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mercoledì 28 agosto 2013

LE MORTI BIANCHE

Nel 2010 in un silos dell’azienda farmaceutica 

a Capua

DIECI IMPUTATI PER I TRE OPERAI MORTI ALLA D.s.m. S.p.A. ex Pierrel  

 

Le accuse: omicidio colposo plurimo, omissione di soccorso e violazioni della normativa antinfortunistica – Disposto il rinvio a giudizio dal Gup del Tribunale-   La commissione d’inchiesta del senato:”Una superficialità incredibile” – Risarcite le famiglie -  





     S. Maria C.V. ( di Ferdinando Terlizzi ) -  Sono dieci gli imputati che compariranno davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per la tragedia alla Dsm Capua S.p.A.  (ex Pierrel)  il prossimo 23 novembre per rispondere di omicidio colposo plurimo, omissione di soccorso e numerose violazioni della normativa antinfortunistica, per la morte di tre operai deceduti nel 2010 mentre effettuavano alcune operazioni in un silos dell’azienda farmaceutica.
Lo ha deciso, nei giorni scorsi, dopo diverse udienze caratterizzate dalle arringhe della difesa, il giudice dell’udienza preliminare Giovanni Caparco a conclusione di una camera di consiglio durata circa due ore. Il processo vede imputati operai e datori di lavoro esterni: Luigi Errichiello, Carmine Rossi, Giuseppe Sicurezza, Ciro Di Mare, Donato Manna, Francesco Pappini, Nicola Torre, Sergio Andreutti, Eligio Pergianni, e Vincenzo Marotta.
Altre due persone Francesco Lozza e Giulio Campanini,  hanno invece provveduto al pagamento di una contravvenzione (circa cinquemila euro ciascuno). La  richiesta del pubblico ministero  è stata accolta dal Gup ( Giudice udienza preliminare )  in una sessione  precedente facendo uscire dal processo i due imprenditori.
     La pena era già stata patteggiata per i  vertici della multinazionale che poco meno di un anno fa hanno anche risarcito i familiari delle vittime con trattativa privata e  si parla di svariati milioni di euro per le famiglie  tre sfortunati operai.  La tragedia, si verificò l’11 settembre di tre anni fa a Capua all’interno dell’azienda che provocò  la morte di tre lavoratori che erano scesi nel silos per una bonifica. Operazioni che avevano  già fatto altre volte.
Le vittime, Giuseppe Cecere (50 anni ), Antonio Di Matteo (63 anni) e Vincenzo Musso (44 anni) erano manovali della società edile Errichiello  di Afragola chiamati a lavorare quella mattina  per  smontare un vecchio ponteggio. All’interno del sistema, purtroppo, alcuni residui di una miscela  mortale composta da azoto e elio pressurizzato portarono all’intossicazione e al successivo soffocamento dei tre operai. Le indagini hanno poi  accertato anche  un tentativo di inquinamento delle prove per la morte degli  operai che sarebbe  avvenuta  all’interno del silos F.14  della Dsm. Ovvero con lo  spostamento di una flangia necessaria  all’immissione di gas in fondo all’alimentatore  prima dell’arrivo della polizia giudiziaria e prima dell’apposizione dei sigilli di sequestro.


Una perizia però dimostrò che quella flangia era attiva al momento dell’incidente perché su quel pezzo di metallo furono evidenziate tracce di sangue di uno degli operai morti: anche gli altri due operai persero la vita. Nel tentativo di scendere per prestare soccorso al loro collega. L’inchiesta contesta i reati di omicidio colposo, rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e una raffica di violazioni del testo unico sulla sicurezza nei luoghi dì lavoro.
Per le norme introdotte dalla legge 231, la Procura aveva contestato la responsabilità penale delle imprese. Agli atti dell’inchiesta c’è la perizia di due medici, che certifica che i decessi sono avvenuti  per “ipossia severa”, e una relazione tecnica di tre ingegneri, con la ricostruzione minuziosa e dettagliata delle inadempienze di chi avrebbe dovuto stabilire procedure e percorsi di sicurezza per il  lavoro dei tre  operai.
Nel processo sono impegnati gli avvocati Massimo Brocca, Paolo Della Sala, Michele Tedesco, Domenico Pigrini, Giuseppe Stellato e Alfonso  Furgiuele. Risale a poco più di un mese fa  l’altro processo con patteggiamento relativo ad una tranche del processo “D.s.m. Capua S.p.A”.  che ha visto sei persone condannate con pene che variano da un anno e quattro mesi a due anni di reclusione. Tra questi, un dirigente, un ingegnere, amministratori e operai impegnati con ditte - tra cui esterne nell’attività  di manutenzione della sede della multinazionale a Capua.
Le condanne hanno riguardato Carlo Mariani, Antonello Lodato, Francesco Ferritto, Domenici Marano, Antonio Montebello e Andrea Di Vico. Nello  stesso procedimento, celebratosi in un anno e mezzo, la Dsm è stata condannata  a pagare una ammenda di settantamila euro. “Una superficialità incredibile” -  ha definito la commissione d’inchiesta del senato -  l’incidente nello stabilimento chimico-farmaceutico DSM di Capua, nel quale trovarono la morte  tre operai, e che  fu causato da “errori, mancati controlli, pressappochismo e superficialità  inammissibili”.
Così si è espresso l’ex presidente della Commissione di inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro, Sergio Tofani, al temine  di una serie di audizioni a Capua tenute dall'organismo parlamentare appena dopo l'incidente. “Di fronte a fatti di questo tipo, in presenza di norme specifiche che regolamentano le procedure in questa fattispecie, mi auguro che ci siano sentenze esemplari da parte della magistratura”,  concluse Tofani .
Ed infatti per ora,  i dirigenti e azionisti della Dsm Capua S.p.A.  hanno cercato in tutti i modi ( vedi i ricchissimi risarcimenti del danno ) di parare il colpo. Se ne parlerà, però, più diffusamente il 23 novembre innanzi al Prima sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.




