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lunedì 12 dicembre 2022

 

 

Un commerciante di cavalli di Succivo, che da giovane aveva tentato di suicidarsi, nel 1958 tentò di uccidere la sua amante con 5 colpi di coltello.  Ma come diceva Cesare Pavese autore de “Il mestiere di vivere”, e lui stesso morto suicida: ”I suicidi sono omicidi timidi” di Ferdinando Terlizzi   

 

 


 

Nel 1958 in  Succivo,  Francesco Cuomo, commerciante di cavalli, all’epoca di anni 54, tentò di uccidere la sua amante Luisa Garofano, all’epoca di anni 68, con un  acuminato coltello (uno scannatoio per animali) colpendo la donna per ben 5 volte al collo ed al torace la quale riportava uno sfregio permanente. Inoltre l’uomo venne accusato anche di rapina per aver tentato di rubare una grossa somma di denaro che la donna aveva celato nel materasso del letto nella stanza ove avvenne il delitto. A seguito del fatto di sangue fu emesso un mandato di cattura contro il Cuomo che venne tratto in arresto e associato alle carceri di Santa Maria. Nello stesso tempo il giudice istruttore Camillo Grizzuti del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, delegato per l’istruttoria, incaricò il dottor Giuseppe De Rosa per periziare le ferite della vittima. In risposta ai quesiti posti, il medico legale rispose che la Garofano era stata colpita da 5 fendenti al collo ed al mento; la stessa accusava disturbi ad un occhio e riportava uno sfregio permanente. Furono interrogati i vicini di casa: Maria Pietrolongo, Concetta Della Valle, Bettina Cavaliere e Immacolata Varavallo i quali confermarono dei continui litigi e delle richieste di denaro da parte del  Cuomo e della circostanza che al loro arrivo lo stesso era scappato. Interrogata nuovamente la donna rivelò un particolare agghiacciante: “aveva fermato il coltello stringendo la lama tra i denti per non farsi scannare”.  Nei confronti del Cuomo iniziava azione penale e la difesa esibiva un certificato dell’Ospedale San Gennaro di Napoli del 23 aprile del 1956 dal quale risultava che al Cuomo era stata diagnosticata una epilessia post traumatica accompagnato da una relazione medica redatta dal Dr. Luigi Merola in cui si confermava la epilessia da trauma per essere stato colpito alla testa all’età di anni 10 da un cavallo. Per tale ragione il giudice istruttore ordinò una perizia psichiatrica che fu affidata al Prof. Ugo Massari, capo servizio medico dell’Ospedale Psichiatrico “F. Saporito”  di Aversa. Il risultato fu che il Cuomo risultò affetto da cranioleso, sofferente di cestenopatia, ed affezioni organiche molteplici (bronchite asmatica, ipotonia cardio-vasale, turbe intestinale ed emorroidarie), ed affetto, inoltre, di alterazioni distimiche con crisi di eretismo psichico ricorrente. “Una di tali crisi era presente all’epoca dei fatti delittuosi e costituiva, per infermità, uno stato di mente tale da scemare grandemente – senza escludere la capacità di intendere – e soprattutto quella di volere. Egli è da ritenersi persona socialmente pericolosa in senso psichiatrico”.  Il fatto fu così ricostruito.   A tarda sera del 6 aprile del 1958 Luisa Garofano di anni 68 da Succivo veniva ricoverata nell’ospedale Cardarelli di Napoli per ferite multiple da punta e taglio alla regione anteriore del collo alla regione mentoniera e della parte superiore del torace. Interrogata dal magistrato la Garofano dichiarò che era stata aggredita da Francesco Cuomo con il quale che conviveva more uxorio in Succivo. Precisò che il Cuomo continuamente le faceva richiesta di denaro per spenderlo in compravendita di cavalli, e che essa, beneficiando di una pensione, contentava sempre l’amante in tali sue pretese. Se non che il giorno 6 aprile ad un’ennesima richiesta di denaro lei oppose un rifiuto dovendo pagare con i soldi di cui disponeva dei debiti. Ne nacque un litigio al seguito del quale ella uscì di casa andando a trovare un’amica. Al ritorno il Cuomo era già a letto e, improvvisamente la colpiva più volte con un coltellaccio da macellaio che teneva nel letto e tentò addirittura di strozzarla con delle tovaglie. Alle sue grida accorsero dei vicini ed il Cuomo si diede alla  fuga.

