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giovedì 7 novembre 2013

Dieci “ordinarie” storie di morte che non hanno scandalizzato i professionisti dello scandalo e dell’indignazione

07-11-2013
Come previsto e prevedibile, il grande incendio sul “caso” Cancellieri si è già sopito; come evidente fin dal primo momento era un parlare a nuora perché suocera intenda. Come ci si rende facilmente conto leggendo i loro commenti e articoli, altro era l’obiettivo del “partito Repubblica” (colpire il governo Letta; e poi? Tanto per saperlo); e del “partitino Il Fatto” (colpire il Quirinale e segnatamente Giorgio Napolitano). Quanto al problema della giustizia, lo stato delle carceri, le condizioni di vita della comunità penitenziaria, continua e si conferma l’indifferenza di sempre.
Grande scandalo, insomma, per una telefonata e un interessamento simile a tanti altri che non hanno fatto “notizia” e che la magistratura non ravvisa penalmente rilevante (penalmente rilevante invece dovrebbe essere la pubblicazione di una intercettazione telefonica che non ha alcuna attinenza con inchieste, indagini e processi; di questo gli scandalizzati a un tanto al chilo hanno nulla da dire?). E soprattutto non scandalizza che in media nelle carceri italiane, muoiano 150 persone ogni anno; un terzo sono suicidi. Quelle che seguono sono dieci “ordinarie” storie che i giornali e i notiziari radio-televisivi hanno ignorato.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.
31 marzo, casa circondariale di Sassari: Jacques De Deker, 66 anni, cittadino belga, muore per tumore al pancreas nel Centro Clinico del carcere di San Sebastiano. Il cancro gli era stato diagnosticato nel 2008 e da allora si era battuto per ottenere prima la possibilità di curarsi fuori dal carcere e in seguito - sfumata ormai ogni possibilità di cura - almeno di poter morire “accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio”, come scrive in una lettera-appello nell'aprile 2010.
2 maggio, casa Circondariale di San Vittore (MI): Suleiman Bombaker, 78 anni, cittadino libico di origini irachene, muore in seguito di un malore. Malato di diabete, aveva già avuto un infarto e una grave insufficienza renale, che lo aveva quasi paralizzato. Doveva scontare solo 6 mesi di pena residua.
29 luglio, casa circondariale di Cremona: Mario Vignoli, 66 anni, si impicca in cella. Conosciuto come “Pietro l’Eretico”, era detenuto con l’imputazione di aver fatto esplodere la propria abitazione per evitare lo sfratto.
16 agosto, casa circondariale di Padova: Abdelaziz Daoudi, 21 anni, cittadino marocchino, si impicca con i lacci delle scarpe in uno stanzino di isolamento, dove era stato rinchiuso dopo un violento alterco con un agente. Era stato arrestato con alcune dosi di hascisc. La notizia della sua morte innesca una sommossa dei detenuti che durerà alcuni giorni.
31 agosto, casa di reclusione di Opera (MI): Walter Luigi Mariani, 58 anni, paraplegico a seguito di un’ischemia, muore carbonizzato nell'incendio della sua cella. Le ipotesi sono di un incidente o di un suicidio.
5 settembre, casa circondariale di Sant'Angelo dei Lombardi (AV): Angelo Panariello, 64 anni, si impicca con i lacci delle scarpe. Aveva già scontato 26 anni di carcere e aveva confidato ai familiari di non poter resistere un giorno in più in cella.
26 settembre, O.P.G. Napoli (Centro Penitenziario Secondigliano): Luciano De Marco, 35 anni, malato terminale di AIDS, in regime di “osservazione psichiatrica”, si impicca dopo aver convinto alcuni compagni a incendiare le suppellettili della cella per creare un diversivo.
15 ottobre, casa di reclusione di Rebibbia (RM): Sergio Caccianti, 82 anni, ha un malore in cella e muore in Ospedale dopo due giorni di agonia. Aveva gravi patologie ed era stato recentemente colpito da un ictus. A inizio ottobre il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la richiesta di differimento della pena per motivi di salute.
16 ottobre, casa di reclusione di Secondigliano (NA): Antonino Vadalà, 61 anni, muore per le conseguenze di un tumore al cervello. I famigliari presentano un esposto alla magistratura sostenendo che gli sono state negate le cure necessarie.
