New York –
L’uomo che
sta per essere travolto
dal treno. Nessun aiuto.
Il fotografo scatta.
La professione comanda
sul diritto alla vita.
La ricerca dello scoop è un atto compulsivo, atteso, cercato spasmodicamente in anni di vita nelle redazioni dei giornali. E’ inutile nascondersi. L’educazione all’orrore si fa da anni nei giornali, i capiredattori, i direttori chiedono sangue. In Italia e anche altrove. In tutto il mondo. Inutile e falso, dunque, chiedersi perché un fotografo ha scattato la foto piuttosto che salvare un povero disgraziato stritolato, a sua detta, come un fantoccio da un treno in corsa.
di Paola Pastacaldi
sta per essere travolto
dal treno. Nessun aiuto.
Il fotografo scatta.
La professione comanda
sul diritto alla vita.
La ricerca dello scoop è un atto compulsivo, atteso, cercato spasmodicamente in anni di vita nelle redazioni dei giornali. E’ inutile nascondersi. L’educazione all’orrore si fa da anni nei giornali, i capiredattori, i direttori chiedono sangue. In Italia e anche altrove. In tutto il mondo. Inutile e falso, dunque, chiedersi perché un fotografo ha scattato la foto piuttosto che salvare un povero disgraziato stritolato, a sua detta, come un fantoccio da un treno in corsa.
di Paola Pastacaldi
Il 13 gennaio del 1928 il tabloid Daily News vendette un milione di copie
in più. Il giornale per la prima volta faceva vedere ai suoi lettori una
condannata a morte (amarezza del caso vuole che fosse una donna, Ruth Snyder,
in tempi di femminicidio non ci stupiamo). La foto era stata realizzata da un
giornalista, che aveva nascosto sotto i calzoni una piccola macchina
fotografica. E l’aveva accesa nel momento dell’esecuzione. I fotografi,
infatti, non erano ammessi alle esecuzioni. Anche allora come oggi tante
polemiche, ma sembra che da allora nessuno in Usa abbia osato pubblicare la
foto dei giustiziati. Oggi, come allora, però ne parliamo, abbiamo ancora un
residuo di capacità di inorridire.
Alla fermata di Times Square, nel centro brulicante e ricco di New York, c’è
tanta folla. Un fotografo free lance vede un uomo che tenta di arrampicarsi sul
marciapiede, è caduto sui binari. Qualcuno lo ha spinto, il treno sta
arrivando. E’ quasi arrivato, l’uomo sta per essere investito, tenta di
risalire la banchina ma non riesce. Si capisce che sarà investito dal treno
davanti agli occhi di altre persone inermi, non sanno che fare. Sono attimi, in
cui i presenti pensano certamente a che cosa possono fare per salvare la vita
di quell’uomo sconosciuto, ma il treno non attende. E il fotografo scatta. La
professione comanda.
La ricerca dello scoop è un atto compulsivo, atteso, cercato
spasmodicamente in anni di vita nelle redazioni dei giornali. E’ inutile
nascondersi. L’educazione all’orrore si fa da anni nei giornali, i capiredattori, i
direttori chiedono sangue. In Italia e anche altrove. In tutto il mondo. La
foto, soprattutto la più drammatica, la più acerba, la più terribile, quella
che sembra impossibile, raccapricciante, è la più ricercata, la più voluta e
richiesta. E anche pagata. Benissimo. Inutile mentire. Il motivo è ancora più
chiaro e noto. Come nel 1928 per la condannata a morte, anche oggi l’orrore
vende, l’orrore sbattuto in prima pagina paga. La legge italiana parla di foto
raccapriccianti, non ammesse a causa dal comune senso del pudore. Si rischia la
galera. Ma quale è oggi ormai il comune senso del pudore, in mano ai media? Il
comune senso del pudore ha fatto un balzo nell’orrore.
Da anni assistiamo, inermi, compiacenti, infastiditi, indifferenti,
nauseati, a morti in diretta, guerre, attentati suicidi, quasi delitti, siamo
costretti a guardare le foto dei cadaveri sparsi sulla sabbia dello tsunami, ai
corpi smembrati delle decine di attentati in Israele e altrove. E’ vero che
decine di lettori hanno scritto ai grandi quotidiani: “Basta, siamo stufi di
guardare cadaveri!”. Il problema è che gli editori, cioè i giornalisti
comandati dagli editori e spaventati dal ricatto del posto di lavoro (ormai non
più sicuro), non vogliono condividere questa scelta coi lettori; i mostri li
sbattono in prima pagina, senza dire né chiedere nulla a nessuno. Né alla
deontologia, tantomeno alla loro coscienza o a quello che avanza della loro
coscienza. Diciamo di più, durante i sequestri di soldati nella guerra
dell’Irak e dell’Afghanistan, minacciati di morte per decollamento (uccisioni
poi avvenute con tanto di video consegnato ai giornali), gli annunci di morte
avvenuta e le relative foto venivano sbattuti in home page dei siti dei
quotidiani in una lotta feroce a chi arrivava prima a dare la notizia del
morto, prima ancora che fossero eseguiti. Avete letto bene. Prima. Perché? Ma
perché chi dava la notizia prima era più bravo, avrebbe avuto più contatti.
La morte vende, è una notizia vecchia come l’uomo. Il fatto che la morte
oggi sia rappresentata come una recita teatrale, pronta per un usa e getta
sulle tavole degli italiani all’ora di cena, bambini e innocenti compresi, ha
alzato la qualità dell’orrore. I professionisti della comunicazione,
giornalisti, fotografi, non ultimi gli editori, si sono da tempo messi alla
ricerca di qualcosa di più terribile, di sempre più agghiacciante. Cercano di
inscenare la realtà più atroce, per dire ai lettori, noi siamo i più bravi. Ma
le copie vendute in più non garantiscono certo la qualità di diffusione di quel
giornale. Ormai è un gioco al massacro, che gli stessi lettori e telespettatori
stanno smascherando, colpiti da nausea. Hanno capito che, come diceva Popper, che
sul cibo che puzza della televisione o degli altri media i giornalisti versano
oggi molte, troppe spezie per non far sentire il cattivo odore di merce
avariata che viene dalle notizie che gli operai dell’informazione sono
costretti a ficcare dentro i media. Inutile e falso, dunque, chiedersi perché
un fotografo ha scattato la foto piuttosto che salvare un povero disgraziato
stritolato, a sua detta, come un fantoccio da un treno in corsa.
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Usa. Non si placa la polemica negli Stati Uniti per la
foto, pubblicata in prima pagina dal tabloid New York Post, dell'uomo che sta
per essere travolto dal treno che l'ha ucciso dopo essere stato fatto cadere
dal marciapiede di una stazione della metro newyorkese. L’accusa: il fotografo
ha preferito scattare una foto piuttosto che cercare di aiutare l'uomo che ha
tentato, senza che nessuno l'aiutasse, fino alla fine di risalire sul
marciapiede. (inhttp://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=10763)
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