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mercoledì 17 luglio 2013

IL GIUDICE SBAGLIA E CHI PAGA???

Valter Vecellio

Il luogo comune sui referendum “berlusconiani” per una giustizia più giusta

17-07-2013
Cos’è mai, signora mia, un “luogo comune”? È un’opinione (poco importa se poggia su dati veri o falsi), un concetto la cui diffusione, ricorrenza o familiarità ne determinano l'ovvietà o l'immediata riconoscibilità. I più colti ci diranno che deriva dal latino, “locus communis”, la piazza (il “forum”, appunto), dove ci si incontrava e conversava. Stabilito cos’è il “luogo comune”, vediamone subito uno: i sei referendum per i quali è in corso la raccolta di firme, si traducono in “oggettivo” favore per Silvio Berlusconi. Per questo motivo il Cavaliere e il PdL in queste ore si mobilitano perché la raccolta firme abbia successo. Raffiniamo la nostra indagine con il prezioso aiuto dell’ex leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro: che si è sentito in dovere di soccorrere l’ingenuo Beppe Grillo, intenzionato a firmare e sostenere i referendum. In buona sostanza Di Pietro mette in guardia Grillo, e come informa “La Repubblica”, la guida dei cinquestelle raccoglie elementi. Si informa. E con Di Pietro quasi si giustifica: «L’altro giorno mi hanno fatto una domanda e ho detto che avrei sostenuto i referendum. Ma in realtà non conoscevo neanche bene il merito della questione».
Chissà come e da chi Grillo si è informato. Fatto è che, riferisce sempre “Repubblica”, il leader pentastellato innesta la retromarcia: «Ora ho capito. E certo non mi metto con Berlusconi a fare una battaglia contro i magistrati».
Cosa saranno e si proporranno mai questi referendum, così temibilmente “contro i magistrati”? Vale la pena di vedere.
Per la responsabilità civile dei magistrati: perché non si ripetano più casi come quelli di Enzo Tortora: processi-mostro al termine dei quali i responsabili non pagano mai, perché in tempi rapidi il cittadino possa ottenere il giusto risarcimento per danni e per le ingiustizie patite.
Per il rientro nelle funzioni proprie dei magistrati fuori ruolo: perché centinaia di magistrati dislocati nei vertici della Pubblica Amministrazione tornino alle loro funzioni originarie, così da smaltire l’enorme quantità di processi che si sono cumulati, destinati inesorabilmente a diventare carta straccia per prescrizione.
Contro l’abuso della custodia cautelare: perché attualmente migliaia di cittadini vengono arrestati, e restano in carcere in attesa di processo per mesi, in condizioni incivili. Perché il carcere preventivo, cioé prima della sentenza di condanna, si applichi solo per reati gravi.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.

Per l’abolizione dell’ergastolo: perché sia applicata la Costituzione. La detenzione deve avere, come finalità la rieducazione del condannato: è un principio di civiltà giuridica in clamorosa contraddizione con il carcere a vita e il “fine pena mai”.
Per la separazione delle carriere dei magistrati: perché è un diritto del cittadino essere giudicato, come avviene in tutte le democrazie occidentali, da un “giudice terzo”, obiettivo e imparziale.
Battaglia contro i magistrati, dunque? Semmai contro alcuni privilegi di casta dei magistrati; e si può essere o meno d’accordo con i referendum e i loro promotori. Ma quale sarebbe il vantaggio che Berlusconi ricava, per esempio, dall’abolizione dell’ergastolo? O dal rientro nelle loro funzioni dei magistrati fuori ruolo? O da una più rigida applicazione della custodia cautelare? Non parliamo poi della separazione delle carriere e dalla responsabilità civile del magistrato.
A quanti ipotizzano, senza peraltro fornirne le pezze d’appoggio, che i referendum saranno un grimaldello che consentirà a Berlusconi di uscire dai suoi guai giudiziari, si può e si deve ricordare che Giovanni Falcone, accusato di tutto, in vita, ma di berlusconismo no, in tempi non sospetti, a Mario Pirani disse che “…un sistema accusatorio parte dal presupposto di un PM che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienza, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice, non essere come invece oggi è, una specie di paragiudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carattere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM siano, in realtà indistinguibili gli uni dagli altri…” (“Repubblica”, 3 ottobre 1991).
E ancora: “…Ora sul piano del concreto svolgersi dell’attività del PM, non può non riconoscersi che i confini fra obbligatorietà e discrezionalità sono assolutamente labili e, soprattutto, che la discrezionalità è, in una certa misura, un dato fisiologico e, quindi, ineliminabile nell’attività dl PM. Ed allora, se vogliamo realisticamente affrontare i problemi, evitando di rifugiarsi nel comodo ossequio formale dei principi, dobbiamo riconoscere che il vero problema è quello del controllo e della responsabilità del PM per l’esercizio delle sue funzioni… Mi sembra giunto, quindi, il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del PM finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività…” (intervento di Falcone al convegno di Studi Giuridici di Senigallia, 15 marzo 1990).
Infine: da quando una causa buona sia tale (o cessi di esserlo) a seconda di chi vi aderisce? E se così è, non si finisce con l’attribuire un potere straordinario a queste persone, in grado di trasformare in pessime cause ottime solo che decidano di aderirvi o meno?
 

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