Trentaduemila e passa iscritti a un gruppo Facebook candidamente intitolato “Mia Moglie”, i quali si dedicano a caricare e contemplare fotografie di donne vestite il meno possibile o anche di niente, scattate a loro insaputa. Così, per gioco, divertimento, sprezzo del rischio, pruriti vari. Tutto tremendamente brutto.


Il gruppo Facebook è già stato segnalato ma i prodi amministratori e/o chi per loro hanno già comunicato via social che ci si sta organizzando altrove, forse in un altro gruppo forse su un altro social, perché guai a perdere il vizio. E purtroppo c’è da scommettere che costoro ce la faranno a tenere vivo questo passatempo perché ormai il mondo è fatto così e pare non ci sia modo di fermare, arginare o educare chi si sente autorizzato a dedicarsi a cose del genere.

Questa orrenda vicenda di cui purtroppo si continuerà a parlare al presente perché si ha un bel chiudere gruppi e segnalare ma questo genere di attività è facile e a portata di mano, desta però alcune riflessioni. Turba profondamente. Che cosa spinge degli esseri umani di sesso maschile a pubblicare fotografie intime rubate a donne presumibilmente “vicine” se non consorti, come recita il nome del gruppo? Quale dose di bassezza devono avere addosso queste persone di sesso maschile per pensare, fare e condividere roba del genere? È una fragilità tossica quella che si racconta in questa storia, il segno di una cronica inettitudine a confrontarsi con la libertà propria e altrui. Come se il maschio contemporaneo – certo non tutto ma una parte – faticasse a confrontarsi con la condizione esistenziale in cui si trova, con quel corpo dei diritti civili che dovrebbe essere ma non sempre è una conquista condivisa e irrinunciabile. Perché entra qui in gioco un tema centrale del nostro presente, quello della libertà. Dell’uso e dell’abuso che se ne fa, dell’idea malsana, confortata dalla facilità d’uso della realtà virtuale, per cui tutto si può fare, avere ed essere. Perché quello che conta è la tua libertà, quella degli altri non ti riguarda. E men che meno ti riguardano il rispetto e la dignità del tuo prossimo, vicino o distante che sia. La libertà, invece, ha un limite eccome. E forse è giunto il momento di affrontare quella specie di tabù che è, oggi, la limitazione della libertà. Anzi, delle libertà, parola invariabile che dovrebbe essere sempre declinata al plurale.

Su questa vicenda pesa poi l’ombra del caso di Gisèle Pelicot e suo marito, che per anni ha abusato di lei in tutti i modi possibili. Non tanto per la crudeltà perpetrata e la violenza fisica ai danni di questa moglie, quanto per il sospetto che dietro immagini “domestiche” rubate e pubblicate sul gruppo Facebook ci siano inevitabilmente piccole e grandi perversioni, ci sia il sovvertimento di quel principio minimo di rispetto su cui dovrebbe fondarsi ogni relazione di coppia – stabile o occasionale che sia. In parole povere, che razza di vita fa, questa gente del gruppo? Come potrà trattare la propria moglie, le donne che incontra, una persona così? Che diavolo ha in testa? Di che rancida pasta è fatta la sfera delle sue emozioni?

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