubblici
uffici per la durata di anni cinque. L’otto maggio del 1960 l’avvocato Carlo Cipullo ritenne di presentare i
motivi a sostegno dell’appello e tra l’altro evidenziò: “…Doveva la Corte
escludere la sussistenza della volontà omicida e dichiarare il Cuomo colpevole del reato di lesioni lievi guarite
nel 20º giorno. Dagli atti emerge la prova che il fatto accadde in ambiente
chiuso e che quindi l’appellante ebbe a sua disposizione tutto il tempo
necessario per consumare il delitto propostosi. Di modo che se avesse avuto
l’intenzione di uccidere la Garofano avrebbe potuto farlo benissimo che nulla
era di ostacolo alla sua azione. La volontà omicida è parimenti esclusa dalla
entità e dalla natura delle lesioni riportate dalla parte lesa. La generica
dimostra che il coltello fu adoperato come arma da taglio e che le lesioni
furono causato dalla pressione della lama sulla cute e da un movimento di sega.
Tale modo di adoperare il coltello esclude qualsiasi volontà di uccidere perché
l’esistenza di tale volontà imponeva adoperare l’arma con la punta onde
provocare lesioni agli organi interni. Per quanto dispone il terzo comma
dell’articolo 56 la Corte avrebbe dovuto ritenere il Cuomo colpevole di lesioni
volontarie avendo egli spontaneamente desistito dall’azione criminosa. Infatti
la Garofano interrogato dal giudice istruttore affermò che il Cuomo
improvvisamente e spontaneamente troncò la sua azione e che fuggì via dopo
essersi vestito. Ciò prova che la desistenza volontaria nel senso che
l’interruzione dell’iter criminis fu
l’effetto di libera determinazione sorta senza l’influenza di fattori esterni.
Decretata la contestazione a quella di lesioni volontarie giammai le medesime
possono qualificarsi gravissime. Non ogni lesioni al volto da luogo allo
sfregio. L’esistenza di tale aggravante
e subordinata all’accostamento: se la lesione ha alterato l’armonia dei
lineamenti, la regolarità del viso e la sua bellezza. Nel nostro caso ciò
non si è verificato; la parte lesa,
donna anziana ha il viso coperto di rughe, le quali ne rendono indistinguibile la
ferita che fra esse si confonde. Sempre
ogni caso la Corte doveva
concedere l’attenuante della
provocazione.
Il
processo – L’appello ritenuto infondato – Il ricorso per Cassazione - La
condanna con l’attenuante del vizio parziale di mente
Rinviato al giudizio della Corte di assise di Santa Maria
Capua Vetere (Presidente, Prisco
Palmieri; giudice a latere consigliere, Guido Tavassi; pubblico ministero, Nicola Damiani; giudici popolari: Ernestina Bernini, Giuseppe
Ebraico, Vincenzo Mastroianni, Paolo Lampitella, Cristina Gay e Alfonso
Masarone), per rispondere di tentato omicidio venne condanna to con
sentenza del 21 aprile del 1960 ad anni 4 di reclusione con l’attenuante del
vizio parziale di mente. In secondo grado la Corte di assise di appello di
Napoli, (Emanuele Montefusco, presidente; Giovanni Nazzaro, consigliere; con l’intervento del Pubblico
Ministero, rappresentato da Giuseppe
Chiliberti, sostituto procuratore generale della Repubblica), ritenne che
nel diritto l’appello era infondato. “Per
quanto concerne il primo motivo – precisarono i giudici di secondo grado - enunciato
a sostegno dell’appello stesso, e certo che, nel momento in cui colpiva la
propria amante l’imputato aveva la volontà di cagionare la morte. E’
opportuno premettere che gli atti denunciano il Cuomo persona dal carattere
aggressivo e violento. Difatti dal certificato del casellario giudiziale rilasciato
nei suoi riguardi risulta che con sentenza dell’11 luglio della Corte di
appello di Napoli, egli fu condannato alla pena di anni 2 di
reclusione per maltrattamenti in danno della propria moglie”. Dopo la
condanna della Corte di assise di appello di Napoli il Cuomo nominò suo
difensore l’avvocato Ciro Capaldo che presentò ricorso per Cassazione
evidenziano tra l’altro che “… La
sentenza afferma la volontà omicida con motivazione difettosa ed erronea ed
infatti omette di considerare che il Cuomo agì con una crisi psicologica e che
se egli avessi voluto uccidere, avrebbe potuto, avendo tenuto a sua
disposizione la parte lesa. Le lesioni furono inferte senza violenza come
risulta dalla generica. Infatti si trattò di lesioni lievi. Il giudicabile era
malato, la donna lo abbandonò, onde l’ira del ricorrente, che però non
volle uccidere la Garofano come egli
dichiarò e come le modalità oggettive
dell’azione dimostrano. Tutti i rilievi difensivi, tutte le risultanze di causa
non sono stati approfonditi dalla sentenza, la cui motivazione dunque è difettosa. Il Cuomo desistette dall’azione
come fu dimostrato nei motivi di appello, ma anche su questo punto la
motivazione è difettose ed erronea. La lesione non produsse sfregio, perché non
alterò l’armonia del viso, essendo la lesione coperta dalle rughe. Il motivo di
appello, con il quale si chiese la esclusione dello sfregio è stato respinto
senza congruo esame”. Ma alla fine la Corte di Cassazione pose il sigillo
finale sulla condanna del primo giudicato. Ironia della sorte la donna morì nel
1963, un anno prima della decisione della suprema corte, era la vedova del
commerciante Pietro Martino da Aversa. Nei
processi furono impegnati gli avvocati: Generoso
Iodice, Carlo Cipullo e Ciro Capaldo.
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