IL LIBRO:
"I LABIRINTI DEL MALE"
PREFAZIONE DI BARBARA PALOMBELLI
POSTAFAZIONE DI ALESSANDRO MELUZZI
Il Gen. Luciano Garofano nel suo libro così definisce la violenza sulle
donne e il femminicidio:”Forma estrema di violenza di genere, prodotto della
violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso
varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica,
sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare,
comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte
poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione
indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di
uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e
bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque
evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla
esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.
“La cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza
maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione
permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza: siamo
davanti a una violenza illegale ma legittima, questo è uno dei punti chiave
del femminicidio”.
“Nel 1999, l’Assemblea Generale dell’Onu ha proclamato il 25 novembre
Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in
ricordo del brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche
nella Repubblica Dominicana, avvenuto nel 1960 su ordine del dittatore dominicano
Rafael Trujillo (1930-1961).
La
violenza contro le donne e le ragazze è un fenomeno di proporzioni allarmanti:
almeno una donna su tre in tutto il mondo ha subìto violenze fisiche, sessuali
o abusi di altro genere nella sua vita, spesso da parte del proprio partner. “Ovunque
nel mondo, in Paesi ricchi e poveri, le donne sono sottoposte a sevizie,
percosse, stupri, assassini, e sono vittime del traffico di esseri umani. Si
tratta di violazioni dei diritti umani che vanno ben oltre il danno individuale,
perché rappresentano una minaccia a sviluppo, pace e sicurezza di intere
società … La violenza contro le donne e le ragazze continua con la stessa
intensità in ogni continente, Paese e cultura. Questa impone un devastante
dazio sulla vita delle donne, sulle loro famiglie, e sull’intera società. La
maggior parte delle società proibisce questo genere di violenza. in realtà
questa è ancora troppo spesso coperta o tacitamente condonata… Occorre fare di
più per dare esecuzione alle leggi esistenti e combattere l’impunità.
Secondo l’ultimo Rapporto
Istat sulla violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la
famiglia, pubblicato il 21 febbraio 2007 e condotto su un campione di
25.000 donne tra i 16 e i settant’anni, intervistate su tutto il territorio
nazionale dal gennaio all’ottobre 2006 con tecnica telefonica, sono stimate in
6.743.000 le donne di quella fascia d’età vittime di violenza fisica o sessuale
nel corso della vita (il 31,9 per cento della classe d’età considerata). Cinque
milioni di donne hanno subìto violenze sessuali (23,7 per cento), 3.961.000
violenze fisiche (18,8 per cento). Circa un milione ha subìto stupri o tentati
stupri (4,8 per cento). Il 14,3 per cento delle donne con un rapporto di
coppia attuale o precedente ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale dal
partner, se si considerano solo
le donne con un ex partner la
percentuale arriva al 17,3 per cento. Il 24,7 per cento delle donne ha subìto
violenze da un altro uomo. Mentre la violenza fisica è più di frequente opera
dei partner (12 per cento
contro 9,8 per cento), l’inverso accade per la violenza sessuale (6,1 per
cento contro 20,4 per è quasi nulla per gli stupri e i tentati
stupri. cento) soprattutto per il peso delle molestie sessuali.
Negli ultimi 12 mesi considerati, il numero
delle donne vittime di violenza ammonta a 1.150.000 (5,4 per cento). Sono le
giovani dai 16 ai 24 anni (16,3 per cento) e dai 25 ai 34 anni (7,9 per cento)
a presentare i tassi più alti. Il 3,5 per cento delle donne ha subìto violenza
sessuale, il 2,7 per cento fisica. Lo 0,3 per cento, pari a 74.000 donne, ha
subìto stupri o tentati stupri. La violenza domestica ha colpito il 2,4 per
cento delle donne, quella al di fuori delle mura domestiche il 3,4 per cento.
Nella
quasi totalità dei casi, le violenze non vengono denunciate. Il sommerso è
elevatissimo e raggiunge circa il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle
da partner. Anche nel caso
degli stupri, la quasi totalità non è denunciata (91,6 per cento). È
consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite
(33,9 per cento per quelle subite dal partner
e 24 per cento per quelle da non partner).
Le donne subiscono più
forme di violenza. Un terzo delle vittime subisce atti di violenza sia fisica
che sessuale. La maggioranza delle vittime ha subìto più episodi di violenza.
La violenza ripetuta avviene più frequentemente da parte del partner che dal non partner (67,1 contro 52,9 per cento).
Tra tutte le violenze fisiche rilevate, è più frequente l’essere spinta,
strattonata, afferrata, l’avere avuto storto un braccio o i capelli tirati
(56,7 per cento), l’essere minacciata di venire colpita (52 per cento),
schiaffeggiata, presa a calci, pugni o morsi (36,1 per cento). Segue l’uso o
la minaccia di usare pistola o coltelli (8,1 per cento) o il tentativo di
strangolamento o soffocamento e ustione (5,3 per cento). Tra tutte le forme di
violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, ovvero l’essere
stata toccata sessualmente contro la propria volontà (79,5 per cento), l’aver
avuto rapporti sessuali non desiderati vissuti come violenza (19 per cento),
il tentato stupro (14 per cento), lo stupro (9,6 per cento) e i rapporti
sessuali degradanti e umilianti (6,1 per cento). Il 21 per cento delle vittime
ha subìto la violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6 per cento solo dal partner, il 56,4 per cento solo da
altri uomini non partner.