26 ottobre, Casa Circondariale di Ferrara: Egidio Corso, 81 anni, muore in cella. Era in sciopero della fame da 10 giorni per protesta contro la mancata concessione di una misura alternativa.
Più in generale: la salute degli oltre 65 mila detenuti presenti nei 206 istituti di pena italiani risulta messa a rischio fondamentalmente da due problemi: il disagio psichico e le patologie infettive. "Dagli ultimi dati che abbiamo, relativi al 2012, un detenuto su tre è positivo all'epatite C, la prevalenza dell'Hiv e dell'epatite B è intorno al 5 per cento, mentre a soffrire di disturbi psichici, più o meno gravi, è il 25-30 per cento della popolazione carceraria", dice Roberto Monarca, presidente della Scuola di formazione della Simspe, la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria. "Il carcere è un concentratore di patologie perché raccoglie e mette insieme popolazioni che arrivano da zone ad elevato rischio patologie infettive (Africa ed Est Europa) con altri soggetti sani ecco che si genera una situazione esplosiva dal punto di vista sanitario". Secondo Monarca "ci sono situazioni cliniche che non sono compatibili con il regime di detenzione: ad esempio la dialisi, le patologie oncologiche, i trapiantati, ma anche i disturbi alimentari e il magistrato, dopo aver visionato la valutazione del medico, decide in base alla pericolosità del soggetto le possibili alternative: arresti domiciliati, reparti ospedalieri detentivi o il ricovero in centri specializzati".
Torniamo al “caso” Cancellieri. Come è stato vissuto dalla comunità penitenziaria? “Mi auguro sia l’occasione per una umanizzazione delle carceri”, dice Ornella Favero, instancabile animatrice della rivista e del gruppo di lavoro “Ristretti Orizzonti”, che da anni cerca di tener viva l’attenzione su quanto accade negli istituti penitenziari italiani. Suicidi, trasferimenti, patologie gravissime ritenute compatibili con il carcere, permessi di necessità che arrivano solo quando il familiare è in punto di morte, o già morto, parenti trattati come colpevoli, dice Favero, sono “temi sui quali sarebbe utile riflettere, sull'onda di questa telefonata del ministro Cancellieri a tutela della detenuta Giulia Ligresti, ce ne sono tanti. Non vogliamo affatto criticare l’umana compassione che ha mosso il Ministro, ma pensiamo anche che questa telefonata per la salute di Giulia Ligresti debba diventare l’occasione di una riflessione seria sull'intero sistema della Giustizia”.
Al riguardo si avanzano alcune proposte: a) è ora di procedere all'Istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e delle persone private della libertà personale, perché non si può più pensare che la vita delle persone recluse sia affidata alla sensibilità di qualche funzionario più attento; b) nell'attesa che il Parlamento si muova per istituire il Garante, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria apra una linea diretta, agile e che dia risposte subito, per le segnalazioni dei casi critici, parli con i famigliari, ascolti i Garanti locali, i volontari, dia garanzie di intervenire in tempi rapidi. “Il DAP”, dice Favero, “è una macchina gigantesca, noi sosteniamo che bisogna procedere alla sua umanizzazione, perché non è umano, per esempio, il modo in cui i detenuti vengono trasferiti, la scarsa attenzione alla loro salute che c’è in tante carceri, non è umano il modo in cui troppe volte vengono trattati i famigliari”.
Per questo si propone che il Volontariato, “che opera in tutte le carceri a stretto contatto con le persone detenute, abbia un ruolo nuovo, più chiaro e meno subalterno, e sia coinvolto in tutte le Commissioni che il Ministro della Giustizia ha istituito per trovare soluzioni al sovraffollamento e avviare una Riforma dell’Ordinamento penitenziario”. Al Ministro, inoltre, si chiede di promuovere iniziative di sensibilizzazione su questi temi: “Il carcere e le pene ci riguardano tutti, non ci sono i “buoni” da una parte e i “cattivi” dall'altra, e noi di Ristretti Orizzonti su questa questione abbiamo la presunzione di poter insegnare qualcosa, perché incontriamo ogni anno migliaia di studenti, che entrano in carcere per confrontarsi con le persone detenute, che a loro volta mettono a disposizione la loro testimonianza per aiutare i ragazzi a capire i rischi di certi comportamenti”.

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