SCHIAVONE, UNA BESTIA CHE INFANGA IL NOME DI
DON PEPPE DIANA
di Mario De Michele
Il carnefice che punta l'indice contro la vittima. Un
camorrista, assassino, bestia, travestito da pentito, che vomita fango su un prete ucciso per la sua
battaglia contro i Casalese. Dalle fauci fetide
di Carmine Schiavone, collaboratore di “ingiustizia”, è uscito un fiotto
di sterco. Questo animale vestito da uomo ha gettato ombre e sospetti su don
Peppe Diana. Nel corso del processo che vede imputato Nicola Cosentino ha
dichiarato: "Don Diana ha votato e ha una barca di voti a Cosentino perché
glielo chiesi io". E un uomo ignobile e spietato come Carmine Schiavone
non poteva che sputare escrementi. "Sono stato il capo amministrativo dei
casalesi. Si è vantato durante l'udienza. E di soldi sporchi di sangue ne ha
maneggiati tanti, costata la vita di
centinaia di persone.
Da qualche anno Schiavone si convertito sulla via di Damasco. Si è emendato dal suoi peccati. E
da imputato è diventato accusatore. Ha ammesso di aver fatto parte della Cupola
del clan, un posto d'onore conquistato a colpi di pistola e kalashnikov. Una
meta prestigiosa per uno come lui che ha iniziato in proprio come magnaccia.
Una vita rocambolesca quella di Carmine Schiavone: prima pappone, poi boss dei
Casalesi, e infine pentito(?).
E in questa ultima "professione" ha sempre
dimostrato doti fuori dal comune. Ha subito compreso che per fare carriera anche
da collaboratore di ingiustizia era necessario "mirare in alto". E ha
capito al volo che per rendersi credibile davanti ai pm avrebbe dovuto sparare
nel mucchio. Del resto, per i suoi gloriosi trascorsi ai vertici dei Casalesi
ha molta dimestichezza con le armi.
Nel mirino di questo camorrista, assassino, bestia (non si
offenderanno le bestie) è finito anche don Diana. Un giovane prete di Casal di
Principe che "per amore del suo popolo non tacque". E si schierò
apertamente contro i Casalesi, lanciando un appello a tutte le persone perbene
affinché si ribellassero alla criminalità organizzata. Quel prelato coraggioso
(fino ad allora la Chiesa si era trincerato dietro un omertoso silenzio) fu
zittito nel 1994. A colpi di pistola. Fu trucidato dai sodali di Carmine
Schiavone nella sua parrocchia, poco prima che officiasse messa.
Già nei giorni successivi a quel barbaro assassinio, si mise
in moto la macchina del fango dei pentiti (?) e degli avvoltoi di alcuni organi
di informazione professionalmente inclini allo sciacallaggio. Sul cadavere di
don Diana fu riversata una valanga di insinuazioni. Bugie. Ingiurie. Fango. Don
Peppe fu ucciso due volte. Ora tocca a Carmine Schiavone, un camorrista,
assassino, bestia, ammazzare per la terza volta don Diana. Un agguato scattato
in un'aula di tribunale. Ma il collaboratore di “ingiustizia”, mira a un doppio bersaglio: da un lato. infangare
la memoria di don Peppe dall'altro, delegittimare il movimento anticamorra nato
in nome di quel prete che ha auto il coraggio di opporsi allo strapotere dei Casalesi
Il "caso Schiavone" apre un altro fronte sul quale
noi di Campania Notizie ci stiamo
battendo da tempo, attirandoci anche le critiche di chi milita nei movimenti
anticamorra: è giusto prendere per oro colato tutto quello che dicono i
collaboratori di “ingiustizia”? Non è rischioso considerare vere tutte le
ricostruzioni delle dinamiche criminali degli ultimi 20 anni interne ai
Casalesi? Non è rischioso considerare
camorrista o colluso con il clan chiunque sia tirato in ballo da criminali,
assassini, bestie ?
Per non rischiare di essere di nuovo bersagliati dalle
critiche dei movimenti anticamorra, sgombriamo subito il campo da equivoci: il
pentitismo (come avvenne nella lotta al
terrorismo) è stato uno strumento utilissimo per gli investigatori per arrestare
boss e affiliati. per comprendere l'organigramma dei clan, e per scoprire i
traffici illeciti che hanno trasformato la criminalità organizzata in Camorra
Spa.
Ma il punto focale su cui non si ha ancora il coraggio di
ragionare è un altro: alle dichiarazioni dei collaboratori di “ingiustizia” devono
corrispondere riscontri oggettivi, le loro parole devono essere suffragate da
fatti e prove concrete. Non si possono considerare in odore di camorra persone,
politici, amministratori locali, colletti bianchi, solo per sentito dire:
"Un affiliato mi ha detto che ha sentito un altro affiliato riferire ad un altro ancora che Tizio o Caio
sono legati al clan". (*) L'attendibilità dei pentiti (?) si valuta sulla
base di riscontri oggettivi, di prove concrete. Perché se consideriamo Vangelo,
a prescindere dai fatti concreti, le accuse contro Nicola Cosentino o contro
qualsiasi altro, allora dovremmo credere (con tutte
le debite differenze) anche alle infamie sul conto di don
Peppe Diana.
Non possiamo reputare credibili i collaboratori di giustizia
a giorni alterni, o in base ai destinatari delle loro accuse. I cittadini di “Terra
di Gomorra”, pretendono giustamente che
tutti i colpevoli – camorristi,
politici, sindaci, imprenditori -
professionisti - dello scempio e del sacco di interi territori siano arrestati
e condannati con pene severe.
(*) E’ quello che ho definito nel mio libro
“Il delitto di un uomo normale” il cosiddetto teorema del cornuto. Cioè il
pretesto da parte dei piemme di contestare il concorso esterno. Eccolo:” Un
tizio passa vicino ad un altro e gli dice…”miao”… L’altra adirato risponde: “ A
me cornuto?”. Poi spiega il perché… “Miao lo fa il gatto… il gatto si mangia il
topo… il topo si mangia il formaggio… il formaggio è fatto con il latte di
mucca… la mucca è la moglie del Toro, ergo dicendomi “miao” mi hai chiamato
“cornuto”.
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