I carabinieri di Succivo, che si erano portati sul posto subito dopo il fatto dove era ancora la donna che diceva che l’amante l’aveva assalita  perché voleva del denaro non riuscirono a rintracciare il Como e neppure il coltello di cui si era servito per commettere l’aggressione.

Furono interrogati i vicini di casa: Maria Pietrolongo, Concetta Della Valle, Bettina Cavaliere e Immacolata Varavallo i quali confermarono dei continui litigi e delle richieste di denaro da parte del  Cuomo e della circostanza che al loro arrivo lo stesso era scappato. Interrogata nuovamente la donna rivelò un particolare agghiacciante: “aveva fermato il coltello stringendo la lama tra i denti per non farsi scannare”.  

Nei confronti del Cuomo iniziava azione penale e la difesa esibiva un certificato dell’Ospedale San Gennaro di Napoli del 23 aprile del 1956 dal quale risultava che al Cuomo era stata diagnosticata una epillesia post traumatica accompagnato da una relazione medica redatta dal Dr. Luigi Merola in cui si confermava la epilessia da trauma per essere stato colpito alla testa all’età di anni 10 da un cavallo. Per tale ragione il giudice istruttore ordinò una perizia psichiatrica che fu affidata al Prof. Ugo Massari, capo servizio medico dell’Ospedale Psichiatrico “F. Saporito”  di Aversa, al quale fu posto il seguente quesito: “… accerti se il Cuomo al momento del fatto avesse la piena capacità di intendere e di volere e se questa fosse grandemente scemata senza essere del tutto esclusa. Voglia inoltre accertare se egli sia socialmente pericoloso”. Il risultato fu che il Cuomo risultò affetto da cranioleso, sofferente di cestenopatia, ed affezioni organiche molteplici (bronchite asmatica, ipotonia cardio-vasale, turbe intestinale ed emorroidarie), ed affetto, inoltre, di alterazioni distimiche con crisi di eretismo psichico ricorrente. Una di tali crisi era presente all’epoca dei fatti delittuosi e costituiva, per infermità, uno stato di mente tale da scemare grandemente – senza escludere la capacità di intendere – e soprattutto quella di volere. Egli è da ritenersi persona socialmente pericolosa in senso psichiatrico. Inoltre, anche il suicidio tentato a 12 anni ben si inquadra con le caratteristiche sopra riferite e comprova il valore del fattore “trauma capitis”. A tal proposito giova ricordare, l’ampio studio statistico sui suicidi, accuratamente svolto dal Cattabeni e Vergani,  che, dopo aver rilevato il rapporto fra depressione affettiva e lesione del lobo frontale, hanno messo in evidenza l’importanza tra trauma del capo e suicidio effettuato o tentato; tali elementi appaiono tanto più evidenti – nel caso in esame – data la giovane età del soggetto e la brevità di tempo trascorso tra i due eventi. Concludendo dunque – affermò il perito settore prof. Ugo Massarila disamina clinica, sulla scorta degli elementi sinora discussi, che Francesco Cuomo in conseguenza diretta del grave trauma capitis subito all’età di 12 anni – ha riportato alterazionin della sfera etco-affettiva e volitiva, che hanno indotto in lui, cranioleso “crisi di eretismo psichico ricorrente ed alterazioni distimiche. Ma come diceva Cesare Pavese autore de “Il mestiere di vivere”, e lui stesso morto suicida: ”I suicidi sono omicidi timidi”. – 



Il Cuomo (calcio da un cavallo) - presenta impulsività  a determinati atti antisociali, il primo dei quali fu un tentativo di suicidio attuato poco dopo il trauma è l’ultimo il delitto per cui è processo.

