Il processo immediato ai fratelli Ragosta
IL TRIBUNALE DI NOLA HA ACCOLTO LE ECCEZIONI DELLA DIFESA
Annullato ogni provvedimento e rinviati gli atti al Tribunale di Napoli competente per territorio
Caserta - Il giudizio immediato, chiesto dalla Procura di Napoli, ed accolto dal Gip Dr. Alberto Capuano del Tribunale di Nola, è stato completamente annullato in seguito
alle eccezioni preliminari poste dalla difesa dei fratelli Ragosta avvocati
Alfonso Quarto e Gennaro Iannotti. Con sentenza letta in udienza il Gip ha
ritenuto valide le argomentazioni della difesa sulla incompetenza territoriale
del Tribunale di Nola ed ha rimandato il tutto al Tribunale di Napoli.
Il processo di Nola era solo una tranche
di quella bufera abbattutasi sulla Commissione Tributaria di Napoli emersa
dall'inchiesta della Dda di Napoli – (60 indagati, 47 arresti, tra cui 16
giudici tributari e un miliardo di euro sotto sequestro) – sugli intrecci tra imprenditoria in odore di
camorra e ambienti istituzionali.
Al centro dell'indagine ci sono il Gruppo Ragosta di San Giuseppe Vesuviano ( che ha vari interessi c
on appalti anche pubblici in Provincia di Caserta e stabilimento metallurgico a
Gricignano d’Avera ) e la sua
tentacolare capacità corruttiva - è
dewtgto nell’accusa - all'interno della commissione tributaria provinciale e la
commissione regionale di appello. Grazie a soldi, regali e promesse di benefit
a personale amministrativo e toghe, la holding – che poteva contare su una
liquidità di 100 milioni provenienti dal clan Fabbrocino – riusciva a pilotare
i “ricorsi tributari” per il “recupero di imposte non pagate” e a truffare
l'Erario.
In alcuni casi, il Gruppo assoldava come
consulenti “in nero” i giudici in violazione delle “normative di settore che
prevedono l'incompatibilità” tra le due funzioni. Al centro della trama,
secondo gli investigatori, ci sarebbe Annamaria D'Ambrosio, “nella duplice veste di commercialista/consulente
fiscale del Gruppo Ragosta e di giudice tributario”, cui i pm contestano
indebite interferenze, in combutta con i colleghi, per una serie di ricorsi del
valore di oltre 150 mln di euro.
Le indagini hanno dimostrato una fitta rete
composta da imprenditori, professionisti e giudici che attraverso uno scambio
reciproco di favori, segnalazioni ed aggiustamenti di sentenze e di pilotamento
delle assegnazioni a giudici relatori compiacenti che hanno per lungo tempo e con assoluta costanza
turbato l'esercizio della giustizia tributaria offrendo l'indecoroso spettacolo
di un vero e proprio mercato delle sentenze. L'inchiesta dei pm antimafia, si è
avvalsa, tra l’altro, delle dichiarazioni
di vari pentiti di camorra ( Dario De Simone,
Carmine Schiavone, Pasquale Galasso, Carmine Alfieri, Salvatore Laiso, Raffaele
Piccolo, Luigi Tartarone, Emilio Di Caterino e Gaetano
Vassallo); delle intercettazioni ambientali e mobili,
delle informative e delle relazioni di servizio e di testimonianze rilevanti
come quella di Attilio
Befera ( Amministrazione Unico di Equitalia S.p.A. e del Dr. Renato Nigro, curatore fallimentare dell’asta dell’Hotel Rayto.
Agli atti del procedimento c'è anche un
riferimento a una pratica del padre dello scrittore Roberto Saviano. Ne parla un uomo in una intercettazione ambientale:
“È raccomandato da Corrado
Rossi (giudice tributario arrestato,
ndr)… è un medico di base ha fatto la combine con i centri medici, le
radiologie e mò ha il fascicolo da me e poi Corrado Rossi mi ha raccontato
tutta la storia, i genitori di Roberto Saviano si sono separati ed il padre...
è mezzo imbroglioncello”.
Gli imputati di questa prima tranche sono:
Adiletta Concetta, moglie del
Ragosta; Giovanni Ambrosio, sindaco della società
fallita; Anna Maria Ambrosio; Giorgio Del Galdo, amministratore
unico della società fallita; Ersilio
Giannino, Francesco Greco, procuratore della società fallita; Annamaria Iovino, Fedele Ragosta, Francesco
Ragosta, Giovanni Ragosta,
(difeso dall’avv. Alfonso Quarto); Luigi Scala, sindaco della società
fallita; Carmela Vanacore, e Giuseppe Virzo, quale presidente del
collegio sindacale ( difeso dall’avv. Gennaro Iannotti ).
