. Concluse le indagini preliminari e fissata a NAPOLI per il 21 SETTEMBRE
l’udienza PER IL “PAPIELLO” LETTO DALL’AVV. SANTONASTASO NEL CORSO DEL PROCESSO D’APPELLO SPARTACUS -
PARTI LESE ROSARIA CAPACCHIONE E ROBERTO SAVIANO
Imputati anche Francesco Bidognetti, Antonio Iovine e l’avv. Carmine D’Aniello – Nel documento si ipotizzava un uso poco ortodosso dei pentiti e la spinta colpevolista degli articoli dei due giornalisti – A Roma l’altro troncone con parti lese i magistrati Federico Cafiero De Raho e Raffaele Cantone.
Caserta – II Gip della 6° Sezione del Tribunale di Napoli, Dottoressa Maria Vittoria Foschini ( in seguito alla richiesta del P.M. della DdA Dr. Antonello Ardituro ) ha comunicato agli imputati Francesco Bidognetti, detenuto presso il penitenziario di Parma, difeso dall’avv. Elsa Cardone; Antonio Iovine, detenuto a Nuoro, difeso dall’avv. Paolo Caterino; all’avv. Michele Santonastaso, detenuto a Secondigliano, difeso di fiducia dall' avv. Laura Arena e Giuseppe Garofalo; all’avv. Carmine D’Aniello, difeso dagli avvocati Luigi Monaco e Mauro Valentino, che si è conclusa la fase delle indagini preliminari ed è stata fissata la prima udienza per il 21 settembre prossimo.
Agli stessi è stato contestato, in concorso tra loro, il reato di calunnia ( aggravata dal metodo mafioso) nei confronti dei magistrati Federico Cafiero De Raho e Raffaele Cantone, il cui processo è fissato per lo stesso giorno a Roma, mentre il filone di Napoli riguarda i due giornalisti e il reato contestato è quello della diffamazione.
Il tutto trae origine dalla lettura di un documento “di remissione alla Corte di Cassazione“ letto dall’avv. Michele Santonastaso, difensore storico di vari boss, ora detenuto per altro, nel corso del giudizio di appello del famoso processo Spartacus.
Una memoria che era stata definita una “vera e propria minaccia” nei confronti dei giornalisti Rosaria Capacchione, domiciliata presso la Questura di Caserta, ufficio del Gabinetto e Roberto Saviano, domiciliato presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma – Nucleo Scorte, laddove sarebbero stati invece definiti semplicemente “stampa prezzolata”.
Con riferimento al P.M. Raffaele Cantone ( ora al Massimario della Cassazione ) i quattro sarebbero accusati di aver sostenuto che vi sarebbero stati pesanti condizionamenti cui la DDA presso la Procura della Repubblica di Napoli sottopone i giudici della Corte di Appello di Napoli sostenendo tra l’altro che: “E’ difficile trovare nella storia giuridica italiana un esempio altrettanto grave ed evidente di condizionamento dell'organo giudicante, avendo l'accusa tentato di predisporre l’animus del giudice alla stesura di una sentenza, facendo leva su quel diffuso sentimento di timore che serpeggiava tra i giudici a causa dell'ormai consolidato clima di sospetto e di dubbio abilmente alimentato nel corso degli anni”.
La prova viene offerta dalla requisitoria del P.M. dell’udienza del 28.11.03 dove si tenta di imporre all’organo giudicante una condanna all’ergastolo. L'imperativo invito rivolto all’organo giudicante dal PM: ”In questo processo dovrà essere scritto in modo chiaro questo dato”… è di una evidenza sconcertante.
Tale frase viene definita nell'atto di remissione quale “dichiarazione di guerra” ed è posta come una anticipazione di quello che poi sarebbe stata la minaccia esplicita perpetrata nei confronti dei giudici della Corte di Assise di Appello ed anticipazione dell’articolo del quotidiano “Il Mattino”, del 23.04.2004 in cui si pubblicava la notizia che il magistrato Pietro Lignola ( presidente della Corte di Assise di Napoli ) era stato sottoposto a procedimento disciplinare.
“Tali condotte – è detto nell’accusa – vengono indicate come finalizzate al chiarissimo intento di “delegittimare il giudice che non sposasse i teoremi precostituiti della Procura Distrettuale”. Un altro passo che sarebbe stato ritenuto diffamatorio sarebbe quello che riguarda il (pentito) Augusto La Torre. Nella contestazione fatta all’avvocato Santonastaso è specificato il passo relativo alla “gestione” dei pentiti. In particolare è detto: ”Indicando l'introduzione del pentito Augusto La Torre nel processo Spartacus come “il punto più sconcertante toccato ( dagli inquirenti ) nel corso di questo procedimento, una nuova e potente arma da lanciare sul già arroventato ambiente del distretto di Corte di Appello di Napoli”.