 

Secondo i periti e i magistrati il Cuomo – che all’età di 12 anni aveva avuto un calcio da un cavallo che lo aveva gravemente ferito alla testa - anche se è da escludere, invero, alla stregua dei risultati delle indagini cliniche e di laboratorio compiute, la esistenza di una sindrome epilettica post traumatica, e tuttavia certo che il Cuomo è affetto da cerebropatia traumatica. Egli, così come si verifica in genere per i craniolesi, anche se non divenuti epilettici, presenta apatia, squilibrio dell’affettività, manifestazioni tremore diffuso, cambiamenti di umore, impulsività determinati atti antisociali, il primo dei quali fu un tentativo di suicidio attuato poco dopo il trauma è l’ultimo il delitto per cui è processo.

Ora in base a tali risultanze, il perito ha formulato la precisa diagnosi di alterazione distimiche con crisi di eretismo psichico ricorrente, ed ha espresso l’opinione che al momento del fatto delittuoso, il prevenuto versasse in una di tali crisi, costituente infermità tale da scemare grandemente, senza escluderla, la sua capacità di intendere di volere. E questo parere del perito non può non essere condiviso sulle basi scientifiche per modo che va concessa al Cuomo la  diminuente del vizio parziale di mente.

Il Cuomo commise l’aggressione con l’intenzione di uccidere, inequivocabilmente denunziata dall’impiego di un coltello di notevoli dimensioni, dalla reiterazione di colpi, dalla circostanza che i colpi furono diretti verso parti vitalissime del corpo della vittima. Pertanto va pronunciato condanna per il delitto di tentato omicidio. È il caso di concedere al prevenuto, malgrado gli sia stata contestata la recidiva reiterata generica, le attenuanti generiche in considerazione delle sue misere condizioni di salute e della buona volontà di redimersi dimostrata serbando condotta incensurata dal 1935, epoca a cui risale l’ultima condanna da lui riportata fino ai fatti di cui è processo.

Non può invece trovare applicazione l’attenuante della provocazione, parimenti cesta della difesa. E’ verosimile, come si è innanzi detto che il delitto fu originato da una lite per questioni di interesse e cioè dal diniego della Garofano a qualche richiesta di denaro del prevenuto; ma come può il rifiuto della Garofano esborsare il denaro qualificarsi ingiusto? Quale dovere essa doveva avere di mantenere l’amante con la sua pensione?  Tenuto conto dei criteri tutti indicati stimasi fissare – chiarirono i giudici nelle motivazioni della sentenza di condanna -  una pena in anni sette, mesi sei di reclusione, da ridursi per il vizio parziale di mente ad anni cinque e per le attenuanti generiche ad anni tre e mesi quattro ed aumentarsi infine, per la recidiva reiterata generica, ad anni quattro e mesi sei. Il Cuomo deve essere condannato altresì alla interdizione dei pubblici uffici per la durata di anni cinque. L’otto maggio del 1960 l’avvocato Carlo Cipullo ritenne di presentare i motivi a sostegno dell’appello e tra l’altro evidenziò: “…Doveva la Corte escludere la sussistenza della volontà omicida e dichiarare il Cuomo  colpevole del reato di lesioni lievi guarite nel 20º giorno. Dagli atti emerge la prova che il fatto accadde in ambiente chiuso e che quindi l’appellante ebbe a sua disposizione tutto il tempo necessario per consumare il delitto propostosi. Di modo che se avesse avuto l’intenzione di uccidere la Garofano avrebbe potuto farlo benissimo che nulla era di ostacolo alla sua azione. La volontà omicida è parimenti esclusa dalla entità e dalla natura delle lesioni riportate dalla parte lesa. La generica dimostra che il coltello fu adoperato come arma da taglio e che le lesioni furono causato dalla pressione della lama sulla cute e da un movimento di sega. Tale modo di adoperare il coltello esclude qualsiasi volontà di uccidere perché l’esistenza di tale volontà imponeva adoperare l’arma con la punta onde provocare lesioni agli organi interni. Per quanto dispone il terzo comma dell’articolo 56 la Corte avrebbe dovuto ritenere il Cuomo colpevole di lesioni volontarie avendo egli spontaneamente desistito dall’azione criminosa. Infatti la Garofano interrogato dal giudice istruttore affermò che il Cuomo improvvisamente e spontaneamente troncò la sua azione e che fuggì via dopo essersi vestito. Ciò prova che la desistenza volontaria nel senso che l’interruzione dell’iter criminis fu l’effetto di libera determinazione sorta senza l’influenza di fattori esterni. Decretata la contestazione a quella di lesioni volontarie giammai le medesime possono qualificarsi gravissime. Non ogni lesioni al volto da luogo allo sfregio. L’esistenza di tale aggravante  e subordinata all’accostamento: se la lesione ha alterato l’armonia dei lineamenti, la regolarità del viso e la sua bellezza. Nel nostro caso ciò non  si è verificato; la parte lesa, donna anziana ha il viso coperto di rughe, le quali ne rendono indistinguibile la ferita che fra esse si confonde. Sempre  ogni caso  la Corte doveva concedere  l’attenuante della provocazione. 

