NELLA MASSERIA “PIGLIALARMI” DI VITULAZIO NEL 1952
ASSASSINATO IL DR. ENRICO GALLOZZI POSSIDENTE SAMMARITANO, NIPOTE DEL SEN. CARLO GALLOZZI E IL SUO FATTORE VINCENZO MONTESANO DA GRAZZANISE
L’omicida, Pasquale Raimondo, fu ritenuto totalmente infermo di mente e condannato a 10 anni di manicomio criminale - Angelina Fusaro da Grazzanise, accusata di istigazione a duplice omicidio, di essere una lesbica e autrice delle lettere anonime… fu assolta. Un storia di corna, di lettere anonime, di amori saffici, di suore in convento e di follia omicida.
Vitulazio – Spesso la realtà supera la fantasia. E questa storia lo conferma. Un aggrovigliarsi di eventi satanici e diabolici che sembrano usciti dalla mente di Satana… ma che invece, sono purtroppo, cruda realtà. Correva il mese di luglio del 1952, da dietro un cespuglio della tenuta “Piglialarmi” in tenimento di Vitulazio, esce un individuo che con un fucile da caccia, caricato a pallettoni, uccide il Dr. Enrico Gallozzi, chirurgo, 61 anni, latifondista, nipote del Sen. Carlo Gallozzi (deputato del Regno d’Italia, insigne professore universitario, che succedette al chirurgo Ferdinando Palasciano; a lui sono intitolati una strada e una scuola nella sua città natale) da S. Maria C.V., giunto sul posto a bordo della sua auto condotta dall’autista Vito Di Lillo, anche lui sammaritano e il suo fattore Vincenzo Montesano, di anni 52 da Grazzanise.
A scoprire i cadaveri fu il contadino Antonio Mercone da Pastorano il quale avvisò i carabinieri e sul posto convennero il mar. Giovanni Pautasso e il Brig. Raffaele D’Alessadro con il medico di turno Dr. Raffaele Cuccari. Il primo ad essere sospettato è il guardiano dell’azienda agricola Pasquale Raimondo, 49 anni da Grazzanise. Perché?
Le prime indagini sulla perizia medico-legale eseguite dai periti dottori Michele Sanvitale, Pasquale Tagliacozzi e Mario Pugliese, retrodatarono la morte alle 24 ore precedenti ed accertarono che il Gallozzi era stato attinto ai polmoni il Montesano agli organi interni ma era stato finito con un colpo alla testa.
Per prima cosa destò sospetto il fatto che il guardiano si diede alla macchia, poi, in seguito ad una perquisizione effettuata dopo il delitto, dal maresciallo Luigi Bruno, comandante la Stazione dei Carabinieri di Vitulazio, fu rinvenuto l’arma del delitto e si consolidò il sospetto che lui fosse l’assassino anche perché vi erano stati numerosi episodi venuti alla luce nel corso delle indagini.
Costituitosi al direttore delle carceri Enrico Matano confessò: “Ho ucciso Gallozzi perché aveva sedotto mia figlia ed era l’amante di mia moglie e Montesano perché, pur sapendo la cosa, ed essendo mio compaesano, non mi aveva riferito della tresca”. Non mi sembra un ragionamento da pazzo… Infatti ciò non era vero. Ossia, era la sua versione dei fatti, instillatasi nella sua mente malata e perversa. Ma facciamo un passo indietro per meglio capire l’intrigata vicenda.
I carabinieri accertarono, anche in base a serrati interrogatori di Maria Petrella, moglie del fattore ucciso Montesano, che a Pasquale Raimondo, guardiano delle terre del Dr. Gallozzi, da un poco di tempo arrivavano lettere anonime dalle quali si evinceva che sua figlia Maria Raimondo ( all’epoca dei fatti 16enne ) era stata deflorata dal Dr. Galozzi, e che la madre Giovannina Tessitore, 46 anni, moglie del Raimondo era l’amante del Gallozzi. La teste precisava, inoltre, che in paese correva voce che la figlia del Raimondo Maria era stata “deflorata” e “riparata” nella sua vergità dal Dr. Gallozzi ( egli infatti era un ottimo chirurgo ) ma la madre della ragazza sosteneva che era una calunnia.
