Repertorio: il direttore con Vittorio Sgarbi in occasione della liberazione di Pietro Pacciani il presunto Mostro di Firenze |
Martedì 2 Ottobre in un Convegno al
Senato, organizzato da Antigone, l'associazione Comunità Papa
Giovanni XXIII, la Scuola di Filosofia fuori le mura e il Dipartimento di
Teoria e Metodi delle Scienze umane dell’Università di
Napol, discuteremo di "Ergastolo e Democrazia". Sul tema
il Sen. Francesco Ferrante ha scritto un articolo pubblicato ieri da
Europa: “Carceri, è l’ora delle alternative”, che ci permettiamo di inviare.
Carceri, è l'ora delle
alternative.
Non bisogna certo essere accaniti giustizialisti in Italia per nutrire dei
dubbi sul concetto di certezza della pena nel nostro Paese. La cronaca spesso
ci restituisce un’immagine di un sistema giudiziario inefficiente e
inefficace e che spesso suscita l'impressione che chi sbaglia non paghi fino in
fondo. E molte volte a questa sensazione se ne accompagna un'altra
relativa alla pena dell’ergastolo che invece è falsa. L'ergastolo,
la massima pena prevista nell'ordinamento giuridico penale italiano per un
delitto sarebbe una pena non abbastanza dura perché un luogo comune
piuttosto diffuso dice che “non è a vita, dopo un po’ escono tutti”. Invece no, in Italia
di ergastolo si muore. O meglio, nelle nostre carceri si infligge e si sconta
una “pena di morte viva”. Così l'ha chiamata Carmelo Musumeci,
ergastolano, scrittore e attivista per i diritti dei reclusi. In Italia infatti è in vigore l’ergastolo ostativo,
ovvero un ergastolo che non prevede assolutamente l’eventualità che la pena
carceraria si possa tramutare in una pena alternativa, non prevede permessi,
per alcun motivo: si passa la vita dietro le sbarre, fino al giorno in cui il
medico del carcere certificherà la morte del detenuto. Per questo a Carmelo le
autorità hanno negato il permesso di venire a rendere la
sua testimonianza a Roma in Senato, martedì 2 ottobre, al convegno che abbiamo
organizzato con Antigone, l'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII,
la Scuola di Filosofia fuori le mura e il Dipartimento di Teoria e Metodi
delle Scienze umane dell’Università di Napol su "Ergastolo e
democrazia". Al convegno parteciperanno oltre a Nadia Bizzotto e al
professor Giuseppe Ferraro, ideatori dell'iniziativa, e ai colleghi Di
Giovanpaolo, Bonino e Fleres, giuristi ed e esponenti della società civile impegnati
sul fronte dei diritti e della civiltà (da Gherardo Colombo ad Agnese
Moro, Paolo Ramonda a Stefano Anastasia, da Luciano Eusebi a Carlo Fiorio, da
Andrea Pugiotto a Eligio Resta).
Sarà l'occasione per tornare a parlare di ergastolo,
una pena che contraddice spirito e sostanza della nostra costituzione e in
particolare dell'"ostativo". Spiegheremo che il detenuto condannato a
questa pena ha una sola possibilità per sperare in un 'ora di
permesso, o che un giorno gli vengano riconosciuti i benefici di legge, di
legge insisto: occorre che collabori, ovvero che faccia i nomi di altri
coinvolti in reati gravi collegati alla criminalità organizzata. Un
"pentimento", che in alcuni detenuti possiamo e dobbiamo ritenere sia
sincero, che puòdimostrarsi solo in un’azione che per molti equivale a
coinvolgere la famiglia, che all’esterno potrà diventare il bersaglio di vendette
trasversali.
Non stupisce dunque che la grandissima maggioranza di chi ha un ergastolo
ostativo non diventi un collaboratore di giustizia. Una voce altamente
autorevole come quella l’ex presidente della Corte Costituzionale Onida, nel
rispondere a precise domande di Musumeci e altri condannati nelle sue
condizioni, ha confutato il nesso tra ravvedimento e pentimento espresso con la
collaborazione con la giustizia.
Sia chiaro che non è in discussione qui l’obbligo di infliggere
una pena severa, ma è il caso però di riflettere se quella che è una sostanziale
sentenza di morte, semplicemente diluita nel tempo, sia conforme ai principi di
uno stato di diritto, a partire dal nostro e dalla nostra Carta.
Il ravvedimento del condannato è il fine ultimo dello Stato che si
assume l’onere di punire il colpevole, ma l’ergastolo ostativo è la negazione assoluta del
concetto, perché una persona che uscirà solo da morta da
un penitenziario, consapevole di questo destino, non potrà mai ovviamente
dimostrare alla società se e quanto sia cambiato.
L’ergastolo ostativo è l’espressione più eclatante dell’annichilimento del
percorso di recupero, ma occorre avere il coraggio di affrontare questioni
impopolari quali l’ergastolo nella sua forma più diffusa e più in genere la
funzionalità del carcere e della pena.
Noi riteniamo che sia giusto dire la verità, elevare il livello di giustizia e
democrazia di uno stato affrontando lo stato delle carceri e dei detenuti, con
un approccio scevro di emotivitàe facile demagogia.
E’ arrivato il momento, come disse il cardinal Martini, di non limitarsi
a pensare a pene alternative, e già sarebbe qualcosa visto
l'intollerabile sovraffollamento delle carceri, ma ènecessario cominciare
a ragionare seriamente su alternative alle pene.
Sen. Francesco Ferrante
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