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lunedì 19 settembre 2011












 A Castelvolturno nel dicembre del 1958
ASSASSINATO  ARTURO NOVIELLO SINDACO DI CASTELVOLTURNO
Chiarina D’Avanzo,  la moglie,  ritenuta  mandante del delitto e  condannata all’ergastolo con gli esecutori. Tutti assolti in appello.   
Un delitto misterioso  dopo 50 anni e’ ancora senza movente e senza colpevole. Un “giallo” della “nera” dai risvolti inquietanti che non si e mai chiarito come il rapimento del figlio  di Vincenzo Coppola.  


     Castelvolturno -    Castelvolturno  non è stata soltanto la città di  “Black Gomorra”, la  strage di  Giuseppe Setola ( avvenuta il 18 settembre del nel 2008 dove furono uccisi sei africani),  quella di un sindaco porcone, il magistrato  Francesco Nuzzo, ( falso e abuso, in due casi di concussione),  intercettato anche  per le sue profferte amorose ad una povera crista;  non è  l’abbattimento delle Torri  abusive, e non è neppure un villaggio di culured e droga,  o il luogo del rapimento del figlio di Vincenzo Coppola, (gestito da “Volpe Rossa” e rilasciato dopo un anno  di prigionia, nel 1981 e dopo il pagamento di ben sette miliardi delle vecchie lire);   o  dell’assassinio del cognato dell’Olimpionico  Oreste Scalzone, è il luogo   addirittura dell’assassinio di un sindaco e di  mille altre nefandezze. Ma è anche  il luogo dove nel 1969  è avvenuta una rivolta popolare,  con incendio del municipio, arresti,  saccheggiamenti  e vendette trasversali… con l’assassinio del giovane Oreste Traetto…  ma nulla e’ cambiato. Anzi oggi è peggio.
     Il tutto ampiamente documentato sia nel libretto “Inchiesta su un comune meridionale: Castelvolturno”,   di Aldo De Jago,  (Editori Riuniti -1972 ) e sia in quel bel libro dell’ex sindaco  Mario Luise,   (Il Fiume narrante: Vita e Mito alla foce del Volturno – Edizioni Frammenti – Stampa Sud  2009 ).  I due lavori letterari mettono a nudo la realtà di un comune,  tanto discusso allora come oggi,  e teatro incolpevole di tetri misfatti.        
      Ci occupiamo oggi,  in questa ultima puntata del nostro “excursus estivo”,  che ci ha visti rievocare i delitti più efferati,   di un  delitto misterioso il quale,   dopo 50 anni,  e’ ancora senza movente e senza colpevole.  Si tratta dell’uccisione di Arturo Noviello,  sindaco di Castelvolturno,  capo di una potente famiglia di imprenditori benestanti, ( un figlio l’Ing. Giuseppe Noviello,  ha costruito a S. Maria C.V. e Caserta interi parchi e tra l’altro era il proprietario-costruttore dell’Hotel Europa in via Roma di Caserta  ),    avvenuta il 17 dicembre del 1958, colpito  alle spalle, con una  gragnuola  di pallettoni,   mentre era seduto nel salotto della sua abitazione. Un “giallo” della “nera” che tenne banco nel 1958 e che appassionò investigatori ed inquirenti e che passò al vaglio della magistratura,  nei suoi tre gradi di giudizio, che, tuttavia,  non dipanò la matassa.
     
















Ma, nello stesso  tempo,  fu il solito “polverone” sollevato da indagini affrettate e portate a termine da suggerimenti politici o dalla spinta della emotività. Una famiglia distrutta nel fisico e nel morale che perse il capostipite mandato in modo tragico al cimitero  e vide la moglie Chiarina D’Avanzo,   tratta in arresto e sospettata dell’atroce delitto,  con una motivazione assurda… “perché era stata privata di parte dell’eredità”. La solita stupida indagine delle autorità competenti ( non si è mai capito competenti di che cosa?)  che all’epoca fu portata avanti dal comandante della Squadra di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di S. Maria C.V. Brig. Aniello Romanucci, un carabiniere ( che io ho conosciuto ) dai modi sbrigativi e rozzi ( come quelli del maresciallo della P.S. Vincenzo Iannetti) metodi polizieschi e staliniani: “O confessi o ti arresto”… ma devi confessare anche quello che non hai fatto… perché il sistema era consolidato: patate bollenti in mezzo alle gambe, ingurgito di acqua con l’imbuto, botte ai fianchi,  dove non si formano  ecchimosi, sigarette spente sui glutei,  una tortura insomma… nella migliore tradizione di polizia e carabinieri, per fortuna di altri tempi.
    
