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domenica 17 agosto 2025

 

Come fu che Sua Pippità divenne “nazionalpopolare”

Lo era davvero, ma il craxiano Manca lo definì così per insultarlo: il demitiano Baudo osò portare a “Fantastico” Grillo e le sue battute sul Psi. Seguì l’esilio da B.
Come fu che Sua Pippità divenne “nazionalpopolare”
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Volgeva al termine l’anno 1986, era alle viste il 1987: fase chiave di tutte le prime repubbliche, inclusa la telepatria televisiva e i suoi grandi tenori. Il Fantastico 7 di Rai1, il terzo con Pippo Baudo alla conduzione, doveva segnare la sua apoteosi nel rinnovato varietà del sabato sera. Aveva raccolto l’eredità di Fantastico dal grande Enzo Trapani, lo aveva stabilizzato, pastorizzato, reso meno geniale ma allargato negli orizzonti e aperto a nuovi talenti, primo tra tutti il lancio di Lorella Cuccarini. Una visione democristiana del varietà, dove c’è posto per ogni cosa e ogni cosa è al suo posto; dove il vecchio presentatore è diventato conduttore, e se occorre condottiero. L’ultima messa cantata di quando il sabato era il sabato, il presente non era ancora diventato ubiquo. Di ubiquo c’era solo sua Pippità, il “grande professionista” che in quegli anni a Fantastico alternava la conduzione del Festival di Sanremo. Gli italiani vedevano più Pippo della mamma, e gli volevano quasi lo stesso bene.

Ecco quindi il grande professionista al timone del suo terzo transatlantico del sabato sera, senza immaginare che Fantastico 7 potesse trasformarsi in un Titanic, e che nella vita di ognuno di noi c’è sempre un iceberg in agguato. Volgeva al termine il 1986; l’allora presidente del Consiglio Craxi sconfessa “il patto della staffetta”, che prevedeva l’alternanza con il segretario della Dc Ciriaco De Mita a Palazzo Chigi. Tra socialisti e democristiani i rapporti si fanno sempre più tesi, e in quella marca della politica italiana chiamata Rai il mare si fa grosso. I Carlo Conti e gli Amadeus di oggi si guarderebbero bene dall’introdurre in un varietà elementi più trasgressivi di un Benigni che rilegge il rosario. Invece capitan Pippo fa rotta nemmeno su Benigni quando era Benigni, ma su Beppe Grillo, più che un comico un iceberg umano, e Grillo non delude le aspettative. A farlo cacciare dalla Rai basterà una barzelletta sui socialisti (e a dimostrare che l’indipendenza della Rai dai partiti è giusto una barzelletta).

È, a buon titolo, storia della tv. Ma da quel momento il Fantastico Titanic comincia a imbarcare acqua. All’inizio del 1987, Enrico Manca, presidente craxiano di viale Mazzini, compie la sua vendetta: riletto con il senno di poi il famoso attacco alla visione nazional-popolare di Baudo non è altro che l’attacco alla punta di diamante demitiana in Rai. Manca volle precisare che il suo non era un complimento; e invece l’innovazione portata da Baudo consiste proprio nel far convivere gli elementi classici del varietà con altri mai visti prima. Lo sketch, il balletto, l’ospite d’onore, ma anche aperture sempre maggiori all’attualità, al costume e sì, perfino alla satira.

Mentre Bettino prepara ruggendo le valigie da Palazzo Chigi, anche Pippo capisce che deve fare i bagagli. E qui entra in scena il B. aspiratutto, più interessato in quegli anni alle fortune della Fininvest che ai magheggi della politica. Silvio assume con contratto miliardario l’uomo che il sabato aveva fatto mangiare le polveri a Canale 5; ma a volte le assunzioni sono peggio dei benserviti. Mentre l’italo americano Mike Bongiorno nella tv commerciale si era trovato meglio che in Rai, come a casa sua, Pippo è spiazzato, fatica a imporre la sua demiurgia ecumenica da servizio pubblico. Un re in esilio costretto ad abdicare, ma né Pippo senza la Rai né la Rai senza Pippo saranno più le stesse. A viale Mazzini, il Titanic del sabato sera continua a imbarcare acqua. Sale a bordo Adriano Celentano; il suo Fantastico fatto di pause, sorrisi, sermoni, silenzi, volti atterriti dei compagni di avventura sarà il più straordinario varietà della televisione italiana, e il suo atto di morte. Dopo quella plastica dimostrazione del proprio nulla, il mito del sabato sera colerà definitivamente a picco. Pippo lo capisce e quando, grazie a all’amico Ciriaco, torna a Viale Mazzini comincia una nuova stagione, più prudente e più accorta, di padre nobile che preferisce raccontare il passato, il presente scotta troppo. Quando Angelo Guglielmi lo chiama su Rai3 a condurre Uno su cento, il primo di tanti show sulla storia del costume, Pippo Baudo sulla rete comunista sa tanto di compromesso storico; il grande professionista riparte proprio da lì, e almeno in tv il compromesso storico funzionò.

Correva l’anno 1989, e a quel programma mi lega anche un fatto personale. Beniamino Placido aveva letteralmente reinventato la critica televisiva, dimostrando che leggere la televisione significa saper connettere tutto, da Shakespeare a Giuliano Ferrara è un attimo. Tutti i quotidiani cercavano un critico, ma non era facile; chi avrebbe potuto provarci ne aveva poca voglia; chi ne aveva voglia, arrancava dietro la soave leggerezza di Beniamino. Venne proposto anche a me di provarci, e il mio primo pezzo di critica televisiva fu appunto su Uno su cento. Dopo quell’imprinting avuto da Super Pippo ho cercato molte volte di smettere, ma non ci sono ancora riuscito.

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