I
fratelli Ragosta sono accusasti di 416 bis
C.P. ( associazione a delinquere di stampo mafioso ) perché, nella consapevolezza
della rilevanza causale del proprio rapporto, fornivano da esterni contributo
significativo e rilevante al raggiungimento delle finalità associative del
sodalizio di tipo mafioso denominato “clan Fabbrocino”, promossø,
diretto ed organizzato da Mario
Fabbrocino, che operando sull’intera area vesuviana e nella
provincia di Napoli ed altrove, si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento ed omertà che ne deriva per la realizzazione dei seguenti scopi:
. il controllo delle attività’ economiche anche attraverso la gestione
monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali; il rilascio di concessioni e di autorizzazioni
amministrative; l’acquisizione di appalti e
servizi pubblici.
Inoltre è contestato ai fratelli
Ragosta l’illecito condizionamento dei
diritti politici dei cittadini
(ostacolando il libero ésercizio del voto, procurando voti a candidati indicati dall’organizzazione in
occasioni di consultazioni
elettorali) e, per tale tramite, il condizionamento della
composizione e delle attività degli organismi politici rappresentativi locali e
il condizionamento delle attività
delle amministrazioni pubbliche locali e centrali; nonché il reinvestimento speculativo in attività
imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali degli ingenti
capitali derivanti dalle attività delittuose, sistematicamente esercitate (estorsioni in danno
di imprese affidatarie di pubblici e
privati appalti e di esercenti attività
commerciali, traffico di sostanze stupefacenti, truffe in danno delta
CEE., usura ed altro) ad assicurare
impunità agli affiliati attraverso il
controllo, realizzato anche con
la corruzione, di organismi istituzionali.
Il
tutto per l’affermazione del controllo
egemonico sui territorio, realizzata anche attraverso la contrapposizione
armata con organizzazioni criminose rivali ( nel tempo, N.C.O., di Raffaele Cutolo, il gruppo Nuvoletta e altro ancora. Il
conseguimento, infine, per sé e per gli
altri affiliati di profitti e vantaggi ingiusti. Anche attraverso la
commissione di vari delitti fra cui, in particolare, le estorsioni agli
operatori economici, gli omicidi, la detenzione e porto in luogo pubblico di
armi, l’usura, il commercio ed il traffico anche transnazionale di sostanze
stupefacenti. Condotte tutte funzionali ad ottenere il controllo delle attività illecite e lecite del
territorio vesuviano e zone limitrofe.
In
particolare i Ragosta – è detto ancora nell’atto di accusa – per il tramite di Franco Ambrosio - ( reggente pro tempore di cui si procede con processo a parte ) e di
suoi affiliati e o incaricati ricevevano proventi delle attività criminali del
clan camorristico Fabbrocino nella consapevolezza della loro origine delittuosa
e, stabilmente, provvedevano a reinvestire in attività illecite ( traffico
illegale di rifiuti ) e lecite per conto del sodalizio di cui erano diventati
stabili “partners” economici fornendo un rilevante contributo al raggiungimento
delle finalità dell’Ente mafioso, strumentalizzavano le risorse umane mafiose
per l’acquisizione, eliminando la concorrenza di complessi aziendali di
prestigio e di ingente valore economico, contribuendo altresì alla
realizzazione di un esteso monopolio
sostenuto e conseguito attraverso la sistematica azione del clan nel commercio
dei materiali e rifiuti ferrosi.
Al
Gruppo Ragosta è anche addebitata la scalata a grossi opifici con investimenti
di miliardi e il controllo di centinaia di società in vari settori commerciali
( Acciaeria del Sud S.p.A., Sapori
Italia, Ecotransider, Rag. Fer, Steeel Consulting, Ferrimm
S.p.A., ed altre ) nonché varie azioni di bancarotta e distrazione di
capitali – “distraevano, occultavano, dissimulavano, distruggevano e
dissipavano i beni della RER
S.p.A., già Reynolds Europe Recycling S.p.A, svolgente attività di
lavorazione in proprio e per conto terzi di materiali ferrosi e non ferrosi, dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli, con passivo in corso di accertamento allo
stato risultante ammontante a circa euro 38.000.000,00.
Sottraevano alla fallita società, inoltre, consistenti somme di denaro
corrispondenti ai flussi finanziari in entrata erogati da vari istituti di
credito, tra cui Unicredit Corporate
Banking S.p.A. già Banca di Roma che
riportava sofferenze ammontanti a più di 11
milioni di euro e non meno di 5
milioni di euro erogati dallo Stato
per finalità di rilancio industriale.
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