Inoltre un tale Enrico Parente da Grazzanise, andava da tempo sparlando e sostenendo che Giovannina Tessitore, moglie di Pasquale Raimondo faceva la puttana ed era amante del Dr. Gallozzi. Ciò precisava di aver appreso da Vincenzo Montesano fattore dei beni Gallozzi. Intanto continuavano ad arrivare lettere anonime ed una giunse addirittura alla moglie del Montesano con la quale si annunciava l’assassinio del marito per mano di Pasquale Raimondo da lui più volte calunniato.
La moglie del Raimondo, informata dell’arrivo della lettera anonima che parlava del suo marito come probabile assassino dedusse che a Grazzanise vi erano molte persone che erano invidiose delle famiglie “Raimondo-Montesano” perché alcunini membri delle stesse lavoravano presso il latifondo del Dr. Gallozzi. Allora si faceva veramente la fame poiché era da pochi anni terminata la guerra. Ecco il primo atto di pazzia. Venuto a conoscenza di questa circostanza, Pasquale Raimondo prese un pugnale e lo consegnò alla moglie e le ordinò di uccidere Enrico Parente e chiunque avesse parlato male della figlia e della moglie.
Il Raimondo riteneva il Montesano un “traditore“ ed un “fetente” perché essendo paesano e conoscendo dei fatti scabrosi non glieli aveva riferito. Dal canto suo il Dr. Gallozzi, che riteneva tutte le accuse infondate, essendo egli innocente degli addebiti, si adoperò per una riconciliazione, ma il Raimondo restò fermo sulla convinzione che a inviare le lettere anonime fosse stato il fattore Vincenzo Montesano.
I carabinieri appurarono che il Raimondo, da circa tre anni aveva scacciato di casa la moglie e la figlia Maria perché alcune lettere anonime gli avevano comunicato che la figlia era stata sedotta e la moglie era l’amante di Gallozzi.
A questo punto della vicenda il primo colpo di scena. Maria Raimondo, scacciata da casa, con un’accusa assurda e calunniosa, ( la madre addirittura l’aveva fatta controllare ad un professore di Napoli che la dichiarò “illibata”), ma presa dallo sconforto, e per sottrarsi ai continui maltrattamenti del padre ( pare che avesse tentato anche di violentarla ) si andò a fare suore presso il Convento di “Calvi dell’Umilia” in Terni.
Tra gli episodi “singolari” per non dire “strani” di queste vicissitudini è da inquadrare il rapporto di coppia tra la moglie e l’assassino. Lei, pur essendo divisa da oltre tre anni, il sabato sera andava a coricarsi con il marito, nella masseria “Piglialarmi” a Pastorano, venendo apposta da Grazzanise. Perché lo faceva? Per dimostrare che non aveva rapporti con altri uomini? Lei stessa raccontò agli inquirenti i risvolti dei bruschi colloqui amorosi. Pasquale Raimondo, infatti, mentre sfogava i suoi istinti sessuali l’apostrofava con epiteti ( puttana, troia, ) ed a fine rapporto la picchiava selvaggiamente con una frusta e poi le sputava in faccia. In una circostanza cercò addirittura di strangolarla. Ma subito dopo averle contestato che era l’amante del Gallozzi e che non aveva avuto cura della figlia, scoppiava in dirotto pianto Le ecchimosi, le ferite ai glutei e alle braccia della donna furono riscontrate dal dr. Giovanni Izzo da Grazzanise che confermarono l’assunto della donna. Insomma Pasquale Raimondo era un pazzo, un feticista, un voyer o un sadico sessuale?
Ma chi continuava a far arrivare al Raimondo le missive anonime? Nell’ultima ( le lettere sono tutte allegate al processo ) veniva descritta tutta una circostanza precisa. La ragazza è stata deflorata. La mamma l’ha portata dal Dr. Gallozzi e questi l’ha “riparata” facendola ritornare vergine e lei… per ricompensarlo si era concessa. Non era affatto vero, ma nella mente del Raimondo si instillò il “tarlo del dubbio” e della veridicità dei fatti. E lui diventava sempre più violento e sadico contro le sue donne. Tanto è vero che la figlia Teresa di 21 anni, fece la “fuitina” dopo essere stata sedotta, e si sposò con Giuseppe Fusaro lontano da Grazzanise.
