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giovedì 9 maggio 2013


 

Il processo immediato ai fratelli Ragosta

IL TRIBUNALE DI NOLA HA ACCOLTO LE ECCEZIONI  DELLA DIFESA

Annullato ogni provvedimento e rinviati gli atti al Tribunale di Napoli competente per territorio

 

Caserta -  Il giudizio immediato,  chiesto dalla Procura  di Napoli,  ed accolto dal Gip Dr. Alberto Capuano del Tribunale di Nola,  è stato completamente annullato in seguito alle eccezioni preliminari poste dalla difesa dei fratelli Ragosta avvocati Alfonso Quarto e Gennaro Iannotti. Con sentenza letta in udienza il Gip ha ritenuto valide le argomentazioni della difesa sulla incompetenza territoriale del Tribunale di Nola ed ha rimandato il tutto al Tribunale di Napoli.

     Il processo di Nola era solo una tranche di quella bufera abbattutasi sulla Commissione Tributaria di Napoli emersa dall'inchiesta della Dda di Napoli – (60 indagati, 47 arresti, tra cui 16 giudici tributari e un miliardo di euro sotto sequestro)  – sugli intrecci tra imprenditoria in odore di camorra e ambienti istituzionali.

     Al centro dell'indagine ci sono il Gruppo Ragosta di San Giuseppe Vesuviano ( che ha vari interessi c on appalti anche pubblici in Provincia di Caserta e stabilimento metallurgico a Gricignano d’Avera )  e la sua tentacolare capacità corruttiva  - è dewtgto nell’accusa - all'interno della commissione tributaria provinciale e la commissione regionale di appello. Grazie a soldi, regali e promesse di benefit a personale amministrativo e toghe, la holding – che poteva contare su una liquidità di 100 milioni provenienti dal clan Fabbrocino – riusciva a pilotare i “ricorsi tributari” per il “recupero di imposte non pagate” e a truffare l'Erario.

     In alcuni casi, il Gruppo assoldava come consulenti “in nero” i giudici in violazione delle “normative di settore che prevedono l'incompatibilità” tra le due funzioni. Al centro della trama, secondo gli investigatori, ci sarebbe Annamaria D'Ambrosio, “nella duplice veste di commercialista/consulente fiscale del Gruppo Ragosta e di giudice tributario”, cui i pm contestano indebite interferenze, in combutta con i colleghi, per una serie di ricorsi del valore di oltre 150 mln di euro.

    Le indagini hanno dimostrato una fitta rete composta da imprenditori, professionisti e giudici che attraverso uno scambio reciproco di favori, segnalazioni ed aggiustamenti di sentenze e di pilotamento delle assegnazioni a giudici relatori compiacenti che  hanno per lungo tempo e con assoluta costanza turbato l'esercizio della giustizia tributaria offrendo l'indecoroso spettacolo di un vero e proprio mercato delle sentenze. L'inchiesta dei pm antimafia, si è avvalsa, tra l’altro,  delle dichiarazioni di vari  pentiti di camorra ( Dario De Simone, Carmine Schiavone, Pasquale Galasso, Carmine Alfieri, Salvatore Laiso, Raffaele Piccolo, Luigi Tartarone, Emilio Di Caterino e Gaetano Vassallo);  delle intercettazioni ambientali e mobili, delle informative e delle relazioni di servizio e di testimonianze rilevanti come quella di Attilio Befera ( Amministrazione Unico di Equitalia S.p.A. e del Dr. Renato Nigro, curatore fallimentare dell’asta dell’Hotel Rayto. 

     Agli atti del procedimento c'è anche un riferimento a una pratica del padre dello scrittore Roberto Saviano. Ne parla un uomo in una intercettazione ambientale: “È raccomandato da Corrado Rossi (giudice tributario arrestato, ndr)… è un medico di base ha fatto la combine con i centri medici, le radiologie e mò ha il fascicolo da me e poi Corrado Rossi mi ha raccontato tutta la storia, i genitori di Roberto Saviano si sono separati ed il padre... è mezzo imbroglioncello”. 

