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giovedì 21 agosto 2025

 

Nada Cella, il cold case senza Dna: testimoni e indagini vecchio stile

Processo in corso a Genova
Nada Cella, il cold case senza Dna: testimoni  e indagini vecchio stile
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Genova. Nell’éra delle indagini scientifiche c’è un caso che va controcorrente. È l’omicidio di Nada Cella, riaperto e arrivato a processo dopo 29 anni. Nessun Dna o aiuti tecnologici. Solo 21 nuovi testimoni, mai sentiti prima, che hanno riscritto una prima indagine funestata da blackout e depistaggi. E portato a processo un’imputata, Annalucia Cecere, insegnante di 57 anni.

Nada Cella viene uccisa nel 1996 a Chiavari. Ha 25 anni, fa la segretaria. Viene trovata dal datore di lavoro, il commercialista Marco Soracco, la mattina del 6 maggio, in un lago di sangue. Soracco chiama i soccorsi, accenna a un malore. La giovane è ancora viva, muore in ospedale. La polizia realizza che si tratta di un omicidio solo ore dopo, quando la scena del crimine è ormai compromessa. La madre di Soracco, Marisa Bacchioni, ha ripulito i pavimenti dal sangue. Il commercialista diventa il sospettato numero uno. Sarà prosciolto. La svolta arriva nel 2021. Una tesista di un master in Criminologia, Antonella Pesce Delfino, si accorge che i carabinieri nell’immediatezza avevano indagato una donna. Il fascicolo era poi andato perduto durante un’alluvione. Due testimoni l’avevano vista uscire dal palazzo, la mattina dell’omicidio: “Era agitata – secondo la passante Giuseppina Redatti – teneva la mano destra sporca di sangue in alto e si guardava intorno, sul dorso aveva una fasciatura”. La presenza di Cecere è confermata dal suo avvocato Margherita Pantano: “Ha avuto la sventura di passare di lì”. E da un ex fidanzato, Rocco Amato: “Mi disse che era stata vista con la mano sporca di sangue”. I militari la perquisiscono e le trovano in casa dei bottoni molto particolari, simili a un bottone trovato accanto alla vittima. Cecere viene intercettata per soli 4 giorni, poi il pm Filippo Gebbia fa interrompere tutto, per non interferire nelle indagini su Soracco. La donna si trasferisce a Cuneo. Di lei non si saprà più niente per anni. Ma chi è davvero Annalucia Cecere?

Tolta alla famiglia insieme ai fratelli, cresce in orfanotrofio. Poco più che maggiorenne viene ospitata in casa da una coppia che l’andava a trovare in istituto, finché fugge con il marito di lei: “Mi disse che era normale che lui avesse scelto lei perché era più giovane e che avrei dovuto suicidarmi e lasciar loro la casa”, ha raccontato a processo l’ex moglie. Cecere rimane incinta e abbandona il figlio all’uomo. Il fratello della donna ha raccontato al giudice Massimo Cusatti di crederla “capace di uccidere”. Un altro ex fidanzato, Adelmo Roda, ha ricordato: “Quando sono andato via io è subentrato Soracco”. Per anni il commercialista e la madre fingono di non sapere chi sia quella donna. Ma un’intercettazione sembra suggerire il contrario. È il 26 maggio 2021, madre e figlio sono in caserma in attesa dell’interrogatorio: “Ma guarda un po’ quanto danno ci ha fatto quella donna, eh – dice lei – Quella Annalucia lì, che fastidio che ci ha dato”. Riavvolgendo il nastro, viene fuori una chiamata di Cecere a Soracco, subito dopo la perquisizione: “Non so chi mi ha diffamata (…) Se questo può farti sentire meglio, non sono mai stata innamorata di te. Mi fai schifo”. Per la pm Gabriella Dotto è il tono di una spasimante respinta. Ma la polizia in quel momento ignora chi sia Annalucia Cecere, non si parla con i carabinieri. Nell’agosto del 1996 Marisa Bacchioni, madre di Soracco, riceve una chiamata inquietante, che registra. Una donna, mai identificata, le rivela il nome della presunta assassina, Annalucia Cecere, che ha visto uscire dal portone “sporca di sangue”, mentre si “rifasciava la mano” e metteva “uno straccio nel motorino”.

La donna fornisce anche un movente, “la gelosia”: “È matta, matta, matta, matta”, ripete quattro volte, “ce l’ha scritto in faccia che è una gran p…”. Bacchioni, inaspettatamente, mostra di sapere di chi si parla, e rivela a sua volta un dettaglio agghiacciante: “La sera stessa che è morta la Nada, lei ha telefonato a un’amica di mio figlio dicendo di dire a Marco se può dargli il posto di Nada”. Pochi giorni dopo è lo stesso Soracco a portare la registrazione di questa telefonata alla polizia, invitando però il commissario Francesco Navarra, in modo sorprendente per uno che è indagato per omicidio, a “non darle alcuna importanza”.

L’anonima sostiene di aver informato la Curia, attore che in questa storia ha un ruolo misterioso. Ecco cosa racconta Padre Lorenzo Zamparin, confessore di Marisa Bacchioni: “Mi disse che l’autrice dell’omicidio era una donna, che si era invaghita del figlio, con cui voleva sistemarsi. Qualcuno le aveva detto di mantenere il più assoluto riserbo sulla vicenda. Ritengo si riferisse ad altri prelati che frequentava”. C’era un segreto inconfessabile, si chiedono i pm, che legava Cecere alla Curia? Un altro prete, padre Anacleto, viene intercettato nel giugno del 1996: “Pensano che chiami quella che ha ammazzato Nada”.

Nel 2001 un nuovo colpo di scena. La Procura di Chiavari riapre le indagini, i giornali parlano del possibile ruolo di una donna. Quattro giorni dopo un ergastolano racconta che il compagno di cella gli avrebbe confessato di aver ucciso Nada Cella. Il detenuto, condannato per omicidio e violenza sessuale, si chiama Luigi Cecere. Nessuno ha mai accertato (né smentito) se fosse imparentato con l’omonima indagata. Il pm e la parte civile, rappresentata dall’avvocato Sabrina Franzone, sono convinti di aver ricostruito la dinamica del delitto. Cella arriva in ufficio alle 7.50. Cella aveva ordine di “non passare telefonate della Cecere” (lo dice intercettata la Bacchioni), che si presenta in studio e per questo nasce una lite. Arrivano due telefonate di una cliente, Giuseppina Vaio, a cui risponderebbe la stessa Cecere: “Non dimenticherò mai quella voce”, ha raccontato Vaio. Quindi la Cecere colpirebbe la Cella, con un fermacarte e una pinzatrice. Il fermacarte viene trovato dalla polizia in un armadio, ripulito. Dopo la riapertura del caso è sparito. La pinzatrice non è stata mai trovata. Secondo una delle ricostruzioni sostenute dall’accusa, Soracco, indagato per favoreggiamento con la madre (fuori dal processo per motivi di salute), potrebbe aver trovato la Cecere sul luogo del delitto. Una vicina riferisce di aver sentito un rubinetto scorrere a lungo, quindi una porta sbattere e una persona che fuggiva per le scale alle 9.01. I soccorsi vengono chiamati alle 9.15. Un quarto d’ora interminabile, in cui Nada agonizzava. Per la difesa il processo poggia solo su congetture. Di certo, è una sfida investigativa insolita nell’epoca delle indagini dominate dalla scienza.


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