Ed inoltre si appurava che il Raimondo nutriva dissapori contro il Vincenzo Montesano, una delle sue vittime ( nonostante che fosse stato il fratello di quest’ultimo, il sacerdote Francesco Montesano, a farlo assumere nell’azienda Gallozzi ) perché questi era riuscito ad emergere nel suo lavoro ed era nelle grazie del padrone.
Ed eccoci al secondo colpo di scena. Angelo Parente, ricevitore postale di Grazzanise, rivelò che autrice delle lettere anonime che giungevano al Raimondo era Angelina Fusaro, 32 anni, da Grazzanise, una sarta “lesbica”, presso la quale in passato aveva lavorato la figlia del Raimondo che poi si era fatta suora. Il perito calligrafico di ufficio, Prof. Attilio D’Angelo, da Caserta, dopo la comparazione con altri scritti attribuì le lettere anonime alla sarta Angelina Fusaro.
Intanto Pasquale Raimondo, detenuto nel carcere di S.Maria C.V., con la pesante accusa di duplice omicidio aggravato, appariva depresso e malinconico ( un reo folle o un perfetto simulatore?), e per questo fu sottoposto, su ordine degli inquirenti, a perizia psichiatrica dai Prof. Pasquale Coppola, Primario del Manicomio di Aversa e dal Prof. Filippo Saporito ( il più noto psichiatra dell’epoca). Subito si scoprirono antenati pazzi ( è un classico nei processi penali ): Maria Raimondo, sua zia paterna era una psicopatica, altri antenati erano morti per lue e per mente debole.
In 117 pagine, i due periti di ufficio ( ai quali venne liquidata una parcella di lire 43mila quasi 600 euro di oggi ) conclusero che Pasquale Raimondo risultava già “costituzionalmente predisposto alle malattie mentali, per eredità psicopatica, e per precoce involuzione senile. Che, le lettere anonime a lui e ad altri pervenute intorno alla sua onorabilità di marito e di padre, con i relativi commenti corsi nel suo ambiante nei rapporti, soprattutto coi suoi datori di lavoro agirono su di lui come altrettanti “traumi psichici” in tutto il loro valore clinico-psichiatrico”.
“Che, sotto l’azione di tali traumi sommantisi, man mano, nei loro effetti patogeni il Raimondo contrasse una vera e propria psicosi, in forma delirante paranoidea, a contenuto geloso, ammantate da taciturnità, ma a decorso continuo e progressivo, con rare episodiche manifestazioni esteriori espressive della loro morbosità”.
“Che, nella notte precedente al delitto, la psicosi ebbe una esplosione acuta, a forma di confabulazione rappresentativa della sua vicenda familiare quale gli era stata configurata dalla psicosi, e dalla quale trasse il motivo morboso a delinquere. Che la sindrome psicopatica svelatasi nel corso della istruttoria, e tuttora in atto, a carattere confusionale, non è che una fase di collasso strettamente connessa con le sindromi precedenti e costituisce, insieme con esse, tutto un unico processo psicosico, ancora capace di non prevedibili sviluppi. Che, nell’atto dei commessi reati, il Raimondo trovavasi in tale stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere e volere e che l’imputato è persona socialmente pericolosa”.
Anche in questo processo, come del resto nel processo ad Aurelio Tafuri, ho riscontrato una grande battaglia tra i periti. Una guerra fredda, calcolata, che spesso approda a risultati di ”parte”. Raimondo per i periti di ufficio è pazzo e non è punibile. Per quelli di parte ( Prof. Annibale Puca e Prof. Giacomo Cascella, per conto della vedova Montesano ) è sano di mente ed è un simulatore. Alla fine chi ha vinto? Non certo la giustizia!
