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venerdì 7 dicembre 2012


New York – L’uomo che
sta per essere travolto
dal treno. Nessun aiuto.
Il fotografo scatta.
La professione comanda
sul diritto alla vita.


La ricerca dello scoop è un atto compulsivo, atteso, cercato spasmodicamente in anni di vita nelle redazioni dei giornali. E’ inutile nascondersi. L’educazione all’orrore si fa da anni nei giornali, i capiredattori, i direttori chiedono sangue. In Italia e anche altrove. In tutto il mondo. Inutile e falso, dunque, chiedersi perché un fotografo ha scattato la foto piuttosto che salvare un povero disgraziato stritolato, a sua detta, come un fantoccio da un treno in corsa.

di Paola Pastacaldi



Il 13 gennaio del 1928 il tabloid Daily News vendette un milione di copie in più. Il giornale per la prima volta faceva vedere ai suoi lettori una condannata a morte (amarezza del caso vuole che fosse una donna, Ruth Snyder, in tempi di femminicidio non ci stupiamo). La foto era stata realizzata da un giornalista, che aveva nascosto sotto i calzoni una piccola macchina fotografica. E l’aveva accesa nel momento dell’esecuzione. I fotografi, infatti, non erano ammessi alle esecuzioni. Anche allora come oggi tante polemiche, ma sembra che da allora nessuno in Usa abbia osato pubblicare la foto dei giustiziati. Oggi, come allora, però ne parliamo, abbiamo ancora un residuo di capacità di inorridire.

Alla fermata di Times Square, nel centro brulicante e ricco di New York, c’è tanta folla. Un fotografo free lance vede un uomo che tenta di arrampicarsi sul marciapiede, è caduto sui binari. Qualcuno lo ha spinto, il treno sta arrivando. E’ quasi arrivato, l’uomo sta per essere investito, tenta di risalire la banchina ma non riesce. Si capisce che sarà investito dal treno davanti agli occhi di altre persone inermi, non sanno che fare. Sono attimi, in cui i presenti pensano certamente a che cosa possono fare per salvare la vita di quell’uomo sconosciuto, ma il treno non attende. E il fotografo scatta. La professione comanda.


La ricerca dello scoop è un atto compulsivo, atteso, cercato spasmodicamente in anni di vita nelle redazioni dei giornali. E’ inutile nascondersi. L’educazione all’orrore si fa da anni nei giornali, i capiredattori, i direttori chiedono sangue. In Italia e anche altrove. In tutto il mondo. La foto, soprattutto la più drammatica, la più acerba, la più terribile, quella che sembra impossibile, raccapricciante, è la più ricercata, la più voluta e richiesta. E anche pagata. Benissimo. Inutile mentire. Il motivo è ancora più chiaro e noto. Come nel 1928 per la condannata a morte, anche oggi l’orrore vende, l’orrore sbattuto in prima pagina paga. La legge italiana parla di foto raccapriccianti, non ammesse a causa dal comune senso del pudore. Si rischia la galera. Ma quale è oggi ormai il comune senso del pudore, in mano ai media? Il comune senso del pudore ha fatto un balzo nell’orrore.

Da anni assistiamo, inermi, compiacenti, infastiditi, indifferenti, nauseati, a morti in diretta, guerre, attentati suicidi, quasi delitti,  siamo costretti a guardare le foto dei cadaveri sparsi sulla sabbia dello tsunami, ai corpi smembrati delle decine di attentati in Israele e altrove. E’ vero che decine di lettori hanno scritto ai grandi quotidiani: “Basta, siamo stufi di guardare cadaveri!”. Il problema è che gli editori, cioè i giornalisti comandati dagli editori e spaventati dal ricatto del posto di lavoro (ormai non più sicuro), non vogliono condividere questa scelta coi lettori; i mostri li sbattono in prima pagina, senza dire né chiedere nulla a nessuno. Né alla deontologia, tantomeno alla loro coscienza o a quello che avanza della loro coscienza. Diciamo di più, durante i sequestri di soldati nella guerra dell’Irak e dell’Afghanistan, minacciati di morte per decollamento (uccisioni poi avvenute con tanto di video consegnato ai giornali), gli annunci di morte avvenuta e le relative foto venivano sbattuti in home page dei siti dei quotidiani in una lotta feroce a chi arrivava prima a dare la notizia del morto, prima ancora che fossero eseguiti. Avete letto bene. Prima. Perché? Ma perché chi dava la notizia prima era più bravo, avrebbe avuto più contatti.


La morte vende, è una notizia vecchia come l’uomo. Il fatto che la morte oggi sia rappresentata come una recita teatrale, pronta per un usa e getta sulle tavole degli italiani all’ora di cena, bambini e innocenti compresi, ha alzato la qualità dell’orrore. I professionisti della comunicazione, giornalisti, fotografi, non ultimi gli editori, si sono da tempo messi alla ricerca di qualcosa di più terribile, di sempre più agghiacciante. Cercano di inscenare la realtà più atroce, per dire ai lettori, noi siamo i più bravi. Ma le copie vendute in più non garantiscono certo la qualità di diffusione di quel giornale. Ormai è un gioco al massacro, che gli stessi lettori e telespettatori stanno smascherando, colpiti da nausea. Hanno capito che, come diceva Popper, che sul cibo che puzza della televisione o degli altri media i giornalisti versano oggi molte, troppe spezie per non far sentire il cattivo odore di merce avariata che viene dalle notizie che gli operai dell’informazione sono costretti a ficcare dentro i media. Inutile e falso, dunque, chiedersi perché un fotografo ha scattato la foto piuttosto che salvare un povero disgraziato stritolato, a sua detta, come un fantoccio da un treno in corsa.


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Usa. Non si placa la polemica negli Stati Uniti per la foto, pubblicata in prima pagina dal tabloid New York Post, dell'uomo che sta per essere travolto dal treno che l'ha ucciso dopo essere stato fatto cadere dal marciapiede di una stazione della metro newyorkese. L’accusa: il fotografo ha preferito scattare una foto piuttosto che cercare di aiutare l'uomo che ha tentato, senza che nessuno l'aiutasse, fino alla fine di risalire sul marciapiede. (inhttp://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=10763)


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