I partner sono responsabili della quota
più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate e in misura maggiore
anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti
sessuali non desiderati, ma subìti per paura delle conseguenze.
Il 69,7 per cento degli stupri, infatti, è
opera di partner, il 17,4 per
cento di un conoscente. Solo il 6,2 per cento è stato opera di estranei. Il
rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più
elevato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima. Gli
sconosciuti commettono soprattutto molestie fisiche sessuali, seguiti da
conoscenti, colleghi e amici; inoltre commettono stupri solo nello 0,9 per cento
dei casi e tentati stupri nel 3,6 per cento contro, rispettivamente, l’11,4 e
il 9,1 per cento dei partner.
I dati dell’ultimo
rapporto Eures-Ansa5 sul
femminicidio, pubblicati nel dicembre 2012, mostrano che nel periodo compreso
tra il 2000 e il 2011 sono stati compiuti 2.061 femminicidi e che, nel 2011,
questi ultimi hanno toccato il 30,9 per cento degli omicidi totali,
raggiungendo la percentuale più alta in assoluto (nel 1991 rappresentavano
soltanto l’11 per cento) con una media di 172 vittime all’anno; una donna su
cinque uccisa, inoltre, risulta di nazionalità non italiana. Si stima che nel
nostro Paese ogni 96 ore circa una donna viene uccisa per mano del marito, del
fidanzato, del convivente o di un ex. A una forte diminuzione degli omicidi a
opera della criminalità organizzata, si contrappone un preoccupante aumento
degli omicidi commessi nel contesto familiare; in particolar modo, quelli
perpetrati all’interno della coppia sono aumentati di quasi il 50 per cento
negli ultimi dieci anni, con un’incidenza sul totale degli omicidi mediamente
attestata intorno al 50 per cento. Negli ultimi tre anni considerati nello
studio, si registra una preoccupante recrudescenza del fenomeno, con 173
vittime nel 2009, 158 nel 2010, 170 nel 2011, pari a 501 vittime su un totale
di 1671 morti per omicidio (29,9%).
Il libro del Gen. Garofano porta una
prefazione della giornalista Barbara Palombelli ed una Postfazione di Alessandro Meluzzi. “È una luce che si accende, o si
spegne, nella mente di qualcuno che ci sta osservando – dice la Palombelli
- Un corto circuito, un guasto: a volte
rompe un equilibrio per un attimo, a volte diventa un’ossessione, può armare
anche la mano di un marito, di un compagno che decide di toglierci dal mondo.
Dalle molestie allo stalking,
dallo stupro al femminicidio, il catalogo delle devianze si arricchisce ogni
giorno di nuove tecniche, di nuovi percorsi. Si può prevedere? Si può
immaginare e disarmare prima che accada l’irreparabile? La psichiatria e la
scienza investigativa ai massimi livelli si sono alleate con noi cronisti per
sciogliere un enigma, un mistero, una dannazione che ci affligge tutti. Nessuna
donna è immune da quello sguardo, tutte sappiamo di cosa stiamo parlando. E ne
dobbiamo discutere senza paura, a voce alta, per salvarci e per salvare anche i
nostri potenziali carnefici.
Questo
libro contiene storie, indagini, riflessioni, riferimenti utili per chiedere
aiuto in tempo, al primo dubbio. Voglio unire una mia esperienza – tuttora
oggetto di una denuncia e di un procedimento penale – proprio per entrare nel
vivo del testo che state per leggere. Per quasi trent’anni sono stata pedinata
da uno stalker, una persona che sa tutto di me, mi
ha fotografato di nascosto, ha raccolto tutti i miei articoli, conosce via web in anticipo la mia agenda, segue le
mie apparizioni tv, mi ha agganciato nei luoghi di lavoro, ha tentato di
lasciare pacchi e buste per me, ha spesso intercettato la mia auto
parcheggiata, ha perfino affisso dei manifesti e delle mie gigantografie sui
muri della Rai. Quando ho preso
informazioni, scoprendo che aveva avuto disturbi psichiatrici e che lavorava
saltuariamente come pony express (attenzione,
non sempre ci possiamo fidare ciecamente di loro), capii che aveva accesso a
tutti gli indirizzi miei e dei miei familiari, che conosceva le mie amiche, mi
sentii davvero braccata. Come fermarlo, senza danneggiare una persona già
fragile? Mi faceva più pena che paura”.