Infatti i giudici, due anni dopo il delitto, furono costretti a rivedere le cose ed ordinarono una perizia “suppletiva” che fu estesa al Prof. Vincenzo Barbuto oltre al Prof. Filippo Saporito. Ai quali fu chiesto espressamente: “Dite se le lettere anonime ricevute dall’imputato abbiano avuto efficienza causale scatenante il delirio di gelosia ovvero furono solo un fattore condizionante dello stesso, se il delitto si sarebbe verificato senza l’arrivo della lettere anonime”.
Il loro responso fu che “le lettere anonime pervenute all’imputato non hanno avuto efficienza causale scatenante il delirio di gelosia del Raimondo accertato con la precedente perizia giudiziale e che esse furono soltanto un fattore accessorio concomitante di un processo psicopatologico a lungo decorso, dovuto a cause precedentemente intrinseche alla sua personalità e che avrebbe potuto insorgere anche senza di esse”.
Di parere diverso, il prof. Puca e il prof. Cascella, Direttore e Assistente dell’Ospedale S. Maria Maddalena di Aversa ( così si chiamava prima il manicomio ) per la parte civile. “E’ spiegabile, è possibile, che un uomo, fino a poche ore prima, si era dimostrato lucido, logico, coerente, consequenziale, senza deficienze psichiche e senza disturbi psico-sensoriali improvvisamente – con un trasformismo da palcoscenico – diventi dissociato e confuso al punto da non riuscire neppure a pronunciare una frase sensata? Vi è un capitolo in Psichiatria che contempla tale evenienza al di fuori della simulazione? “Noi non lo crediamo – continuarono i consulenti di parte – ed abbiamo dati a iosa, per sostenere, senza ricorrere alle fantasie ed al possibilismo, la tesi della volontarietà del Raimondo di recitare la parte dell’ammalato di mente. La goffaggine con cui recita la sua parte, la nessuna attendibilità di essa, il modo con cui è stato preordinato e portato a termine il delitto, la linea difensiva impostasi, la monotonia delle sue frasi, e dei suoi atteggiamenti e soprattutto un dato importante che è stato messo in risalto dagli stessi periti di ufficio, e che è comune a tutti i simulatori o pseudo dementi, e come tale facile a riscontrarsi, Raimondo si rifiuta di sottoporsi a visite e colloqui e bisogna portarcelo con la forza, tipico dei criminali. Sottoposto a perizia, si rifiuta ed ha paura del confronto”.
I due insigni psichiatri così conclusero – confutando le tesi dell’accusa – “Pasquale Raimondo attualmente presenta una sindrome reattiva facilmente inquadrabile in quella descritta da Ganser e che si riscontra in alcuni detenuti al carcere preventivo. ( La sindrome di Ganser, chiamata anche pseudodemenza, è una sindrome neurologica di origine isterica nella quale si verifica una produzione volontaria di sintomi psicologici che tende al peggioramento quando il paziente è consapevole di essere osservato. Questi sintomi sono frequenti soprattutto nelle prigioni, dove il soggetto può valutare più o meno inconsciamente e aver interesse a disconoscere alcune realtà. N.d.R. ). Tale sindrome è insorta in lui dopo il suo internamento al carcere ed è da mettere in rapporto al desiderio di trovare una scappatoia alle sue responsabilità ed alle sanzioni conseguenti al delitto. Il movente che lo spinse ad uccidere va ricercato in un complesso di odio e rancore generatosi nel suo animo in quanto si sentiva esautorato dal rivale e soppiantato nei favori del padrone che negli ultimi tempi lo aveva messo da parte”.
“Le lettere anonime furono il paravento – scrivono ancora i periti di parte – dietro cui mascherò il suo rancore per il Montesano, e gli servirono per giustificare il proprio delitto. Per le ragioni sopra esposte il delitto fu premeditato ed eseguito con piena e fredda determinazione. E quindi in assoluta capacità di intendere e di volere. La volontà di uccidere è ampiamente dimostrata dal mezzo usato e dalla localizzazione dei colpi che furono diretti tutti in parti vitali ed inoltre la freddezza emozionale del momento si evidenzia palesemente dal feroce gesto da lui compiuto quando fracassò il cranio del Montesano con il calcio del fucile onde essere sicuro che l’altro non potesse sopravvivere. Il carattere violento e spietato dell’individuo la ferocia del crimine commesso, la particolare concezione ed interpretazione dei propri diritti l’assoluto disprezzo per la legge e per le autorità costituite, la mancanza dell’istinto di gregarietà, le caratteristiche biofisiche comuni e riscontrabili in tutti i criminali lo fanno considerare individuo socialmente pericoloso”.
