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venerdì 17 maggio 2013


IL LIBRO: 
"I LABIRINTI DEL MALE" 
PREFAZIONE DI BARBARA PALOMBELLI 
POSTAFAZIONE DI ALESSANDRO MELUZZI 



      Il Gen. Luciano Garofano nel suo libro così definisce la violenza sulle donne e il femminicidio:”Forma estrema di violenza di genere, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte miso­gine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimo­niale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato  e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: sui­cidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichi­che comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.
     “La cultura in mille modi rafforza la concezio­ne per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza: siamo davanti a una vio­lenza illegale ma legittima, questo è uno dei punti chiave del femminicidio”.

     “Nel 1999, l’Assemblea Generale dell’Onu ha proclamato il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in ricordo del brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche nella Repubblica Dominicana, avvenuto nel 1960 su ordine del dittatore dominicano Rafael Trujillo (1930-1961).

     La violenza contro le donne e le ragazze è un fenomeno di proporzioni allarmanti: almeno una donna su tre in tutto il mondo ha subìto violenze fisiche, sessuali o abusi di altro genere nella sua vita, spesso da parte del proprio partner.  “Ovunque nel mondo, in Paesi ricchi e poveri, le donne sono sottoposte a sevizie, percosse, stupri, assassini, e sono vittime del traffico di esseri umani. Si tratta di violazioni dei diritti umani che vanno ben oltre il danno individuale, perché rappresentano una minaccia a sviluppo, pace e sicurezza di intere società … La violenza contro le donne e le ragazze continua con la stessa intensità in ogni continente, Paese e cultura. Questa impone un devastante dazio sulla vita delle donne, sulle loro famiglie, e sull’intera società. La maggior parte delle so­cietà proibisce questo genere di violenza. in realtà questa è ancora troppo spesso coperta o tacitamente condonata… Occorre fare di più per dare esecuzione alle leggi esistenti e combattere l’impunità.

          Secondo l’ultimo Rapporto Istat sulla violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia, pubblicato il 21 febbraio 2007 e condotto su un campione di 25.000 donne tra i 16 e i settant’anni, intervistate su tutto il territorio nazionale dal gennaio all’ottobre 2006 con tecnica tele­fonica, sono stimate in 6.743.000 le donne di quella fascia d’età vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (il 31,9 per cento della classe d’età considerata). Cinque milioni di donne hanno subìto violenze sessuali (23,7 per cento), 3.961.000 violenze fisiche (18,8 per cento). Circa un milione ha subìto stupri o tentati stupri (4,8 per cento). Il 14,3 per cen­to delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, se si considerano solo le donne con un ex partner la percentuale arriva al 17,3 per cento. Il 24,7 per cento delle donne ha subìto violenze da un altro uomo. Mentre la violenza fisica è più di frequente opera dei partner (12 per cento contro 9,8 per cen­to), l’inverso accade per la violenza sessuale (6,1 per cento contro 20,4 per è quasi nulla per gli stupri e i tentati stupri. cento) soprattutto per il peso delle molestie sessuali.  
Negli ultimi 12 mesi considerati, il numero delle donne vittime di violen­za ammonta a 1.150.000 (5,4 per cento). Sono le giovani dai 16 ai 24 anni (16,3 per cento) e dai 25 ai 34 anni (7,9 per cento) a presentare i tassi più alti. Il 3,5 per cento delle donne ha subìto violenza sessuale, il 2,7 per cento fisica. Lo 0,3 per cento, pari a 74.000 donne, ha subìto stupri o tentati stu­pri. La violenza domestica ha colpito il 2,4 per cento delle donne, quella al di fuori delle mura domestiche il 3,4 per cento.

    Nella quasi totalità dei casi, le violenze non vengono denunciate. Il som­merso è elevatissimo e raggiunge circa il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri, la quasi totalità non è denunciata (91,6 per cento). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9 per cento per quelle subite dal partner e 24 per cento per quelle da non partner).

     Le donne subiscono più forme di violenza. Un terzo delle vittime subi­sce atti di violenza sia fisica che sessuale. La maggioranza delle vittime ha subìto più episodi di violenza. La violenza ripetuta avviene più frequen­temente da parte del partner che dal non partner (67,1 contro 52,9 per cento). Tra tutte le violenze fisiche rilevate, è più frequente l’essere spinta, strattonata, afferrata, l’avere avuto storto un braccio o i capelli tirati (56,7 per cento), l’essere minacciata di venire colpita (52 per cento), schiaffeggia­ta, presa a calci, pugni o morsi (36,1 per cento). Segue l’uso o la minaccia di usare pistola o coltelli (8,1 per cento) o il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione (5,3 per cento). Tra tutte le forme di violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, ovvero l’essere stata toccata sessualmente contro la propria volontà (79,5 per cento), l’aver avuto rap­porti sessuali non desiderati vissuti come violenza (19 per cento), il tentato stupro (14 per cento), lo stupro (9,6 per cento) e i rapporti sessuali degra­danti e umilianti (6,1 per cento). Il 21 per cento delle vittime ha subìto la violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6 per cento solo dal partner, il 56,4 per cento solo da altri uomini non partner.