Ed inoltre attribuendo all’affermazione del P.M. Cantone “se la sono bevuta”, “l’intento di intimidire i giudice della Corte di Assise dì Appello cercando in tutti i modi di ridicolizzare una loro coraggiosa decisione”, comportamento che, sempre secondo i remittenti, “ si inserisce in un torbido disegno criminosi volto a destabilizzare, con le armi del sospetto e delle tendenziose insinuazioni, la serenità e la obiettività del giudizio della Magistratura Giudicante.
Ed inoltre, qualificando nell’atto di remissione illegittime le condotte dei P.M. della DDA di Napoli e del Dr. Cantone in particolare con le frasi: “Legalità, valore calpestato, da chi ha fatto del proprio ufficio e dell'immenso potere che ne deriva, degli strumenti efficacissimi per il perseguimento dell’ideale di machiavellica memoria del fine giustifica il mezzo”.
Poi all’avvocato Santonastaso, e ai due boss, Bidognetti e Iovine è contestato anche la diffamazione per quanto attiene al falso alibi di La Torre ( per il duplice delitto Luciano Rosselli e Salvatore Riccardi, avvenuto nel marzo del 1990 N.d.R. ) “affermando circa la vicenda dal falso alibi del pentito Angusto La Torre, in ordine all’omicidio Rosselli –Riccardi e quindi, circa l'approfondimento investigativo del PM Cantone, in merito all'episodio ed alle relative domande al pentito; “Il P.M. anziché limitarsi ad ascoltare le propalazioni accusatorie del La Torre, pone domande su argomenti fino ad allora mai riferiti dal pentito… l' intento del PM di forzare le dichiarazioni del La Torre cercando in tutti i modi di fargli proferire accuse che in realtà non appartengono alla sfera conoscitiva del collaboratore”… L’Organo Inquirente resosi conto che il La Torre proprio non riesce a percepire l’intento cripto, onde evitare che vengano verbalizzate verità poco convenienti per i fini dell'accusa, rimanda ad un interrogatorio successivo … aggiungendo… “ed infatti nelle successive dichiarazioni rese dal La Torre al PM il collaboratore introduce particolari assolutamente nuovi e sconvolgenti rispetto alla ricostruzione del 21.2.2003”; dichiarazioni che sarebbero state indotte a seguito dell'interrogatorio del 20.9.2003.
Concludendo e commentando in proposito che si sarebbe in presenza di “un caso cristallino di plagio probatorio”. E in ordine al sopraggiunto recupero dei ricordi da parte del pentito, commentando: ”oppure è più probabile che questo apparentemente inspiegabile recupero di ricordi sia dovuto al malizioso suggerimento di un “quidam”.
Ed ancora… “Definendo la richiesta di trasmissione degli atti in Procura avanzata dal P.M. Raffaele Cantone a conclusione dell’udienza del 29.4.2003, nel corso della quale il pentito La Torre coinvolgeva l'avvocato Santonastaso nel suo falso alibi di cui sopra, “una minaccia nei confronti del difensore". “Commentando una presunta comunicazione telefonica tra il PM Cantone e il collaborante La Torre, definito amico del PM, avvenuta al termine dell’udienza del 29.4.2003.
A proposito poi della risonanza data dalla stampa alla vicenda del coinvolgimento dell'avvocato nella costruzione del falso alibi viene definita “quale machiavellica mossa” del PM che “aveva come unico scopo quello di alimentare con gli strumenti del sospetto e della tendenziosa insinuazione, la pressione gravante sulle spalle della magistratura del distretto”... sostenendo falsamente che il magistrato coltivava rapporti con la stampa perché alla “ricerca di pubblicità”.
Con riferimento al PM dr. Federico Cafiero de Raho, commentando, una lettera inviata dalla pentita Adriana Rambone al presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in cui sono lamentate delle omissioni, con la frase: “Il colloquio telefonico intercettato tra il collaboratore di giustizia Giuseppe Pagano e Carmine Schiavone: Schiavone nella predetta intercettazione confida a Pagano “di aver ricevuto un proponimento per accusare Silvio Berlusconi dal comportamento avuto dai magistrati napoletani e ne fa un nome Cafiero”…Dal contenuto effettivo della intercettazione il P.M. di questa accusa rileva invece che “emerge il contrario e cioè una correttezza del magistrato nel gestire i pentiti”.
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