“Non
volevo infierire su una personalità debole, cercavo di farmi coraggio e di
cambiare strada e orari per sviarlo, finché non mi seguì in alto mare, il
giorno di ferragosto di tre anni fa. Eravamo soli, nel mare mosso, lui e io. Ho
avuto paura e l’ho denunciato. I Carabinieri, molto cortesi, gli sequestrarono
decine di fotografie, album interi dedicati a me, racconti dettagliati della
mia vita istante per istante e gli diedero un foglio di via. L’indomani era di
nuovo al mare. Gli ossessionati cercano di accendere una luce su loro stessi e
sulle loro vite spente, capii subito che la denuncia per lui era un
riconoscimento, un certificato di esistenza in vita. Chi non ha niente da
perdere e niente da difendere si aggrappa, con o senza violenza, alle vite
degli altri. Per rubarne un pezzo, senza pensare alle conseguenze. Lui era un
ragazzino, quando mi spiò per la prima volta. Io non lo sapevo, lo scoprii
molti anni più tardi da un suo diario. Correva l’anno 1985, mio figlio aveva
due anni ed era affetto da una pertosse estiva. In fuga da uno stabilimento
balneare di Ansedonia, per evitare di contagiare altri piccoli mi ero rifugiata
sulla spiaggia libera e deserta di Capalbio. Mi scelse a caso, mi aveva visto
in una tribuna politica in tv. Decise allora che avremmo fatto un tratto di
strada insieme. Ora si celebra un processo, sfilano testimoni, ma so che non
basta e che forse è perfino peggio (per me) avere offerto questo status a qualcuno che non sa o non può fare
nulla di buono per se stesso”.
“La
mia storia, un piccolo caso di fronte ai tanti che state per scoprire in queste
pagine, serve soltanto a capire che senza una grande alleanza sociale e
collettiva le donne, tutte le donne, non ce la faranno. Le leggi, da sole, non
bastano. La psichiatria, sganciata da un’analisi del contesto sociale, può
soltanto dare un contributo. E i giornalisti, se non hanno il tatto e la
pazienza indispensabili per entrare nel cuore delle persone nel corso delle
indagini o dei processi, possono alterare la realtà in modo irreversibile. È
un’emergenza che dobbiamo fronteggiare tutti insieme. Un saggio come questo
propone una via di uscita dai labirinti del male: ha un valore immenso, è una
guida per sconfiggere un nemico spesso invisibile, a volte imprevisto, sempre
ingiusto”.
Nella sua
postazione Meluzzi tra l’altro dice: “Le statistiche parlano di una donna
uccisa ogni due giorni. Su questi dati, che fanno accapponare la pelle, può
essere fatta una riflessione. Tracciare una linea causale tra stalking e femminicidio non è deontologicamente corretto ma la
statistica ci rivela un clima in cui l’antropologia tra uomo e donna è
severamente disturbata dal punto di vista dell’epidemiologia sociale, da quello
della psicodinamica della relazione, dei comportamenti leciti e della tutela
del bene primario e sacrale della vita, rappresentato e garantito dalla
Costituzione repubblicana e fondante ogni altro valore”.
“Quando in una
società viene meno la cultura della sacralità della vita, vengono meno anche
tutta una serie di nessi logici che consentono di fare ragionamenti organici
sul funzionamento di un evento e quindi di vedere anche l’evento giuridico e
anti-giuridico all’interno di una visione feconda e produttiva della filosofia
del diritto, non puramente statica o descrittiva. Il rischio è di mettere lo stalking o il femminicidio in una visione puramente
intellettualistica oppure naturalistica. Non parliamo di una casistica statica
ma parliamo di un evento dinamico che coinvolge le radici stesse del rapporto
antropologico uomo-donna. Direi che è da questo che bisogna partire”.
“C’è una
misteriosa commistione di linguaggio in quello che si vede. Questa commistione
mette insieme maschi fragili e fortemente introspettivi con la cultura
occidentale della pornografia e della donna non rappresentabile nella visione
di altre culture, che spaventa gli uomini e li rende indefinibili: può renderli
educati o potenziali stupratori se il tono dell’umore fosse euforico-maniacale.
Credo che l’irrompere di queste dinamiche nello scenario complessivo della
società sia il portato di una rottura simbolica non organica. Quello che una
certa visione intellettualistica o puramente naturalistica del mondo mette in
discussione è una lettura simbolica delle cose del mondo. Senza una complessa e
ricca cultura simbolica delle cose non capiamo che cosa accade. Quindi per non
gridare solo all’orrore dello stalking dobbiamo capire che la prima rottura
simbolica che è avvenuta è la trasformazione del baricentro dei rapporti
uomo-donna, che fino a mezzo secolo fa si situava in una certa parola
simbolica. Fino a cinquant’anni fa il baricentro dei rapporti uomo-donna
risiedeva nella parola “famiglia”. Oggi il baricentro del rapporto uomo-donna
sta nella parola “coppia”. Mi pare essenziale altrimenti non capiamo la
dinamica dei sentimenti di un giovane fragile, di un padre violento, di un
abusatore, di un marito tradito. La famiglia era un’entità per molti versi
prevalentemente di sopravvivenza piuttosto che sentimentale, era una realtà
basata più sul dovere che sul piacere, sulla continuità piuttosto che sulla
discontinuità, sulla riproduzione e la generazione della vita piuttosto che
sull’autorealizzazione dei singoli, sulla coralità e la collettività piuttosto
che su una visione centrata sulla persona. Era una realtà molto diversa”.
Nessun commento:
Posta un commento