     I partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate e in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subìti per paura delle conseguenze.
Il 69,7 per cento degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4 per cento di un conoscente. Solo il 6,2 per cento è stato opera di estranei. Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più ele­vato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima. Gli sconosciuti commettono soprattutto molestie fisiche sessuali, seguiti da conoscenti, colleghi e amici; inoltre commettono stupri solo nello 0,9 per cento dei casi e tentati stupri nel 3,6 per cento contro, rispettivamente, l’11,4 e il 9,1 per cento dei partner.

    I dati dell’ultimo rapporto Eures-Ansa5 sul femminicidio, pubblicati nel dicembre 2012, mostrano che nel periodo compreso tra il 2000 e il 2011 sono stati compiuti 2.061 femminicidi e che, nel 2011, questi ultimi hanno toccato il 30,9 per cento degli omicidi totali, raggiungendo la percentuale più alta in assoluto (nel 1991 rappresentavano soltanto l’11 per cento) con una media di 172 vittime all’anno; una donna su cinque uccisa, inoltre, risulta di nazionalità non italiana. Si stima che nel nostro Paese ogni 96 ore circa una donna viene uccisa per mano del marito, del fidanzato, del con­vivente o di un ex. A una forte diminuzione degli omicidi a opera della cri­minalità organizzata, si contrappone un preoccupante aumento degli omi­cidi commessi nel contesto familiare; in particolar modo, quelli perpetrati all’interno della coppia sono aumentati di quasi il 50 per cento negli ultimi dieci anni, con un’incidenza sul totale degli omicidi mediamente attestata intorno al 50 per cento. Negli ultimi tre anni considerati nello studio, si registra una preoccupante recrudescenza del fenomeno, con 173 vittime nel 2009, 158 nel 2010, 170 nel 2011, pari a 501 vittime su un totale di 1671 morti per omicidio (29,9%).

     Il libro del Gen. Garofano porta una prefazione della giornalista  Barbara Palombelli ed una  Postfazione di Alessandro Meluzzi. È una luce che si accende, o si spegne, nella mente di qualcuno che ci sta osservando – dice la Palombelli -  Un corto circuito, un guasto: a volte rompe un equilibrio per un attimo, a volte diventa un’ossessione, può armare anche la mano di un marito, di un compagno che decide di toglierci dal mondo. Dalle molestie allo stalking, dallo stupro al femminicidio, il catalogo delle devianze si arricchisce ogni giorno di nuove tecniche, di nuovi percorsi. Si può prevedere? Si può immaginare e disarmare prima che accada l’irreparabile? La psichiatria e la scienza investigativa ai massimi livelli si sono alleate con noi cronisti per sciogliere un enigma, un mistero, una dannazione che ci affligge tutti. Nessuna donna è immune da quello sguardo, tutte sappiamo di cosa stiamo parlando. E ne dobbiamo discutere senza paura, a voce alta, per salvarci e per salvare anche i nostri potenziali carnefici.
Questo libro contiene storie, indagini, riflessioni, riferimenti utili per chiedere aiuto in tempo, al primo dubbio. Voglio unire una mia esperienza – tuttora oggetto di una denuncia e di un procedimento penale – proprio per entrare nel vivo del testo che state per leggere. Per quasi trent’anni sono stata pedinata da uno stalker, una persona che sa tutto di me, mi ha fotografato di nascosto, ha raccolto tutti i miei articoli, conosce via web in anticipo la mia agenda, segue le mie apparizioni tv, mi ha agganciato nei luoghi di lavoro, ha tentato di lasciare pacchi e buste per me, ha spesso intercettato la mia auto parcheggiata, ha perfino affisso dei manifesti e delle mie gigantografie sui muri della Rai. Quando ho preso informazioni, scoprendo che aveva avuto disturbi psichiatrici e che lavorava saltuariamente come pony express (attenzione, non sempre ci possiamo fidare ciecamente di loro), capii che aveva accesso a tutti gli indirizzi miei e dei miei familiari, che conosceva le mie amiche, mi sentii davvero braccata. Come fermarlo, senza danneggiare una persona già fragile? Mi faceva più pena che paura”.
“Non volevo infierire su una personalità debole, cercavo di farmi coraggio e di cambiare strada e orari per sviarlo, finché non mi seguì in alto mare, il giorno di ferragosto di tre anni fa. Eravamo soli, nel mare mosso, lui e io. Ho avuto paura e l’ho denunciato. I Carabinieri, molto cortesi, gli sequestrarono decine di fotografie, album interi dedicati a me, racconti dettagliati della mia vita istante per istante e gli diedero un foglio di via. L’indomani era di nuovo al mare. Gli ossessionati cercano di accendere una luce su loro stessi e sulle loro vite spente, capii subito che la denuncia per lui era un riconoscimento, un certificato di esistenza in vita. Chi non ha niente da perdere e niente da difendere si aggrappa, con o senza violenza, alle vite degli altri. Per rubarne un pezzo, senza pensare alle conseguenze. Lui era un ragazzino, quando mi spiò per la prima volta. Io non lo sapevo, lo scoprii molti anni più tardi da un suo diario. Correva l’anno 1985, mio figlio aveva due anni ed era affetto da una pertosse estiva. In fuga da uno stabilimento balneare di Ansedonia, per evitare di contagiare altri piccoli mi ero rifugiata sulla spiaggia libera e deserta di Capalbio. Mi scelse a caso, mi aveva visto in una tribuna politica in tv. Decise allora che avremmo fatto un tratto di strada insieme. Ora si celebra un processo, sfilano testimoni, ma so che non basta e che forse è perfino peggio (per me) avere offerto questo status a qualcuno che non sa o non può fare nulla di buono per se stesso”.

