10 maggio 2013 - ore 06:59
Chicco, l’elefante e la mafia
Mentana abbandona Twitter: troppe le
molestie subite per aver ospitato a La7 un
barrito crudo e simpatetico sull’antropologia
siciliana. Così Internet e le cose di Cosa
nostra diventano pasto bilioso per non lettori
Questa è la storia di come Enrico Mentana (@ementana) ha lasciato Twitter, il salotto dei salotti, bolla trasparente abitata da aristocratici e plebei, da cui troppo si è sentito oltraggiato. Ma questa è anche la storia di un barrito televisivo di @ferrarailgrasso a La7, in casa Mentana, “la mafia è l’essenza della Sicilia”, ha detto il direttore del Foglio, e del suo riverbero becero twittarolo. Risultato: botte da orbi (virtuali) sul direttore (reale), sconcerto e fiele tracimanti fra chiocciole e hashtag. “L’onda di gente che non sa, non ha visto, non ha sentito, non capisce”, mi spiega Mentana al telefono, lo ha spinto a prendere cappello e paltò. Twitter addio. “Il numero di tizi che si esaltano a offendere è in continua crescita. Calmi, tra poco ce ne andremo, così vi insulterete tra di voi”. E insomma la mafia, un tema conflittuale e controverso, che di per sé esprime un eccesso di senso, una dismisura; la mafia, una parola e un destino su cui si costruiscono carriere e si consumano morti eroiche, ora diventa anche il detonatore di una bagarre per chiunque, letterato e illetterato, purché nella misura dei 140 caratteri. “Desidero ricordarti, per nulla caro sacco di merda, che la mafia è l’assenza dello Stato e non l’essenza della Sicilia”, tuìtta @AntonioMoschet, “sei un insulsa merda.. un pecorone, non sei degno di essere Italiano.. da "quella maledetta isola"”, tuìtta @NGenitori. E @PButtafuoco sintetizza: “L’anonimo su twitter è come l’orinante che scrive sul muro delle pubbliche ritirate”.
Il barrito dell’elefantino, capace di assorbire l’urto perché è a sua volta urtante, si riferiva alla mafia come scienza antropologica e all’antropologia come scienza mafiosa, il mafioso è mafioso perché è siciliano? E dunque il siciliano antimafioso è un infelice perché non è più un siciliano? Mafiosi si nasce o si diventa? Giovanni Falcone descriveva la mafiosità come un’essenza, un modo d’incedere, una certa inclinazione della voce o dello sguardo, un codice cui il giudice si abbassava per raccogliere le rivelazioni di Buscetta e degli altri pentiti. Cesare Lombroso misurava le scatole craniche e cercava il crimine nella fisiognomica, Napoleone Colajanni gli rispondeva che si diventa mafiosi per questioni sociali, la povertà, l’assenza dello stato, quello misurava le fronti sporgenti, l’altro ragionava di istituzioni ed economia; il prefetto Mori faceva una battaglia antropologica, assediava Gangi e cercava i brutti ceffi, prendeva in ostaggio i loro famigliari, e d’altra parte anche oggi tutti guardano con sospetto i figli di Totò Riina perché la mafia è intesa come famiglia – “la famiglia viene prima di tutto”, dice il Padrino Marlon Brando. Ecco, ma si intende come famiglia la famiglia naturale o la famiglia allargata? E la famiglia è dunque un concetto mafioso?
L’argomento è imprendibile, fa drizzare i nervi dei giusti e dei forsennati, dei tetragoni, dei non-lettori da 140 caratteri, quell’utente anonimo da novanta follower, più o meno la somma dei suoi amici e parenti, che non conosce le sfumature, che usa Twitter come strumento di scarico, il mezzo che ti dà l’opportunità di poter duettare con @DeBortoliF, il direttore del Corriere della Sera, nella lancinante speranza di una sua risposta che legittimi la tua stessa esistenza. @ferrarailgrasso, che ha evidentemente stazza, resiste e si diverte. @ementana invece lascia, e mi dice, un po’ seccato, che “la questione della mafia non c’entra niente. E’ una storia diversa, ho capito che non ci si può confrontare con una marea montante di gente che vuole solo menare le mani”.
Anche Falcone ne faceva una questione di essenza, in “Cose di Cosa nostra” racconta un episodio: un tizio protesta contro un altro che ha parcheggiato di traverso, intralciando la circolazione. Si agita, urla. L’altro lo osserva indifferente e poi continua a parlare con un suo amico come se niente fosse. Il tizio non fa una piega e se ne va senza fiatare. Aveva capito, davanti all’atteggiamento sicuro dell’interlocutore, che, se avesse insistito, le cose avrebbero preso una brutta piega e lui sarebbe uscito perdente dallo scontro. “Questa è la Sicilia”, concludeva Falcone, “l’isola del potere e della patologia del potere”. Si può sostenere che l’identità della mafia sia un’altra, perché se la mafia è antropologia allora forse l’isola devi abbandonarla, lasciare che s’inabissi alla deriva. Si può dire che sono i mafiosi a essere convinti che il loro codice sia natura, cioè antropologia. E’ pur sempre un mafioso quel Don Mariano cui Sciascia consegna le cinque categorie dell’umanità, che sono codice criminale: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Tutto questo, su Twitter, non c’è e non potrà mai esserci, il pensiero degli anonimi si aggrega per rilassamento muscolare, come una flatulenza. Twitter è luogo di prossemia ristretta e dunque di promiscuità, una bolla di potenziali molestie nell’epoca della loro riproducibilità seriale, l’epoca internettiana. Mentana mi dice che “il mezzo è straordinario, e si può anche ragionare. Ma i social network non hanno nuance, non ci sono le sfumature. Questo non è più il mio club, lascio”. Lascia, Mentana, accompagnato all’uscita dai twittomani che esaltano l’aspetto ludico della faccenda: “Fate cadere il governo, dimettere Napolitano, qualcosa, date una diretta a Mentana, non lo posso vedere così (@lasoncini)”. Mentre io, che sono siciliano, vedo tanti mafiosi – mizzica! – che siciliani non sono.
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