          Gli imputati di questa prima tranche sono: Adiletta Concetta, moglie del Ragosta;  Giovanni Ambrosio, sindaco della società fallita;   Anna Maria Ambrosio; Giorgio Del Galdo, amministratore unico della società fallita; Ersilio Giannino, Francesco Greco, procuratore della società fallita; Annamaria Iovino, Fedele Ragosta, Francesco Ragosta, Giovanni Ragosta, (difeso dall’avv. Alfonso Quarto); Luigi Scala, sindaco della società fallita; Carmela Vanacore, e Giuseppe Virzo, quale presidente del collegio sindacale  ( difeso dall’avv. Gennaro Iannotti ).
     I fratelli Ragosta sono accusasti di 416 bis  C.P. ( associazione a delinquere di stampo mafioso ) perché, nella consapevolezza della  rilevanza causale del proprio  rapporto, fornivano da esterni contributo significativo e rilevante al raggiungimento delle finalità associative del sodalizio di tipo mafioso denominato “clan Fabbrocino”, promossø, diretto ed organizzato da Mario Fabbrocino,  che  operando sull’intera area vesuviana e nella provincia di Napoli ed altrove, si avvale della forza di intimidazione  del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per la realizzazione dei seguenti scopi: . il controllo delle attività’ economiche anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali;  il rilascio di concessioni e di autorizzazioni amministrative;  l’acquisizione di appalti e servizi pubblici.
     Inoltre è contestato ai fratelli Ragosta  l’illecito condizionamento dei diritti politici dei cittadini  (ostacolando il libero ésercizio del voto, procurando voti  a candidati indicati dall’organizzazione in occasioni di  consultazioni elettorali) e, per  tale tramite, il condizionamento della composizione e delle attività degli organismi politici rappresentativi  locali e  il condizionamento  delle attività delle amministrazioni pubbliche locali e centrali; nonché il  reinvestimento speculativo in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali  degli ingenti capitali derivanti dalle attività delittuose, sistematicamente  esercitate (estorsioni in  danno di imprese affidatarie di  pubblici e privati appalti e di  esercenti attività commerciali,  traffico di sostanze stupefacenti, truffe in danno delta CEE., usura ed altro) ad  assicurare impunità agli affiliati attraverso il  controllo, realizzato anche con la corruzione, di organismi   istituzionali.
    Il tutto per l’affermazione   del controllo egemonico sui territorio, realizzata anche attraverso la contrapposizione armata con organizzazioni criminose rivali ( nel tempo, N.C.O., di Raffaele Cutolo, il gruppo Nuvoletta e altro ancora. Il conseguimento,  infine, per sé e per gli altri affiliati di profitti e vantaggi ingiusti. Anche attraverso la commissione di vari delitti fra cui, in particolare, le estorsioni agli operatori economici, gli omicidi, la detenzione e porto in luogo pubblico di armi, l’usura, il commercio ed il traffico anche transnazionale di sostanze stupefacenti. Condotte tutte funzionali ad ottenere il controllo  delle attività illecite e lecite del territorio vesuviano e zone limitrofe.  
    In particolare i Ragosta – è detto ancora nell’atto di accusa – per il tramite di Franco Ambrosio -  ( reggente pro tempore  di cui si procede con processo a parte ) e di suoi affiliati e o incaricati ricevevano proventi delle attività criminali del clan camorristico Fabbrocino nella consapevolezza della loro origine delittuosa e, stabilmente, provvedevano a reinvestire in attività illecite ( traffico illegale di rifiuti ) e lecite per conto del sodalizio di cui erano diventati stabili “partners” economici fornendo un rilevante contributo al raggiungimento delle finalità dell’Ente mafioso, strumentalizzavano le risorse umane mafiose per l’acquisizione, eliminando la concorrenza di complessi aziendali di prestigio e di ingente valore economico, contribuendo altresì alla realizzazione   di un esteso monopolio sostenuto e conseguito attraverso la sistematica azione del clan nel commercio dei materiali e rifiuti ferrosi.
     Al Gruppo Ragosta è anche addebitata la scalata a grossi opifici con investimenti di miliardi e il controllo di centinaia di società in vari settori commerciali ( Acciaeria del Sud S.p.A., Sapori Italia, Ecotransider, Rag. Fer, Steeel Consulting, Ferrimm S.p.A., ed altre ) nonché varie azioni di bancarotta e distrazione di capitali – “distraevano, occultavano, dissimulavano, distruggevano e dissipavano i beni della    RER S.p.A., già Reynolds Europe Recycling S.p.A,  svolgente attività di lavorazione in proprio e per conto terzi di materiali ferrosi e non ferrosi,  dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli,  con passivo in corso di accertamento allo stato risultante ammontante a circa euro 38.000.000,00. Sottraevano alla fallita società, inoltre, consistenti somme di denaro corrispondenti ai flussi finanziari in entrata erogati da vari istituti di credito, tra cui Unicredit Corporate Banking S.p.A. già Banca di Roma che riportava sofferenze ammontanti a più di 11 milioni di euro e non meno di 5 milioni di euro erogati dallo Stato  per finalità di rilancio industriale.   

 


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