E’ proprio il caso di questo omicidio  e di questa indagine,  dove si arrestano cittadini accusati di delitti orrendi,  che sotto la tortura  della polizia e dei carabinieri confessano un delitto che non hanno commesso,  ma  poi,  inesorabilmente la giustizia ( quella, vera, quella amministrata da magistrati che non subiscono il fascino delle sirene della politica, dell’emozione popolare,  della spinta liberticida e forcaiola ) fa il suo corso. Tutti gli arrestati saranno liberati e assolti. Ma con quale danno sulle loro vite? Come si riprenderanno dopo anni di galera?  E quali risarcimenti –  per ingiusta detenzione – darà lo Stato,  considerato  che negli ultimi tempi anche imputati che hanno visto accolte le loro doglianze sono rimasti all’asciutto in quanto in Ministero della Giustizia per tali risarcimenti  non ha fondi? Un mistero, come il delitto che stiamo trattando.
     Nel corso di questi due mesi estivi,  abbiamo trattato 6 casi di “delitti” eccellenti,  che hanno trovato il consenso dei  nostri lettori e che ci riproponiamo di continuare con altri casi scottanti di Terra di Lavoro nella prossima estate. Abbiamo parlato del delitto di Consiglia Sciaudone,  da S. Andrea del Pizzone,  che per “aberratio ictus” nel tentativo di uccidere il suo seduttore,  uccise lui e altre due persone. Abbiamo poi scoperti i retroscena delle lettere anonime  che determinarono l’uccisione del Dr.  Enrico Gallozzi e del suo fattore Vincenzo Montesano nella masseria Piglialarmi di Pastorano. Lettere che sconvolsero la mente di Pasquale Raimondo che uccise i due. Lettere che vennero attribuite all“incolpevole” Angelina Fusaro,  una donna innamorata del culto di Saffo,  che venne accusata di istigazione a duplice omicidio e poi assolta. Dopo il processo si fece suora e capitò nello stesso convento dove anni prima si era rifugiata la sua preferita,  Anna Maria Raimondo,  figlia dell’assassino… fu  un idillio tra lesbiche? Giudicate voi.  
    




