“La mia storia, un piccolo caso di fronte ai tanti che state per scoprire in queste pagine, serve soltanto a capire che senza una grande alleanza sociale e collettiva le donne, tutte le donne, non ce la faranno. Le leggi, da sole, non bastano. La psichiatria, sganciata da un’analisi del contesto sociale, può soltanto dare un contributo. E i giornalisti, se non hanno il tatto e la pazienza indispensabili per entrare nel cuore delle persone nel corso delle indagini o dei processi, possono alterare la realtà in modo irreversibile. È un’emergenza che dobbiamo fronteggiare tutti insieme. Un saggio come questo propone una via di uscita dai labirinti del male: ha un valore immenso, è una guida per sconfiggere un nemico spesso invisibile, a volte imprevisto, sempre ingiusto”.

     Nella sua postazione Meluzzi tra l’altro dice: “Le statistiche parlano di una donna uccisa ogni due giorni. Su questi dati, che fanno accapponare la pelle, può essere fatta una riflessione. Tracciare una linea causale tra stalking e femminicidio non è deontologicamente corretto ma la statistica ci rivela un clima in cui l’antropologia tra uomo e donna è severamente disturbata dal punto di vista dell’epidemiologia sociale, da quello della psicodinamica della relazione, dei comportamenti leciti e della tutela del bene primario e sacrale della vita, rappresentato e garantito dalla Costituzione repubblicana e fondante ogni altro valore”.

     “Quando in una società viene meno la cultura della sacralità della vita, vengono meno anche tutta una serie di nessi logici che consentono di fare ragionamenti organici sul funzionamento di un evento e quindi di vedere anche l’evento giuridico e anti-giuridico all’interno di una visione feconda e produttiva della filosofia del diritto, non puramente statica o descrittiva. Il rischio è di mettere lo stalking o il femminicidio in una visione puramente intellettualistica oppure naturalistica. Non parliamo di una casistica statica ma parliamo di un evento dinamico che coinvolge le radici stesse del rapporto antropologico uomo-donna. Direi che è da questo che bisogna partire”.

     “C’è una misteriosa commistione di linguaggio in quello che si vede. Questa commistione mette insieme maschi fragili e fortemente introspettivi con la cultura occidentale della pornografia e della donna non rappresentabile nella visione di altre culture, che spaventa gli uomini e li rende indefinibili: può renderli educati o potenziali stupratori se il tono dell’umore fosse euforico-maniacale. Credo che l’irrompere di queste dinamiche nello scenario complessivo della società sia il portato di una rottura simbolica non organica. Quello che una certa visione intellettualistica o puramente naturalistica del mondo mette in discussione è una lettura simbolica delle cose del mondo. Senza una complessa e ricca cultura simbolica delle cose non capiamo che cosa accade. Quindi per non gridare solo all’orrore dello stalking dobbiamo capire che la prima rottura simbolica che è avvenuta è la trasformazione del baricentro dei rapporti uomo-donna, che fino a mezzo secolo fa si situava in una certa parola simbolica. Fino a cinquant’anni fa il baricentro dei rapporti uomo-donna risiedeva nella parola “famiglia”. Oggi il baricentro del rapporto uomo-donna sta nella parola “coppia”. Mi pare essenziale altrimenti non capiamo la dinamica dei sentimenti di un giovane fragile, di un padre violento, di un abusatore, di un marito tradito. La famiglia era un’entità per molti versi prevalentemente di sopravvivenza piuttosto che sentimentale, era una realtà basata più sul dovere che sul piacere, sulla continuità piuttosto che sulla discontinuità, sulla riproduzione e la generazione della vita piuttosto che sull’autorealizzazione dei singoli, sulla coralità e la collettività piuttosto che su una visione centrata sulla persona. Era una realtà molto diversa”.


    

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