Il terzo colpo di scena è consistito nella incriminazione della Fusaro. Sulle risultanze peritali, infatti, che avevano stabilito che le lettere anonime avevano determinato, in un certo modo, il duplice delitto, Angelina Fusaro venne accusata di istigazione a duplice omicidio ed arrestata.
Le contestarono “per avere mediante lettere anonime contenenti apprezzamenti diffamatori sulla condotta di Maria Raimondo e Giovannina Tessitore dirette a Pasquale Raimondo provocando nel medesimo la “slatentizzazione di una psicosi paranoidea, a tipo di delirio di gelosia che si andava man mano che gli anonimi pervenivano vieppiù aggravando, fino a diventare probabilmente insanabile pur sapendo che ogni lettera prevedeva intenzioni omicide.
Nelle more pervenne ai giudici dalla Svizzera, una lettera da parte del marito della donna, che la accusava apertamente di essere una “lesbica” e di essere andata non pura alle nozze. Questa circostanza aggravò ancora di più la posizione della donna.
Ma un successivo ulteriore intervento di altri periti calligrafici stabilirono che le lettere anonime, pervenute al Raimondo, non erano state scritte di pugno da Angelina Fusaro. A questo punto ci si domandava chi fu il demoniaco autore degli anonimi che istigava il padre contro la figlia Anna Maria ( sorella della ragazza che si era fatta suora ) denunziando che costei fosse stata sedotta da Giuseppe Fusaro, ( fratello di Angelina ) metre poi facilitava i convegni tra quest’ultimo e Raimondo Teresa ( altra sorella di Maria ) della quale era l’amante che fece scappare di casa e successivamente sposandola?
Il quarto colpo di scena venne fuori dalla deposizione di Maria Raimondo interrogata nel Monastero dove aveva preso i voti. “Mio padre un giorno mi venne a trovare e mi consegnò un coltello con il quale mi disse che avrei dovuto uccidere il Montesano perché questi aveva sparlato di me. Io per fortuna ero in compagnia di una suora che può testimoniare sulla circostanza che lui minacciò di uccidermi se non avessi compiuto il delitto… poi scoppiò a piangere… Io ero e sono vergine ciò è stato anche constata da una perizia del prof. Antonio Piccoli da Napoli. Mio padre era posseduto dal Diavolo… perciò ha commesso il duplice delitto”. Sulla sua relazione saffica con la Fusaro non volle parlare.
Tutte le indagini propendevano per l’accusa alla Angelina Fusaro quale autrice delle lettere anonime e addirittura il Giudice Istruttore lo scrisse nella sentenza di rinvio a giudizio: “La Fusaro invaghitasi di Maria Raimondo con la quale aveva avuto ed aveva pratiche lesbiche denunziava questa deficiente al padre Pasquale Raimondo, facendola maltrattare per attrarla a sé e poi addebitandole come amante il proprio fratello Giuseppe, favoriva invece effettivamente costui nei rapporti illeciti con Teresa”.
Per quanto attiene invece al Raimondo i giudici scrissero che lui era un pazzo e che conduceva una vita sregolata e spesso aveva tentato di violentare la figlia Teresa mentre apostrofava con parole come “puttana” ed altre irripetibili la moglie specie quando giaceva con lei.
Dopo due anni il processo in Corte di Assise ( Presidente Giovanni Morfino, a latere Guido Tavassi, pubblico Ministero, Gennaro Calabrese, cancelliere Domenico Aniello e Ufficiale giudiziario Giuseppe Girardi ). Il P.M. nella sua requisitoria chiese 10 anni di manicomio criminale per Pasquale Raimondo ( che era difeso dall’avvocato Ciro Maffuccini ) e definì l’imputato “un criminale ed un rozzo mazzonaro.. non un assassino ma un pazzo omicida”.