 Nelle puntate successive abbiamo trattato l’efferato  crimine di Pasquale Maione,  un contadino di Frignano che,  innamoratosi della cognata,  uccise il fidanzato di questa, sua moglie ed avvelenò un suo figlio di 4 mesi. La  nostra attenzione è stata poi attratta dal caso della “Circe” di Mondragone, Petronilla D’Agostino, la quale concedendo favori sessuali ai fidanzati delle figlie,  fece uccidere il marito.  Siamo passati poi ad esaminare il caso emblematico della maestrina di Recale,  Rita Squeglia,  che in un raptus di follia  omicida strangolò il suo amante Nicola Acconcia.  Ed infine, il delitto del medico sammaritano Aurelio Tafuri ( dal quale è stato tratto il mio libro “Il delitto di un uomo normale”… eticamente deviato da una passione ignominiosa…   in ristampa  per la 3° Edizione  - Albatros  ) che uccise il giovane Gianni De Luca,  innamoratosi  della sua amante,  la ballerina Anna Maria Novi.
     Ma vediamo come andarono i fatti  per la vicenda  del delitto del sindaco di Castelvolturno,   riportandoci alle cronache e ai  documenti del tempo. Il Brig. Aniello Romanucci,  della Squadra di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica del Tribunale di S. Maria C.V. delegato a tanto dal maggiore Vincenzo Pallisco, comandante del Gruppo di Caserta e dal Capitano Giovanni Ruffo,  comandante della Compagnia carabinieri,    dopo “accurate” indagini trasse  in arresto  il fattore Antonio Fargnoli e il contadino Nicola Grieco – ritenuti esecutori materiali dell’efferato deitto – su mandato specifico della moglie del sindaco Chiarina D’Avanzo.
     Vincendo il  “ferreo  cerchio di omertà” che ancora esiste in quella plaga dei Mazzoni,  il “bravissimo” sottufficiale arrivava alla conclusione che la vedova aveva ordinato il delitto perché estromessa dall’asse ereditario, il contadino perché covava rancore nei confronti di Arturo Noviello,  perché allorquando era sindaco aveva negato la sua assunzione al Municipio e l’altro assassino si era visto negato la rettifica di un confino di terreno. Questi “moventi” erano sufficienti per i carabinieri e gli inquirenti dell’epoca,  per mandare alla forca il terzetto o quantomeno all’ergastolo. Per fortuna non fu così. Ma ci tentarono – come spesso ci tentano oggi – specialmente in Corte di Assise – quando il P.M. chiede l’ergastolo e la Corte poi assolve…
     Ma ci  interroghiamo  – perplessi – come si può essere condannati al carcere a vita o assolti con le stesse prove?  Come fanno a guardare in faccia i propri figli quei pubblici ministeri  ( e ce ne sono! ) che chiedono l’ergastolo ( solo per far uscire il loro nome sui giornali,  quello che gli esperti chiamano effetto “Barnum” ) sapendo che non vi è ceetezza della colpevolezza?
     Nel corso del prosieguo delle indagini – raccontano le cronache dell’epoca -   “mentre il Fargnoli ha pienamente confessato ( sotto tortura aggiungiamo noi ) il truce assassinio,  narrandone con raccapricciante cinismo i più minuti particolari,  sia la D’Avanzo che il Grieco,  continuano a protestare loro innocenza dicendosi vittime di una trama infernale ordita ai loro danni”. Ed erano veramente innocenti ma corsero il rischio di passare il resto della loro vita all’ergastolo, grazie alle “diligenti” indagini dei carabinieri.
      “Dalle indagini medesime – aggiunge il cronista – “è stato rilevato che il motivo che spinse la D’Avanzo a far uccidere il marito fu determinato da un avido desiderio di venire presto in possesso della sua parte di eredità”. La “brillante” operazione si è conclusa con il sequestro del fucile da caccia che il 17 dicembre del 1958 freddò Arturo Noviello nella sua abitazione.
     Ma che senso aveva ipotizzare un movente “per eredità”  e uccidere un uomo quasi settantenne? La D’Avanzo era la moglie e quindi erede legittima. Che ne avrebbe potuto farne,  di un grosso patrimonio,  tutti terreni e fabbricati? Ma si sa,  la mente ( perversa )  di un investigatore, pur di dimostrare la fondatezza delle sue tesi  oltrepassa ogni logica… deduzione! 
     A conclusione dell’indagine furono tratti in arresto la D’Avanzo, Fargnoli e Grieco e denunciati per omicidio aggravato dalla premeditazione. Mentre Vincenza Borrozzino,   una donna amica della D’Avanzo,  per complicità nel delitto,  e invece,  gli assessori  Michele Piazza e  Adolfo  Morrone per favoreggiamento.
     Rinviati a giudizio della Corte di Assise del Tribunale di S. Maria C.V.,   Chiarina D’Avanzo e Antonio Fargnoli  furono condannati all’ergastolo. Il  Grieco, Piazza, Borrozzino e Morrone,  tutti  assolti per insufficienza  di prove.  Nel processo furono impegnati gli avvocati Giuseppe Marrocco ( parte civile )  Ciro Maffuccini, Alfonso Martucci, Francesco Lugnano e Giuseppe Garofalo.
     Celebratosi il processo d’appello fu totalmente ribaltata la situazione ( come del resto per il processo agli assassini del sindacalista Salvatore Carnevale: 4 campieri siciliani condannati all’ergastolo a S. Maria C.V. furono assolti a Napoli ).   I giudici della Corte d'Assise d'Appello, dopo  sei ore in camera di consiglio,  assolsero, per insufficienza di prove, Chiara D'Avanzo e Antonio Fargnoli, entrambi condannati alla pena dell'ergastolo in primo grado,  per l'uccisione di Arturo  Noviello, marito della donna, ex-sindaco di Castelvolturno.
     I giudici di appello confermarono inoltre  l'assoluzione per insufficienza di prove di  Nicola Grieco, Vincenza Barrozzino e Andolfo Morrone, per non aver commesso il fatto. Nel giudizio d'appello, il P. M. aveva chiesto l'ergastolo per la D'Avanzo, per il Fargnoli e per il Grieco; per la Barrozzino, 22 anni di reclusione, per il Morrone due anni di reclusione. Ma nell’aula della Corte di Assise,  sia di Napoli che di S. Maria aleggiava il sospetto che ad uccidere Arturo Noviello,  con una schioppettata partita dalla finestra della cucina,  era stato un famigliare… si disse un figlio!



     



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