 



 

Il processo – L’appello ritenuto infondato – Il ricorso per Cassazione - La condanna con l’attenuante del vizio parziale di mente

 

Rinviato al giudizio della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Prisco Palmieri; giudice a latere consigliere, Guido Tavassi; pubblico ministero, Nicola Damiani; giudici popolari: Ernestina Bernini, Giuseppe Ebraico, Vincenzo Mastroianni, Paolo Lampitella, Cristina Gay e Alfonso Masarone), per rispondere di tentato omicidio venne condanna to con sentenza del 21 aprile del 1960 ad anni 4 di reclusione con l’attenuante del vizio parziale di mente. In secondo grado la Corte di assise di appello di Napoli,  (Emanuele Montefusco, presidente; Giovanni Nazzaro, consigliere; con l’intervento del Pubblico Ministero, rappresentato da Giuseppe Chiliberti, sostituto procuratore generale della Repubblica), ritenne che nel diritto l’appello era infondato. “Per quanto concerne il primo motivo – precisarono i giudici di secondo grado -  enunciato a sostegno dell’appello stesso, e certo che, nel momento in cui colpiva la propria amante l’imputato aveva la volontà di cagionare la morte. E’  opportuno premettere che gli atti denunciano il Cuomo persona dal carattere aggressivo e violento. Difatti dal certificato del casellario giudiziale rilasciato nei suoi riguardi risulta che con sentenza dell’11 luglio della Corte di appello di Napoli, egli fu condannato alla pena di  anni  2 di reclusione per maltrattamenti in danno della propria moglie”. Dopo la condanna della Corte di assise di appello di Napoli il Cuomo nominò suo difensore l’avvocato Ciro Capaldo che presentò ricorso per Cassazione evidenziano tra l’altro che “… La sentenza afferma la volontà omicida con motivazione difettosa ed erronea ed infatti omette di considerare che il Cuomo agì con una crisi psicologica e che se egli avessi voluto uccidere, avrebbe potuto, avendo tenuto a sua disposizione la parte lesa. Le lesioni furono inferte senza violenza come risulta dalla generica. Infatti si trattò di lesioni lievi. Il giudicabile era malato, la donna lo abbandonò, onde l’ira del ricorrente, che però non volle  uccidere la Garofano come egli dichiarò  e come le modalità oggettive dell’azione dimostrano. Tutti i rilievi difensivi, tutte le risultanze di causa non sono stati approfonditi dalla sentenza, la cui motivazione dunque  è difettosa. Il Cuomo desistette dall’azione come fu dimostrato nei motivi di appello, ma anche su questo punto la motivazione è difettose ed erronea. La lesione non produsse sfregio, perché non alterò l’armonia del viso, essendo la lesione coperta dalle rughe. Il motivo di appello, con il quale si chiese la esclusione dello sfregio è stato respinto senza congruo esame”. Ma alla fine la Corte di Cassazione pose il sigillo finale sulla condanna del primo giudicato. Ironia della sorte la donna morì nel 1963, un anno prima della decisione della suprema corte, era la vedova del commerciante  Pietro Martino da Aversa.  Nei processi furono impegnati gli avvocati:   Generoso Iodice, Carlo Cipullo e Ciro Capaldo.    

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