“Quando la notte – disse tra l’altro il pubblico ministero nel corso della sua requisitoria – ebbe l’ultimo convegno amoroso con la moglie e dalle innegabili confessioni della stessa sui consigli e sulle visite del Gallozzi ebbe l’allucinante ossessiva rivelazione nella sua mente ammalata che avesse ragione l’anonimo informatore a dirgli che la figlia come la madre si abbandonavano ad orge con il Dr. Gallozzi e il guardiano Montesano scambiandosi perfino senza ritegno i soggetti degli accoppiamenti. Che la figlia avesse subito l’onta di inenarrabili impudicizie fino al punto di avere conseguito, ad opera del Gallozzi, la “ricostruzione” apparente della propria verginità; che la madre si fosse accoppiata con Gallozzi mentre ella si accoppiava con Montesano”.
“Allora sì che si spiega l’evolversi, la conclusione e l’esplosione dell’impressionante processo morboso che come l’accesso di fissazione nel processo di degenerazione dei tessuti trova il suo momento generativo nell’unione del Raimondo con la moglie perché nella mente sconvolta del soggetto era ferma l’idea ossessiva che soltanto in quel momento di abbandono fisico pel compimento dell’atto fisiologico la moglie Giovannina Tessitore potesse indursi a dire la verità”.
“E’ stata l’ultima lettera anonima – ha concluso il Pubblico Ministero – a far scattare l’dea del delitto. In quella missiva Raimondo veniva accusato di rapporti incestuosi con la figlia che si era fatta suora e poi… vedi il caso, la Angelina Fusaro, prima che fosse scoperta come autrice delle lettere anonime, si va a fare suora e capita nello stesso convento della novizia sua allieva”.
Insomma secondo il p.m. “in fica veritas”, l’uomo si scopava la moglie per farla parlare… e poi alla fine dell’atto sessuale le sputava in faccia! La donna confessava tutto – anche quello che non era vero – come nella tortura – mentre aveva il rapporto sessuale col marito…
La pubblica accusa riservò parole di fuoco per la sarta: “L’imputato fu prescelto dalla malvagità di Angelina Fusaro per esercitare la vendetta di una donna viziosa, spregiudicata, che aveva creato un laboratorio di sartoria per circondarsi di fanciulle delle quali era gelosissima ( novella Saffo ) che spesse volte di notte teneva nel proprio letto e come è ovvio spesso corrompeva con le sue pratiche libidinose. L’amore prediletto di questa autentica maestra di depravazione e di concupiscenza omosessuale era però Maria Raimondo - e come fu accertato – aveva elaborato sapienti anonimi anche ai danni del proprio fratello a carico del quale Raimondo aveva incominciato a concepire i primi suoi folli propositi di soppressione”.
Angelina Fusaro si difesa da par sua: Io non ho scritto nessuna delle lettere che mi vengono attribuite, io ero amica di famiglia del Raimondo e la figlia veniva a cucire a casa mia. Non ho mai conosciuto Gallozzi. Mio marito nella lettera dalla Svizzera dice calunnie, io ero vergine al matrimonio. Entrai nel monastero della Orsoline non per seguire la Raimondo ma per vocazione. In precedenza avevo chiesto al prete del paese qual era il monastero migliore. Non è vero che Angelo Parente mi ha visto imbucare la lettre lui mi odia ed è un pessimo soggetto”. Poi scoppiando a piangere:” Non è vero che me la intendessi con le mie apprendiste… perché sono una persona seria. Nel mio matrimonio ho avuto un a bambina che è morta dopo 45 giorni”.
Fu creduta, nonostante che il piemme al termine della sua requisitoria avesse chiesto 23 anni di reclusione, la Angelina Fusaro, difesa dall’avvocato Giuseppe Garofalo fu assolta “per non aver commesso il fatto”. La parte civile era rappresentata dagli avvocati Vittorio e Michele Verzillo, per la vedova Montesano e da Enrico Altavilla per Flavia Bozza moglie del Dr. Gallozzi. In appello subentrò anche Giovanni Leone.
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