PENE PATTEGGIATE PER LE TRE MORTI BIANCHE
Gli operai morti erano di S. Maria Capua Vetere, Macerata Campania e Casoria

Arrestati sei ispettori dell’Asl di Santa Maria Capua Vetere per -“Associazione per delinquere finalizzata alla concussione, corruzione, rifiuto d’atti d’ufficio e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti d’ufficio”. 
I falsi controlli alla Dsm di Capua



Caserta ( di Ferdinando Terlizzi )  - Per quelle morti bianche i vertici della Dsm  -  come detto – hanno  patteggiato la pena. E’ stata, infatti, accolta la richiesta delle difese di Carlo Mariani, di Napoli, dirigente; di Antonello Lodato, di Fisciano, ingegnere di processo; di Francesco Ferritto, di Pontecorvo, preposto alla manutenzione meccanica; di Domenico Marano, di Napoli, legale rappresentante; di Antonio Montebello, di Capua, addetto al servizio di sicurezza, ambiente e qualità; di Andrea Di Vico, di Maddaloni, preposto capoturno dell’impianto di fermentazione; della stessa Dsm Capua S.p.A.  in proprio come persona giuridica.
Queste le pene: 1 anno e 8 mesi per Mariani, 2 anni per Lodati, 2 anni per Ferritto, 1 anno e 4 mesi per Marano, 1 anno e 10 mesi per Montebello, 2 anni per Di Vico. La Dsm condannata a pagare 70mila euro di ammenda. Il giudice ha disposto, inoltre, l’integrale risarcimento delle parti civili. 

Giuseppe, Antonio e Vincenzo non lavoravano a Capua, erano dipendenti di una ditta esterna, la ‘Errichiello’ di Afragola. Quel sabato mattina erano nello stabilimento farmaceutico di Capua, sito nella zona industriale della città. Erano andati a smontare un ponteggio intorno ad uno dei silos presenti all’interno dello stabilimento industriale, nel settore fermentazione. Non sapevano che nella cisterna c’era una miscela di elio e azoto ( silos caricato il giorno prima dalla ditta Rivoira.
 Si calarono senza protezioni e morirono in pochi secondi per l’asfissia. I loro corpi vennero rinvenuti da un collega mezz’ora più tardi, quando non c’era più nulla da fare. Antonio Di Matteo, aveva sessantaquattro anni e per quella ditta di Afragola lavorava da trenta anni. Viveva in via San Lorenzo nella frazione di Caturano. L’uomo era originario del centro di Macerata, infatti assieme ai suoi genitori, alla sorella Angela e al fratello Ferdinando per anni aveva vissuto in via Umberto I vico II, poco distante dal Comune e dalla chiesa principale. Giuseppe Cecere, cinquantaduenne, era originario di Santa Maria Capua Vetere, ma abitava a Capua nelle palazzine del rione Carlo Santagata, nelle immediate vicinanze della Dsm. Vincenzo Musso, 43 anni, viveva a Casoria.
Di Matteo e Musso si erano calati per primi in quel silos della Dsm. Cecere aveva udito le grida dei colleghi e si era lanciato nella cisterna per salvarli. Probabilmente perse l’equilibrio e cadde sul fondo. I tre lavoratori in quel silos trovarono la morte.
Ma un gravissimo episodio di corruzione e falsità è stato poi scoperto dal Procuratore Ceglie che condusse l’indagine. Sei funzionari che aveva fatto a vario titolo controlli alla Dsm  furono arrestati e accusati di: “Associazione per delinquere finalizzata alla concussione, corruzione, rifiuto d’atti d’ufficio e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti d’ufficio”.
Sono questi i reati contestati a sei ispettori dell’Asl di Santa Maria Capua Vetere, raggiunti  da altrettanti provvedimenti di custodia cautelare. L’operazione condotta dai Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere e Grazzanise riguarda anche alcune persone che nell’immediato passato avevano svolto ispezioni presso la D.s.m. Capua S.p.a. dove lo scorso 11 settembre tre operai sono morti mentre stavano eseguendo dei lavori all’interno di un silos.
Nello specifico gli arrestati sono tre ispettori dell’Asl – Aldo Nuzzo, Pasquale D’Amore e Donato Faraone – e tre consulenti del lavoro – Antimo Marcello, Luigi Marcello e Francesco D’Angiolella. I sei avrebbero falsamente attestato la sicurezza nelle fabbriche e nelle aziende di cui dovevano controllarne l’efficienza. Le indagini sull’attività del Dipartimento di prevenzione della Asl di Santa Maria Capua Vetere hanno avuto una svolta decisiva, nello stesso giorno in cui fu effettuato l’esame autoptico dei tre operai morti nello stabilimento D.S.M. di Capua. I carabinieri, su disposizione del pm Donato Ceglie – uno dei magistrati del pool che si occupato dell’incidente nello stabilimento chimico-farmaceutico – sequestrarono, infatti, fascicoli nella sede della Asl, relativi, in particolare, ai controlli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Da lì sono emersi  i reati che hanno portato alla associazione  per delinquere finalizzata alla concussione, corruzione, rifiuto d’atti d’ufficio e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti d’ufficio”.


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